L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Rachel Harnisch

Nel segno di Mozart

 di Alberto Ponti

Prosegue all’Auditorium Rai la rassegna La voce e l’orchestra con un concerto dedicato per intero al genio salisburghese

Della suprema triade di sinfonie mozartiane composte nell’estate del 1788 quella in mi bemolle K 543, in misura maggiore rispetto alle notissime sorelle in sol minore K 550 e Jupiter K 551, appare la più proiettata verso il futuro.

In essa il velo del destino appare per un attimo lacerato, lasciando intravedere tra gli squarci quel che sarebbe potuto diventare un Mozart non costretto a morire trentacinquenne ma ammesso ad affacciarsi al nascente romanticismo insieme ai suoi illustri successori. Tutta la partitura è infatti disseminata, come un testo esoterico, di spunti passati inosservati alle orecchie dei contemporanei ma destinati ad essere ripresi dai grandi della generazione successiva. L’icastico motto di quattro note del primo movimento (mi bemolle – sol – mi bemolle – si bemolle) sarà nientemeno che il tema di apertura dell’Eroica beethoveniana, nello stesso tempo di ¾ e nella stessa tonalità di impianto, mentre nel secondo tema del medesimo allegro pare di avvertire per un istante il fremito di "Auf dem wasser zu singen", Lied che Mario Bortolotto ha definito forse la più bella melodia di Schubert.

Già schubertiano è anche il trio del minuetto che, a differenza dei sublimi esempi di Haydn, non ha quasi più nulla di settecentesco, con i clarinetti in primo piano (quando Mozart li utilizza nascono sempre capolavori) e quelle acciaccature dei violini che liquidano con una venatura di malinconia le residue convenzioni dello stile galante. Sul podio Hansjörg Albrecht, quarantenne tedesco, appare informale nell’approccio e spigliato nella scelta dei tempi, procedendo con movenze e gesti eleganti, privo di bacchetta, senza indugiare troppo sui drammatici contrasti tra maggiore e minore che alimentano l’andante con moto ma assai a suo agio nel brillante allegro finale, che scatena con l’inesauribile iniziativa e il suo continuo aprosdoketon l’entusiasmo di un pubblico non numeroso ma letteralmente galvanizzato. L’Orchestra Sinfonica Nazionale, come una fuoriserie col motore subito a regime, asseconda la guida sportiva del maestro dando prova di notevole compattezza con un’esecuzione ben bilanciata nella dinamica e i fiati in grande spolvero, tanto più apprezzabile in un autore che non perdona sfasature e indecisioni.

Le stesse caratteristiche si erano ritrovate nella pagina di apertura del concerto, la sinfonia in do maggiore K 338 (1780), ultimo lavoro di ampio respiro composto prima della rottura con l’arcivescovo Colloredo a Salisburgo e la partenza per Monaco e Vienna. Opera per l’epoca di grande virtuosismo orchestrale, con trombe e timpani in primo piano e un celebre finale in forma di perpetuum mobile, aveva stimolato e preparato il palato a una serata di degustazioni sopraffine resa ancora più memorabile da una scelta di celebri arie tratte dal teatro mozartiano con la partecipazione del soprano Rachel Harnisch (1973), tra le migliori interpreti di questo repertorio.

Fisico minuto, voce calda e scura, non particolarmente potente ma pronta a slanciarsi verso le vette del pentagramma con tecnica sovrana, la cantante svizzera ha donato ai presenti un’interpretazione coinvolgente di gemme quali "Se il padre perdei" da Idomeneo, re di Creta e "Fra i pensier più funesti di morte" da Lucio Silla. Il vertice dell’emozione si raggiunge con "L’amerò, sarò costante" dal secondo atto della serenata Il re pastore (1775), rondò che rimane tra gli immortali traguardi della maturità appena sbocciata del giovane musicista, in cui il canto si alterna e gareggia con il violino solo nel dipingere un idillio di tizianesca soavità che si vorrebbe infinito, a cui fa seguito la scena e aria di Donna Anna dal Don Giovanni, "Non mi dir, bell’idol mio", brano ai vertici qualitativi del teatro d’opera. La Harnisch raggiunge un’intensità espressiva rara in una sala da concerto, superando da autentica dominatrice del ruolo alcune delle maggiori difficoltà insite nella scrittura vocale di Mozart.

I ripetuti applausi e le chiamate in scena la inducono infine a regalare fuori programma un "Porgi amor" da Le nozze di Figaro di alto rigore stilistico e forte persuasione poetica.


 

 

 
 
 

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