Il veterano e la debuttante

di Alberto Ponti

La celebre star del violoncello  Mischa Maisky infiamma la sala con un'esecuzione à bout de souffle del primo Concerto di Šostakovič. Nella Quinta di Prokof'ev la direttrice sudcoreana Han-Na Chang dimostra un'ottima padronanza della partitura pur con qualche eccessiva elaborazione del particolare.

TORINO 14 marzo 2024 - Se Mischa Maisky non è un nome nuovo per il pubblico torinese lo è invece Han-Na Chang, al debutto sul podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale in un impegnativo programma di autori russi del Novecento. Che tra i due ci sia una comune visione di intenti, a scapito di un look agli antipodi, è dovuto al fatto che Chang, la cui attività prevalente negli ultimi anni è la direzione, è nata come violoncellista vincendo da ragazza, nel 1994, il primo premio al concorso Rostropovič di Parigi. Chi meglio di lei è quindi in grado, sulla carta, di conoscere i segreti dello strumento di cui Maisky è tra i massimi solisti al mondo? Tra gli oneri della fama, rientra anche il creare aspettative molto elevate nella platea e l’attacco del Concerto n. 1 in mi bemolle maggiore op. 107, composto da Dmitrij Šostakovič nel 1959, può sconcertare per l’impeto, non esente da una certa ruvidezza, con il quale Maisky affronta il tempo iniziale dell’impervia partitura, dedicata, ça va sans dire, proprio a Mstislav Rostropovič. Il suono non lascia a desiderare quanto a pienezza e incisività ma pare mancare un po’, nei momenti distensivi del serrato dialogo tra solo e tutti, con il primo corno in grande spolvero, la lucente bellezza di canto e intonazione che il musicista di origine lettone ha saputo imprimere negli anni nella nostra memoria. Da parte sua, Han-Na Chang è attenta, attraverso un gesto minuzioso al limite del didascalico, soprattutto a curare tutti i passaggi della scrittura orchestrale piuttosto che a imprimere una visione di insieme al pezzo. Ne sortisce l’effetto quasi comico, iperbolico, da cartone animato giapponese (non ce ne voglia la direttrice, che è coreana di nascita), di una donna delicata e dall’energia inesauribile, dalle mani in virtuosistico ed incessante movimento impegnate nel sottolineare e chiosare quasi ogni singola nota. Fatto sta che già nei sette minuti scarsi dell’Allegretto iniziale la Chang mette in atto più movenze di quelle che la maggior parte dei direttori compie in un’intera serata. Maisky sale in cattedra, con un’interpretazione memorabile per intensità e profondità, a partire dal secondo movimento, un ampio Moderato che costituisce il cuore espressivo della pagina e dove l’intesa con il podio aumenta in modo deciso, favorita dall’essenzialità della poetica di Šostakovič che qui si muove con poche pennellate degli archi e di una manciata di fiati nel sostenere l’eloquio teso e accorato del violoncello. La successiva estesa cadenza che funge da collegamento con il finale è la summa dell'arte del sublime esecutore, cui Maisky aggiunge innata classe e dominio totale della materia sonora: pizzicati, armonici, arpeggi, fulminei cambi di posizione, agogica fantasmagorica sono elementi messi sul tappeto con disarmante semplicità ma, al di là del gioco di prestigio da applausi, ogni elemento, nell'economia complessiva del pezzo, è sempre indirizzato alla ricerca di un'urgenza del dire di alta drammaticità che rende questo concerto una delle vette del catalogo del suo autore. Teso come lama di acciaio e al contempo percorso da lampi di ironia e sarcasmo, il breve Allegro con moto conclusivo è fatto apposta per scatenare l'ovazione fragorosa ed entusiasta di un auditorium Toscanini preso d'assalto, con tanti giovani tra il pubblico. Il calore della platea è ricambiato da un lungo, magico bis quale il Preludio ('Modinha') dalla prima delle Bachianas Brasileiras di Heitor Villa-Lobos, con il solista affiancato dal gruppo dei violoncelli dell'orchestra.

Nella Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore op. 100 (1944) di Sergej Prokof'ev, Han-Na Chang si distingue per la meticolosa cura del dettaglio già dimostrata in Šostakovič, qui, se possibile, ancora più accentuata per la accresciute dimensioni dell'organico. Non si pensi a un'esecuzione fredda e rivolta solo al versante tecnico. La Chang ha un vivo senso della forma, del racconto, del fraseggio, che viene tuttavia a volte penalizzato da un'ansia di perfezione, da un desiderio di levigare il particolare, da un continuo labor limae nella conduzione delle idee che alla lunga può risultare stancante. Ne è un esempio il celebre secondo movimento, Allegro marcato, dal meccanismo sinfonico talmente perfetto che normalmente non ci si accorge di essere arrivati al termine dei suoi otto minuti e si rimpiange che sia durato così poco. Sotto la bacchetta della direttrice venuta dall'estremo oriente ma formatasi alla Juilliard, viceversa, il pezzo non ci è mai parso così esteso ed articolato, sebbene il tema del clarinetto emergesse con eleganza sinuosa, gli staccati degli archi avessero una pungente consistenza, gli accenti delle trombe fossero intrisi di struggente sensualità.

Non mancano ampi tratti dove l'estro della musicista trova un respiro in sintonia con le sue caratteristiche, nei due grandiosi tempi lenti e nel camaleontico Allegro giocoso che chiude la sinfonia, epitome di stili e linguaggi declinati da Prokof'ev con febbrile genialità e restituiti all'ascolto con vivificante chiarezza dalla lettura di Han-Na Chang, nonostante la tentazione di cedere talvolta a un'eccessiva enfasi nella sonorità. L'Orchestra Sinfonica Nazionale dà eccellente prova di versatilità e la pioggia di applausi alla fine premia un'interprete ferrata e coraggiosa, per nulla provata dalla complessità delle partiture affrontate, cui auguriamo di trovare il migliore equilibrio tra abbandono artistico e indagine cartesiana, in ugual misura necessari per raggiungere i superiori traguardi.