L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

guglielmo ratcliff

L'ambizione e l'istinto

 di Roberta Pedrotti

P. Mascagni

Guglielmo Ratcliff

Villari, Sicilia, Stout, Vestri, Buratto

direttore Franceso Cilluffo

Orchestra e Coro del Wexford Festival Opera

Wexford, 31 ottobre 2015

CD RTE lyric, CD152, 2017

Si fa presto a dir verismo e giovane scuola: Cavalleria, Pagliacci e via di epigoni. La realtà è molto più composita per una generazione catapultata in un mercato completamente nuovo, editoriale e non più impresariale, spentisi gli ardori idealisti risorgimentali, per lo più delusi nello status quo borghese dell’Italia umbertina, all’ombra ingombrante di un Giuseppe Verdi a lungo in vena di sformare capolavori. Come si guarda a Verga e Zola, allora, si guarda via via a Sardou, a D’Annunzio, a Sem Benelli. Oppure, si guarda all’indietro, come fa Mascagni quando, nel 1895, riprende un fosco dramma scozzese di Heine tradotto da Andrea Maffei, il letterato amico e librettista di Verdi da poco scomparso. Lo riprende, si badi bene, così com’è, in prosa, senza trarne un vero e proprio libretto, ma offrendo di fatto un pionieristico esempio di quella Literaturoper – opera in cui a esser musicato è un testo letterario preesistente – che avrà fortuna soprattutto oltralpe nel XX secolo.

L’intuizione è, dunque, formidabile e la dice lunga sulle ambizioni sperimentali dei nipoti ribelli di Verdi a cavallo fra i due secoli. Mascagni si getta a capofitto nella materia gotica che offre ghiotte occasioni anche al tardo romanticismo decadente: in Scozia, la bella Maria è perseguitata dal folle pretendente Guglielmo Ratcliff, che usa uccidere tutti i suoi fidanzati recandole in macabro omaggio gli anelli insanguinati, e solo l’ultimo, Douglas, si salva e, per un pregresso debito di riconoscenza, risparmia a sua volta la vita all’aggressore. Dalla nutrice Margherita, Maria viene però a sapere di un’antica relazione fra sua madre e il padre di Ratcliff, rotta dalla donna spaventata per i segni di squilibrio dell’amato. Anche dopo i rispettivi matrimoni e la nascita dei figli, il sentimento reciproco non si era però spento e, geloso, il padre di Maria aveva trucidato il padre di Guglielmo, mentre la bella contesa moriva di dolore. La fine tragica dei genitori ricadrà sui figli, con Maria uccisa da Ratcliff, a sua volta suicida dopo aver vendicato il padre nel sangue del suo assassino. Un allucinato intreccio di destini e deliri, amori impossibili e distruttivi, matrimoni rassicuranti e infelici che si tramandano e rispecchiano dai padri ai figli, come sarà, un quarto di secolo dopo il dramma di Heine, in Cime tempestose, che sviluppa, però, ben altro respiro evocativo nell’articolare personaggi, rapporti e strutture narrative. L’immediatezza quasi brutale, le tinte forti e incalzanti del Ratcliff, ben si adattano, tuttavia, al melodramma e, in particolare, al temperamento di Mascagni, che da un lato può cimentarsi con nuove atmosfere e l’elemento soprannaturale, dall’altro trova pane per i suoi denti nella passionalità violenta e negli eccessi che punteggiano il dramma. Ne sortisce una partitura ambiziosa, che aspira a rinnovare echi del Freischutz o del Fliegende Hollaender, nonché a creare un nuovo linguaggio di prosa cantata che poggi su un elemento sinfonico di maggior peso. Sicuramente un discorso libero da schemi metrici, strofe e rime compiace la musa mascagnana, così come la possibilità di sviluppare la vena melodica nell’Intermezzo – il celebre Sogno.

Mascagni, talento genialoide ed estroso, purtroppo era insofferente alla disciplina e là dove lo poteva spingere l’intuito, non sempre lo sorreggeva la piena padronanza dei mezzi, né la dottrina giungeva provvida a corroborare l’istinto, sicché le cupe atmosfere ben dipanate nel terz’atto (quello del Sogno e il più riuscito di tutta l’opera) faticano a svilupparsi con interesse costante per tutte le due ore scarse della partitura. Il compito del concertatore risulta, dunque, non dei più semplici su un sentiero così accidentato e suggestivo: Francesco Cilluffo fa quanto possibile per cogliere la cifra e gl’intenti mascagnani valorizzando gli slanci più originali e le intuizioni più interessanti, mantenendo alta la temperatura drammatica senza che l’impeto viscerale si traduca in un verismo di bassa lega. Inutile negare che la declamazione richieda accenti brucianti e passioni a fior di pelle, ma questi devono esplodere al momento giusto senza confondersi con l’effettismo plateale, bensì bilanciandosi, per esempio, con il canto straniato della vecchia Margherita o con la dolcezza di Maria. Non confondere lo stile della Giovane Scuola con un gusto sorpassato è una sfida che l’elegante bacchetta di Francesco Cilluffo, avvezzo al belcanto come al Novecento storico (ricordiamo il suo notevole A Midsummer Night's Dream dello scorso autunno) e compositore egli stesso, vince senza problemi. Ciò muta almeno in parte le sorti delle voci, cui sicuramente è richiesto un impegno più musicale che muscolare, ma che pure non possono esimersi dall’affrontare scabrose impennate drammatiche. Così, se la Maria di Mariangela Sicilia è complessivamente notevole, liliale e appassionata, debitamente straniata e intensa nel momento di identificazione delirante con la madre, non si può non notare che qualche acuto a piena voce risulti un po’ al limite e che non sia al momento consigliabile proseguire oltre nell'esplorazione di un repertorio ad alto rischio di forzature. Anche in Angelo Villari si avverte la tensione di alcune emissioni un po’ fibrose, nondimeno la parte eponima è oggettivamente massacrante e il tenore vi si dedica senza risparmiarsi e senza rinunciare a una dizione chiarissima. Accanto ai due protagonisti emerge soprattutto l’ottima Annunziata Vestri nei panni spettrali della nutrice Margherita, memoria storica del castello e custode dei suoi terribili segreti. Gianluca Buratto è un atro MacGregor, padre di Maria, e David Stout un Douglas di buona qualità baritonale, il lieve svantaggio rispetto ai colleghi madrelingua con un testo non particolarmente facile da articolare (I masnadieri verdiani ricordano quanto possa essere ostica la lingua di Maffei). L’attenzione a una parola scenica chiara è evidente anche nei ruoli minori o minimi, benché non sempre le intenzioni dei volonterosi anglofoni si realizzino nel modo più soddisfacente per un orecchio italiano. I complessi del Wexford Opera Festival si mostrano sempre pronti a servire al meglio il repertorio meno consueto.

Purtroppo, se la ricerca dello storico festival irlandese è sempre encomiabile, una maggior cura editoriale nella realizzazione del CD sarebbe stata auspicabile: bene la chiara e dettagliata lista delle tracce e bene la presenza del testo integrale, se non fosse che quest’ultimo è costellato da davvero troppi refusi. Difficile da comprendere, poi, perché il nome di Andrea Maffei non compaia né nelle copertine, né nella locandina, né in capo al “libretto”, ma solo all’interno del saggio firmato da Fulvio Venturi, di carattere più storico biografico e esegetico. Forse, anche solo nelle scelte grafiche, il fatto che Mascagni con Guglielmo Ratcliff si sia fatto pionier della Literaturoper si sarebbe potuto meglio valorizzare.


 

 

 
 
 

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