L'idea inafferrabile

di Roberta Pedrotti

Da venerdì 17 novembre 2023 a martedì 30 aprile 2024 il Museo Teatrale alla Scala ospita la mostra Fantasmagoria Callas, cinque istallazioni fra cinema, arti figurative e moda nel centenario del soprano.

Passeggiare nelle sale del Museo Teatrale alla Scala è più come passare a salutare vecchi amici, sfogliare un album di famiglia. Dalle tele e dai busti, dalle locandine e dagli oggetti Ritroviamo Domenico, Christoph, Amadé, Giovanni, Gioachino, Giuseppe, Gaetano, Vincenzo, Giacomo, o Arturo e Victor, le Marie (Malibran e Callas), Giuditta, Isabella, Marietta, Carlotta e Barbara, Enrico... fino a Rudolf, Raina, Leyla... E quelle locandine che ci raccontano come si faceva una volta, programmi sinfonici lunghissimi ed eterogenei, galà infiniti, tutto tradotto ma zeppo anche di pezzi nuovi o dimenticati. Gruppetti di turisti seguono la guida, mentre è bello anche fare avanti indietro a casaccio (e aiutano a curiosare i pannelli con le didascalie interattive, che lasciano le pareti e le bacheche libere come un salotto domestico), fra tanti visi e tante memorie che ci sono familiari anche se per gli anni che ci separano non li abbiamo mai potuti incrociare. Anche questo è il teatro, anche questa è l'opera, è l'amore viscerale che ci fa parlare “librettese” e sciorinare le compagnie delle prime assolute come la formazione della squadra del cuore alla finale.

Fra tanti eterni immortali dell'opera, non poteva mancare, alla vigilia della Prima del 7 dicembre e in concomitanza con il centenario della nascita, il 2 dicembre, da diva divina per eccellenza: Maria Callas.

Il museo non la celebra con cimeli, ma con una serie di cinque istallazioni affidate a diversi artisti contemporanei, che ne elaborano, ciascuno a modo suo, il mito. Alvin Curran apre il percorso con uno straniante, ma suggestivo rimbalzare e riverberare di poche battute di “Ombra leggera” da Dinorah di Meyerbeer (ma sarebbe stato opportuno aggiustare la dichiarazione dell'artista, si presume tradotta dall'inglese, perché “toni singoli, frammenti di appena pochi secondi, insoliti toni alti, Mi e Fa e profondi vulcanici bassi Re” non è esattamente una perla di proprietà di linguaggio musicale). Latifa Echakhch propone poi un'opera astratta, ma di grande profondità e delicatezza: una cascata di perle di cristallo trasparente fra le quali si formano alcune linee di gocce rosse. Sangue, passione, amore, dolore, purezza, lacrime, il tintinnare delle note come una collana che però si sfila e spande a terra le sue gemme. Mario Martone segue una via opposta, documentaria, filmando il racconto della poetessa Ingeborg Bachmann (Sonia Bergamasco), spettatrice casuale e dapprima scettica, poi affascinata e scossa nell'intimo della Traviata scaligera diretta da Giulini con la regia di Visconti. Francesco Vezzoli scava nelle linee mitizzate del volto di Callas in una ripetizione di primi piani che sfuggono all'iconografia consueta e cercano, fra tanti personaggi, una profondità comune che l'artista identifica con il personaggio di Violetta. Infine, quello di Giorgio Armani è un altro omaggio astratto, che fa il paio con quello di Echakhch ed è, infatti, quello più mi ha toccata, con quel delineare nel nulla una sagoma morbida e delicata, sinuosa e voluttuosa, fra trasparenze magenta del tessuto. Un'idea, più che una presenza concreta. Come è, d'altronde, chi vive la propria vita e la propria arte nell'istante fuggente e inafferrabile del palcoscenico e della musica.

le foto della mostra sono di Giovanni Hanninen