L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il passato sotto la polvere

 di Roberta Pedrotti

G. Rossini

L'inganno felice

Dalla Benetta, Regazzo, Bracci, Sargsyan, Anderzhanov

Antonino Fogliani, direttore

Jochen Schönleber, regista

Virtuosi Brunenses

Bad Wildbad, 23/25 luglio 2015

DVD Dynamic, 37760

La più celebre delle opere semiserie ha scontato nella sua fama una serie di forzature connaturate alla sua scomoda posizione di unico lavoro teatrale di un titano cimentatosi con un genere delicatissimo. Ecco che il singspiel Fidelio, esempio preclaro nel soggetto di pièce à sauvetage che miscela elementi tragici e di commedia verso un avventuroso lieto fine, si grava di forme imponenti, contenuti ideali non più sottintesi, tradizioni esecutive sontuose e magniloquenti. Eppure, benché presto passato di moda con l'impellere del Romanticismo, il dramma semiserio è di per sé, anche nella sua apparente levità, genere degnissimo e fondamentale, nell'evoluzione del teatro musicale, proprio per la sua realistica commistione di registri e il suo coinvolgimento anche in situazioni tragiche di personaggi umili e borghesi (ne sia esempio, almeno, la marcia funebre per Ninetta condannata a morte nella Gazza ladra).

Non stupisce troppo, purtroppo, che fra le farse veneziane di Rossini la meno frequentata sia proprio L'inganno felice, che condivide l'intreccio – con debite mutazioni – con un altro lavoro non proprio fortunatissimo del Pesarese, Sigismondo: una calunnia spinge il nobile (duca o re) protagonista a ripudiare e condannare a morte la sposa; questa, scampata alla sua triste sorte, vive per anni sotto mentite spoglie in umili condizioni, protetta da un suddito di buon cuore (consapevole o meno della sua vera identità) finché l'occasione di un nuovo incontro con il consorte non porta allo smascheramento della calunnia, mercé anche il pentito complice del bieco ufficiale, seduttore deluso e vendicativo. Si gioisce, dunque, ogniqualvolta L'inganno torna sulle scene, poiché la partitura, di rara finezza, stempera a meraviglia i tratti buffi che spariranno nel Sigismondo in una squisita atmosfera sentimentale e malinconica.

Così abbiamo gioito per la riuscitissima ripresa pesarese del 2015 [leggi la recensione] e gioiamo ora per l'uscita in dvd della produzione andata in scena nella stessa estate a Bad Wildbad, senza nascondere la speranza che anche il ROF pubblichi presto il video del suo spettacolo.

L'allestimento bavarese punta su toni di grigio, sull'effetto impolverato dei costumi di Claudia Möbius, coerenti con l'ambientazione mineraria dell'atto unico, ma anche con il clima nostalgico di una vicenda che è la resa dei conti di un intrigo di dieci anni precedente, con protagonsiti, dunque, non più giovani, ma gravati da due lustri di dolori, rimorsi, lavoro, stenti. La regia di Jochen Schönleber è misurata nel rispettare questo clima, alleggerito all'occorrenza da qualche spruzzata di commedi: tutto risulta chiaro, pur senza intuizioni memorabili e cedendo alla tentazione di qualche rinunciabile passetto di danza. E se pure la fisicità paciosa di Tiziano Bracci può richiamare più il classico cliché del basso buffo, è chiara l'intenzione di non fare di Batone un personaggio semplicemente comico: forse un buon diavolo, in fondo in fondo, per quanto braccio destro di quel sinistro figuro di Ormondo; forse un subdolo dissimulatore che sa voltar gabbana senza esporsi e sfruttando l'aspetto di innocuo pacioccone. Bracci, poi, è solido musicista e cantante non meno ferrato, capace di rendere senza problemi le difficoltà di una parte scritta per il grande Filippo Galli con voce omogenea e ben timbrata in tutta la scrittura. L'altro “buffo”, per tipologia vocale più che per evidenza drammaturgica, è Lorenzo Regazzo, che a Tarabotto può prestare tutta la sua esperienza d'interprete, la confidenza con il repertorio, la sua cura nel recitar cantando e un timbro che non avrà più la virile esuberanza dei primi tempi, ma ha acquisito, con qualche ruga, il carattere giusto per il buon minatore che ha salvato e ospitato Isabella spacciandola per sua nipote Nisa.

Questa è Silvia Dalla Benetta, cui il girovagare spericolato fra ruoli e repertori non si può dire abbia giovato alla qualità timbrica, un tantino inaridita. Lo smalto un po' opaco, qualche acuto inasprito, però, in questo caso hanno buon gioco nel definire il ritratto di una donna che molto ha sofferto, calunniata, abbandonata, nascosta fra i più umili minatori, un'aristocratica le cui dita delicate si sono screpolate, i cui abiti preziosi riposano lisi e impoverati nell'attesa tenace di una riconciliazione e di un ritorno agli affetti e agli agi antichi. Con consapevole gestione dei propri mezzi, il soprano vicentino affronta anche l'ardua versione alternativa dell'aria “Al più dolce e caro oggetto”, chiusa dalla medesima cabaletta intonata, fatti salvi i pertichini del coro, da Amenaide nel secondo atto di Tancredi. La ricostruzione della partitura di questa pagina si deve a Stefano Piana, per l Deutsche Rossini Gesellschaft.

Artavazd Sargsyan, il duca Bertrando sposo di Isabella creduta morta (e provvidenzialmente vedovo della seconda moglie), ha colore piacevole ma non sembra sempre a suo pieno agio nei passi di coloratura e nel registro acuto, più volte sollecitato. Baurzhan Anderzhanov è, viceversa, un Ormondo ben timbrato, tagliente nell'accento, preciso nel canto.

Antonino Fogliani, sul podio, conferma il buon affiatamento con i Virtuosi Brunenses e amministra sapientemente i tempi e le atmosfere del dramma semiserio. Peccato che la ripresa delle voci e del rapporto fra buca e palcoscenico non sia dei migliori, ma è una pura questione tecnica del DVD che non riguarda la prova di concertatore, cantanti e strumentisti. Parimenti, se la regia video nell'azione è chiara e puntuale, certe inquadrature grandangolari dell'orchestra durante la sinfonia rischiano di dare qualche capogiro.

Una curiosità, l'atto unico di circa un'ora e mezza risulta esser stato eseguito con un intervallo dopo il terzetto centrale.


 

 

 
 
 

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