Brindisi veneziano

 di Francesco Bertini

Il concerto veneziano di Capodanno (trasmesso come ogni anno dalla Rai in diretta nella replica del 1 gennaio) ha avuto la sua prima il 30 dicembre. Sul podio James Conlon, voci soliste Nadine Sierra (soprano) e Stefano Secco (tenore).

VENEZIA 30 dicembre 2015 - Eccoci alla tredicesima edizione. Gli anni passano veloci e l’evento istituito, quasi per caso, nel 2003 è ormai entrato stabilmente nella programmazione. Si tratta del Concerto di Capodanno, battezzato poco dopo l’inaugurazione ufficiale della restaurata Fenice. Con la diffusione televisiva nazionale e internazionale dell’1 gennaio, Venezia cala un asso vincente per la propria immagine a livello globale. Inutile ribadire che, nonostante i molti tentativi, la mancanza di un’identità definita continua a pesare sull’intera struttura del concerto: dalla suddivisione in due parti, completamente slegate per proposte, alla stucchevole kermesse di estratti operistici, presentati senza un minimo filo conduttore e con l’unico fine di attrarre facilmente l’attenzione degli ascoltatori tv, reduci dai lunghi bagordi notturni. Il pubblico in sala mostra di preferire la seconda parte, quella “melodrammatica” per intenderci, e il motivo, in quest’occasione, è chiaro.

Fin dall’inizio della Sinfonia n.8 in sol maggiore op. 88 di Antonín Dvořák, il connubio tra James Conlon, direttore dalla pluridecennale attività fra il vecchio e il nuovo mondo, e le maestranze veneziane appare poco maturo da ambo le parti. L’ottava, terminata l’8 novembre 1889 ed eseguita, per la prima volta, sotto la direzione dell’autore all’Associazione Artistica di Praga il 2 febbraio 1890, rappresenta quel tentativo di riscatto che cercarono i compositori di area slava verso l’incombente tradizione austro-tedesca. Conlon rilegge la partitura con uno spirito americano, più vicino allo stile e alle esigenze delle orchestre statunitensi: al confronto con la compagine lagunare egli non ottiene quel suono pastoso, unitario e preciso che tale lavoro sinfonico richiederebbe. Vi è uno scollamento tra l’azione degli strumentisti e il gesto direttoriale il quale richiede e ottiene dinamiche sovente troppo prestanti, dimenticando le levità fondamentali nella scrittura di Dvořák.

Dopo l’intervallo, al cospetto dei brani operistici Conlon manifesta la sua predilezione per tale repertorio: pur pasticciando la Sinfonia da I vespri siciliani, dove le varie sezioni sono a tratti disomogenee e gli attacchi risultano imprecisi, l’accompagnamento dei solisti è decisamente più rifinito, consapevole e morbido. Gli interventi del Coro, preparato da Claudio Marino Moretti, evidenziano il grande affiatamento dei componenti e il pregevole lavoro, svolto negli ultimi tempi, per la crescita dell’intero gruppo. Ottima l’esecuzione di “Chi del gitano i giorni abbella?” da Il trovatore e dell’attesissimo “Va’ pensiero sull’ali dorate” da Nabucco di Verdi. È squisita l’idea di proporre l’effervescente “Quadrille” su temi da Un ballo in maschera op. 272 di Johann Strauss Jr., peccato però si sia deciso un cospicuo taglio delle pur brevi sei sezioni, ridotte al solo iniziale Pantalon, con i motivi più celebri dell’opera, e allo scoppiettante Finale. Per la prima volta, nel programma di capodanno, compare anche la rara “Ouverture” da Il viaggio a Reims (non scritta tuttavia appositamente per l’opera, bensì un assemblamento spurio da temi di diversa provenienza, come i Ballabili da Le siège de Corinthe) che Rossini compose per l’incoronazione di Carlo X re di Francia nel 1825. La direzione di Conlon evidenzia l’umorismo del pesarese e coglie il sapido intreccio dei temi, amalgamati nei celeberrimi crescendo.

Con una nota dell’ultimo momento, il teatro informa il pubblico della sostituzione dell’indisposto Celso Albelo con Stefano Secco. Il tenore italiano dà voce a “La donna è mobile” da Rigoletto e “Una furtiva lagrima” da L’elisir d’amore. Pur apprezzando la disponibilità last minute, la prova, scenicamente più viva, si rivela assai mediocre. Il cantante affronta, in particolare Donizetti, con scarsa efficacia: al bel timbro si abbinano emissioni gutturali le quali intaccano l’omogeneità della gamma, strozzando alcuni suoni, specie in zona centro grave. La situazione migliora leggermente nel “Libiam ne’ lieti calici” da La traviata dove il palcoscenico è condiviso con il soprano americano Nadine Sierra. Il suo strumento, brunito e ricco di sfumature, emoziona nell’intensa esecuzione di “O mio babbino caro” da Gianni Schicchi di Puccini ma denota più di qualche imprecisione al cospetto delle agilità richieste da “Je veux vivre dans le rêve” da Romeo et Juliette di Gounod.

La serata si chiude con il bis del Brindisi e con gli applausi scroscianti dell’eterogeneo pubblico, nell’allegria generale che anticipa l’arrivo del 2016.

foto Michele Crosera