L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Maria João Pires e Kaito Kobayashi

Maria João e Kaito

 di Stefano Ceccarelli

L’Istituzione Universitaria dei Concerti (IUC) ospita un’artista prestigiosissima: la pianista portoghese Maria João Pires e il suo Partitura Project, progetto nato da una sua profonda speculazione didattico/pedagogica e che la vede sul palco affiancata da giovani promesse del pianoforte da lei scoperte nel ruolo di talent scout. In questa occasione è il ventunenne giapponese Kaito Kobayashi ad affiancarla sul palco. Il programma prevede l’alternanza dei due al pianoforte, l’uno alla tastiera mentre l’altro è intento nell’ascolto: inizia la Pires con la Sonata in la bemolle maggiore n. 31 op. 110 di Ludwig van Beethoven, seguita da Kobayashi con la Sonata in la bemolle maggiore n. 12 op. 26 sempre del genio di Bonn; nel secondo tempo è Kaito a ricominciare con la Sonata in la minore n. 8 K 310 di Wolfgang Amadeus Mozart e la Pires a concludere con l’ultimo capolavoro pianistico di Beethoven, la celeberrima Sonata in do minore n. 32 op. 111. Il concerto è un autentico successo.

ROMA, 3 maggio 2016 – L’Istituzione Universitaria dei Concerti invita per uno speciale concerto una delle pianiste più eccelse dei nostri tempi: la stupenda e serafica Maria João Pires, nota per le sue eleganti interpretazioni e per il suo impegno umanitario e didattico/pedagogico. Proprio da un suo progetto, Partitura Project, nasce la serie di concerti che la vede affiancata da artisti più giovani, da lei scoperti durante le numerose masterclasses da lei tenute in tutto il mondo. Il Partitura Project si basa sulla compresenza di due artisti sul palco: uno suona mentre l’altro ascolta. Si crea, così, un’atmosfera quasi dimessa, più intima di un usuale recital, in cui l’artista non impegnato al piano risulta quasi un ascoltatore modello, che al termine della performance si congratula e magari fornisce sue impressioni per migliorare l’arte dell’amico. La speculazione pedagogica della Pires è volta proprio all’eliminazione dei toni competitivi fra i vari artisti, mirando a creare un’atmosfera più serena. Il concerto ha quindi previsto l’alternarsi al pianoforte della Pires con uno dei suoi allievi, Kaito Kobayashi, giovanissimo (appena ventunenne) eppur già sul palco di una così importante istituzione musicale.

È la Pires ad aprire le danze con la Sonata n. 31 op 110 di Beethoven. Fin dal Moderato cantabile molto espressivo (I) la Pires svela le sue doti di pianista di tocco, dotata di scorrevolezza e piacevolezza sonora, diffondendo un suono soffuso ma espressivo: proprio questa perfezione sonora, che non toglie certo colore al suono, accompagna il dipanarsi della forma sonata, evidenziando con particolare dolcezza i passaggi tra i vari temi. Coloratissimo il secondo movimento, virile l’attacco dell’Adagio che termina in un capolavoro di composizione, una fuga di ieratica semplicità, alle cui voci la Pires dona un suono terso, pregnante, fortemente emotivo, acuito dall’attenzione con cui rende la climax di accordi precedenti la ripresa della fuga stessa. Gli applausi sono fragorosi, degno omaggio al genio portoghese. Kaito Kobayashi, assorto fra le dense note della sonata beethoveniana, sorge e si complimenta con la Pires. È ora il suo turno. Opportunamente, vista la sua giovane età, si confronta con un brano beethoveniano non certo dell’emotività dell’op. 110: sceglie infatti la Sonata n. 12 op. 26, virtuosistica e di piacevole effetto, al punto giusto, ma certo meno drammatica della sorella. Le variazioni iniziali – tecnica compositiva tanto amata da Beethoven! – mettono in luce il fluido tocco del giovane giapponese, che risalta opportunamente il diverso ethos di ogni variazione; lo Scherzo è sufficientemente brioso. La Marcia funebre sulla morte di un eroe (III) è forse troppo spedita in alcuni tratti, poco sofferta e mortifera in altri: s’avverte, insomma, l’assenza di una personalità interpretativa ancora pienamente sviluppata, l’acerbità dell’interpretazione – peraltro perfettamente consona a un ragazzo di quest’età. Meglio l’Allegro (IV), clavicembalistico. Questa synkrisis – confronto, come dicevano i Greci – fa risaltare un diverso stile e, di rimando, un differente livello di comprensione della lettera musicale fra i due artisti.

Secondo una studiata struttura a chiasmo, è Kaito che apre il secondo tempo: la Sonata n. 8 K 310 di Mozart. Ecco il miglior Kobayashi: Mozart è certamente più nelle sue corde, ora come ora, e nelle sue possibilità d’espressione e lettura del testo musicale. La sonata ha una sua drammaticità intrinseca, scaturita in Mozart dagli eventi della morte della madre e del fallimento del viaggio viennese, drammaticità che Kaito riesce a controllare giacché imperniata su una chiarissima scrittura fatta di virtuosismi verticali, trilli, ritorni, attese, soprattutto nell’Allegro maestoso. Buona l’esecuzione dell’Andante; bruniti gli effetti che riesce a trovare nel Presto. Il concerto è chiuso da un cavallo di battaglia della Pires: la Sonata n. 32 op. 111 di Beethoven, l’ultima sonata del genio di Bonn. Di una drammaticità senza pari, di una sconcertante modernità quasi totalmente incompresa da pubblico e critica del tempo, si tratta di un pilastro storico della musica classica. L’esecuzione è magnifica, profondamente sentita, perfetta: solo una pianista dell’esperienza e della sensibilità della Pires può donarci un’esecuzione siffatta. L’introduzione in medias res, così teatralmente sensuale, è resa dalla Pires con pur controllato piglio (più frenata, guardinga, certo, di un Richter): il tema principale, imperante e fatale, è scandito con profonda consapevolezza, l’evoluzione virtuosistica e le differenti declinazioni dello stesso con profonda espressività. L’Adagio, all’attacco, ha il vibrante sentimento di un caldo abbraccio materno; sublime la concatenazione delle variazioni, che la Pires rende con incomparabile colore e stile, dosando magistralmente effetti e sensazioni. Lascia ancora sgomenti a ogni ascolto la variazione jazzata (sì, Beethoven aveva intuito/inventato persino il jazz…), in cui la Pires si lascia andare proprio come un jazzista dovrebbe. Gli applausi l’omaggiano degnamente. Pires e Kobayashi salutano il pubblico con un bis a quattro mani, una trascrizione della deliziosa Canzone di Solveig dal Peer Gynt di Grieg.


 

 

 
 
 

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