Il cavaliere del sogno

 di Roberta Pedrotti

R. Wagner

Lohengrin

Netrebko, Beczala, Herlitzius, Konieczny, Zeppenfeld, Werton

direttore Christian Thielemann

Sächsicher Staatsopernchor Dresden

Staatskapelle Dresden

allestimento di Christine Mielitz (1983) ripreso da Angela Brandt

Dresda, Semperoper, 17-29 maggio 2017 

Wagner non fu certo il primo a teorizzare l'unità armoniosa e inscindibile di teatro e musica nell'opera, che tale è fin dalle sue prime origini. A maggior ragione, però, non v'è motivo per mettere in discussione, nella produzione del nume di Bayreuth, la tensione verso una pari, elevata qualità sia nella recitazione sia nel canto, nella drammaturgia come nella musica. Di caso in caso, naturalmente la maggior propensione o dote naturale o felicità d'intuizione o efficacia di risultati da una parte o dall'altra potrà compensare eventuali difetti, ma ciò non toglie che Wagner, come ogni altro compositore, vada cantato esattamente quanto interpretato.

E, nell'idea di cantar Wagner e di render così giustizia non solo alla potenza epica, ma anche a tutte le sfumature della sua scrittura, un ritorno al lirismo di una tradizione anche latina del secolo scorso – non lontana dalle volontà e dalle preferenze espresse dall'autore – può essere fra le vie migliori per apprezzare oggi Lohengrin. Un tenore come Piotr Beczala, al debutto del ruolo del titolo, non può non far pensare a tanti illustri predecessori che con lui condividevano il repertorio: Mozart, l'opera francese, il Čajkovskij dell'Onegin e di Iolanta, Lucia di Lammermoor, La bohème, il Verdi di Luisa Miller, di Rigoletto, della Traviata, del Ballo in maschera. La musicalità nobile e duttile, la franca morbidezza nella mezzavoce e nella salita all'acuto, la padronanza disinvolta di una tavolozza cromatica e dinamica gestita con gusto ed eleganza rendono, fin dal saluto al cigno nel primo atto, circonfondono il cavaliere sognato da Elsa di quell'aura incantata che gli è propria, senza che ne vengano meno l'eroismo né l'umanità, altera e riservata ma anche sincera nell'amore e nella dolorosa rinuncia. Beczala coglie la giusta misura nel distacco dell'eroe sovrannaturale, nel suo ideale cavalleresco e nella sua concretezza, muovendosi in perfetto equilibrio fra dimensione angelica e terrena, dominato da un senso morale che coincide esattamente con lo scrupolo e la sensibilità del fraseggio e del canto.

Del pari al debutto nel ruolo e in Wagner, se si esclude un'occasionale Fanciulla Fiore, è Anna Netrebko, del pari erede di una grande tradizione di soprani lirici per morbidezza, dolcezza, duttilità, ma per proiezione e ricchezza d'armonici a tutti gli effetti ideali per i ruoli spinti di Verdi e Puccini. Così la sua Elsa, sempre svettante e fresca fino ai perigliosi acuti del terzo atto, sa incarnare il trepido, virginale candore della fanciulla, ma anche la fierezza dell'erede dei Duchi di Brabante, la passione tormentosa della donna innamorata. Come nel caso di Beczala è un piacere sentire un Wagner così meravigliosamente cantato, con espressione, cura, omogeneità d'emissione per esaltare la musica, e con essa il fraseggio, e con esso la parola e il senso ultimo dell'”opera romantica”. Le due voci, senza problema alcuno di peso e proiezione, si sposano in equilibrio perfetto, perfetta unità d'intenti e principi, senza mai sovrastarsi, bensì bilanciando in ogni occasione, anche nel minimo accento, candore e azione, misticismo e carnalità, astrazione e concretezza.

Se con Netrebko e Beczala abbiamo due artisti impeccabili sul piano vocale, con Evelyn Herlitzius abbiamo un'interprete dal canto più spigoloso e aspro, meno omogeneo e tecnicamente tornito, ma forte di una tale energia teatrale da compensare ogni possibile limite: non solo perché la tessitura di Ortrud le calza assai bene e l'intelligenza musicale è sempre di primissimo ordine, ma soprattutto per il magnetismo di un'artista che, anche tacendo immobile in disparte, buca lo schermo (e, dal vivo, attraversa la sala) con lo sguardo. Allora, risulta davvero difficile immaginare per il dramma wagneriano un miglior assortimento della luce, rappresentata dalla voce rigogliosa e affascinante della Netrebko e da quella nobile e cavalleresca di Beczala, contrapposta al fosco carisma di questra Ortrud.

Fra tanto splendore, dire che fa bella figura anche il Telramund di Tomasz Konieczny è lode non da poco, che si estende volentieri all'autorevole Heinrich di Georg Zeppenfeld e all'incisivo Araldo di Derek Welton.

Un cast di questo calibro, l'eccellenza della Staatkapelle di Dresda (che smalto quegli ottoni! Che impasto quegli archi!) e dei cori istruiti da Jörn Hinnerk Andresen sono affidati alle cure autorevoli di Christian Thielemann, che ribadisce la sua statura di interprete wagneriano, più che mai ligio alla definizione di Romantische Oper. Il dramma procede con slancio e la cura dei colori, la morbidezza cantabile abilmente miscelata al vigore lo rendono incalzante senza frenesia, permeato da tutte le sfumature di un suggestivo racconto epico, in cui tutti i Leitmotive sono delineati e sviluppati a dovere, le dinamiche fluide nel crescendo così come nei passi più estatici e trasognati.

Certo, se abbiamo esordito parlando di comunione fra dramma e musica, qui ci dobbiamo riferire per lo più al rapporto fra canto e interpretazione, fra melos ed epos negli interpreti, mentre la teatralità vera e propria resta in secondo piano per quel che concerne il vecchio allestimento (1983) di Christine Mielitz ripreso da Angela Brandt: una commistione di costumi e riferimenti al medioevo di Enrico l'Uccellatore e al mito della fondazione del Sacro Romano Impero Germanico e al XIX secolo della riaffermazione degli stati nazionali e della riunificazione dei territori tedeschi. Oltre a questo non pare vi sia nulla da dire, se non che ad Anna Netrebko si sarebbe potuta risparmiare l'acconciatura bamboleggiante con la treccia. L'azione è più che tradizionale (unica relativa invenzione per la morte di Telramund, di cui Lohengrin è responsabile passivo guidato da Elsa), i cantanti si muovono liberamente.

Ad ogni modo, un DVD che merita assolutamente l'acquisto, per l'apporto eccellente di due artisti come Netrebko e Beczala all'interpretazione wagneriana unito alle conferme di artisti già da anni fra i pilastri di questo repertorio.