Ne plus goûter d'ivresse

di Roberta Pedrotti

Le comte Ory torna a Pesaro in una nuova produzione di Hugo De Ana, che appare caotica e sconclusionata così come poco raffinata e persuasiva risulta la concertazione di Diego Matheuz, sicché il cast, che vede nei ruoli prinicipali il neodirettore artistico Juan Diego Florez e il soprano Julie Fuchs, fatica a brillare. È, semmai, l'occasione per riflettere sul significato e lo scopo del Festival.

A proposito dell'edizione critica leggi anche l'editoriale di fine anno

PESARO 9 agosto 2022 - Perché si dovrebbe venire a Pesaro, al Rossini Opera Festival? Perché si dovrebbe andare, non se ne potrebbe fare a meno? Per vedere titoli che non si vedono altrove, forse. Eppure lo scopo principale di riscoperta del sommerso rossiniano qualche frutto lo ha dato, qualche altro potrebbe essere più succoso; in ogni caso se la riscoperta e la reimmissione nel repertorio funziona, questo primo obiettivo ha evidentemente un termine. Allora cosa deve tenere in vita il Festival? Non la novità o la rarità in sé e per sé, né tantomeno i nomi e i divi, che sono importanti ma passano come le umane sorti. L'anima del Festival è (deve essere) il pensiero. Quello che Gianfranco Mariotti ha definito “laboratorio di musicologia applicata” nel quale il pubblico non deve essere coccolato e rassicurato, ma scosso, spinto a riflettere, sollecitato, pungolato, provocato. A Pesaro abbiamo bisogno di venire a sentire un Rossini unico, pensato, di cui parlare. Ambire a che sia il migliore nei fatti, per la forza delle idee, e non solo per diritto di nascita.

Da questo punto di vista, Le comte Ory inaugurale della quarantatreesima edizione del Rof dà da pensare, ma non nel senso che avremmo auspicato, bensì proprio per l'assenza di quella scintilla che renda la nuova produzione degna del contesto e della sua storia. Si richiama, infatti, un regista che quella storia l'ha fatta, sebbene con un solo spettacolo a Pesaro: Hugo De Ana (classe 1949), che torna con una nuova produzione dopo la splendida, indimenticabile Semiramide tenuta a battesimo trent'anni fa a da Alberto Zedda sul podio (altrove aveva curato memorabili Mosé in Egitto ed Ermione). Oggi all'artista argentino si affida la più inafferrabile delle commedie, quel sensualissimo Comte Ory che potrebbe essere insieme iper sofisticato e sboccato, boccaccesco nel senso letterario e intellettuale come in quello più greve e corrivo. Che fa De Ana? Si ispira alla pittura di Hieronymus Bosch per fondali ed elementi scenici mentre alla ribalta tanta gente in costumi variopinti fa tante cose, non necessariamente seguendo una logica o un disegno drammaturgico. Non si ride mai, la trama la si segue poco, né si segue qualche altra idea sottintesa o tantomeno scorre qualche brivido più sottile. Ricorderemo Hugo De Ana per ben altro, auspichiamo che questo spettacolo (coprodotto con Bologna, quindi almeno una ripresa sarà d'obbligo) venga archiviato al più presto e senza rimpianti.

Si richiama anche Diego Matheuz, il direttore venezuelano che proprio la sera della prima compie trentotto anni e che al Rof aveva debuttato con Adina nel 2018. L'introduzione spaventa un po', per lo squilibrio fra dinamiche piuttosto appesantite, ma la bravura dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai lo sostiene e fa da solida base di uno spettacolo al quale, tuttavia, la bacchetta non sa imprimere né spirito, né sensualità, né impeccabile precisione (e, difatti, non brilla nemmeno il Coro del Ventidio Basso preparato da Giovanni Farina).

Difficile allora che il cast possa far faville, se la regia non costruisce personaggi e il podio non sostiene né stimola. Juan Diego Flórez, neodirettore artistico del Festival, gioca d'esperienza con una parte che canta ormai da tre lustri ed è un suo indiscusso cavallo di battaglia: semmai, dopo tanto tempo, è il confronto con sé stesso a farsi sentire se la voce non squilla sempre come una volta, se non tutti gli acuti sono legati e sferrati con spavalderia. Gli altri volti noti a Pesaro sono Nahuel Di Pierro - che si trova più a suo agio ora come Gouverneur che tre anni fa come Assur e pur tuttavia non lascia il segno, giacché al tutore del protagonista sembra sia richiesto solo di entrare in scena e compitare la sua aria – e Monica Bacelli – Dame Ragonde che avrebbe potuto essere valorizzata in modo più gustoso. Una novità relativa è, invece, Julie Fuchs, che della Comtesse Adéle ha già dato una superba lettura all'Opéra Comique di Parigi e ora non può far molto più che cantar bene e abbozzare il personaggio, come pure Maria Kataeva, che mostra ottimo potenziale con il suo Isolier. Se, poi, quanto ad ambiguità ed erotismo nel terzetto basti abbracciarsi e intrecciar gambe nude su simulacri ornitologici, questa è un'opinione di De Ana che non ci sentiamo di condividere né di imputare agli artisti. Andrzej Filonczyk aveva fatto un'ottima impressione come Figaro nella produzione televisiva di Rai e Opera di Roma: come Raimbaud, al suo esordio pesarese, sconta anche lui una direzione che non è complice nella sua grande aria, una regia che sembra dimenticare il suo personaggio. La locandina ci ricorda pure Alice, che ha la bella voce di Anna-Doris Capitelli ma che sulla scena, purtroppo, si perde.

Applausi per tutti, coro d'auguri per Matheuz e poi via di corsa a guadagnare le navette per lasciare la scomodissima Vitrifrigo Arena (finirà mai l'esiziale esilio del Rpf? Il festival in città è sostanza della comunità, non solo forma di comodità). Or che ci resta? Ben poco a cui pensare, ben poco da custodire nella memoria, nel bene o nel male, se non che altro dovrebbe essere lo scopo di una prima del Rof.