L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Pace ai vinti

 di Pietro Gandetto

Al Teatro Elfo di Milano va in scena Ti regalo la mia morte, Veronika di Federico Bellini e Antonio Latella, liberamente ispirato alla poetica del cinema fassbinderiano,  prodotto da Emilia Romagna Teatro, Fondazione nell'ambito di Progetto Prospero. 

MILANO, 18 marzo 2016 - Riprendendo territori da lui già percorsi, Antonio Latella svolge un’analisi del mondo femminile indagando il lessico e i contenuti dell’opera cinematografica di Rainer Werner Fassbinder. La poetica del regista bavarese viene qui scandagliata dalla prospettiva dei deliri di una donna, Veronika Voss, protagonista di un film dell'autore tedesco dell’82, ispirato alla storia di una stella cinematografica del III Reich, Sybille Schmitz, tramontata dopo la caduta del regime. 

La pièce si apre con il nevrotico racconto della protagonista che, avvolta in un cappottino rosso bon ton, implora l’aiuto  del pubblico, ricercando invano una lucidità che le sfugge via. Circonda la donna un gruppo di scimmioni, che rappresentano dapprima le voci interiori che la tormentano e che, nel corso dello spettacolo, si spogliano, trasformandosi, ciascuno, in un nuovo e autonomo personaggio. Gli scimmioni fanno da coro ai disperati “assoli” della protagonista, il tutto sotto l’occhio vigile di una macchina da presa, che ripercorre il proscenio su due binari, forse simobolo dei treni che trasportavano i deportati nei campi di sterminio. Raffinati motivi musicali accompagnano le scene salienti dello spettacolo.

L’interazione con il pubblico in sala è reale, perché in platea siede uno dei personaggi chiave del plot, Robert Krohn, un giornalista sportivo, specializzato in corse di cavalli, invaghito della diva e intento nel vano tentativo di salvarla dalla morfina che le viene somministrata a mani piene in una clinica di lusso, gestita dalle inferocite aguzzine della Voss.

In questo groviglio di visioni, aneddoti, sogni e disperati lamenti, sullo sfondo compare un immenso tappeto bianco fatto della stessa pelliccia degli scimmioni, quasi un muro della memoria, su cui vengono proiettate le sagome di Fassbinder stesso e di Sybille Schmitz, in un alternarsi di ombre che si sgretolano e si ricompongono come la labile psiche della protagonista.

Il tema dei vinti, degli sconfitti, dei reietti, caro al regista tedesco, viene qui riproposto e amplificato, con un lessico drammaturgico estremamente raffinato. Emblematico di questa eleganza è il finale cechoviano che richiama anche Le déjeuner sur l’herbe di Manet, con un ciliegio in fiore calato dal soffitto, che rappresenta lo stesso Fassbinder, una sorta di magnanimo demiurgo che genera buoni frutti. Attorno all'albero si raccolgono infatti alcune delle protagoniste femminili dello stesso autore tedesco: Maria Braun, Marta, il transessuale Elvira, vestite tutte con sontuosi abiti in tinte pastello. Un ensemble dove Veronika trova finalmente la pace, circondata dal calore umano dei vinti, prima del suo trapasso, ad opera della pistola dello stesso Robert. 

Uno spettacolo dal forte impatto emotivo, crudo, schietto ed efficace nella resa psicologica dei personaggi. Efficacissimo il contributo del cast composto da Valentina Acca, Candida Nieri, Caterina Carpio, Nicole Kehrberger, Fabio Pasquini, Maurizio Rippa e con Massimo Albarello, Sebastiano Di Bella, Fabio Belillo nel ruolo dei creatori delle ombre.  Robert è Annibale Pavone. L'esile struttura psicologia della protagonista Veronika Voss, trova nella fisicità e nel contributo di Monica Piseddu un'interprete ideale, capace di creare un personaggio dalle dimensioni enormi. 

Ampi consensi a fine spettacolo, da parte di un pubblico completamente avvinto da un'atmosfera surreale.


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