L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Dal buio, il canto

 di Alberto Spano

Il pianista cinese Haochen Zhang in recital a Imola.

IMOLA (BO), 11 novembre 2016 – Il recital si svolge al buio. Questa l'impressione al bel concerto del pianista cinese Haochen Zhang al Teatro Comunale Ebe Stignani di Imola, per l'Emilia Romagna Festival “Winter”. È una sensazione quasi dolorosa, accentuata dall'effetto raggelante da imminente bombardamento, dovuto alle fredde luci verdi d'emergenza rimaste accese per la sicurezza. Gli spettatori sono ectoplasmi informi immersi nello scuro come fantasmi, i palchi sembrano ormai sinistre fessure in una visione catacombale del teatro.

Superato lo choc visivo (ma la vista influenza la percezione uditiva, ben lo sapeva Karlheinz Stockhausen), occhi e orecchi sono giocoforza puntati sul pianismo morbido e sensibile di questo ventiseienne pianista cinese di educazione americana (è stato allievo a Philadelphia di Gary Graffman, il gran maestro di Lang Lang e Yuja Wang), che nel 2009 ha vinto il Concorso Van Cliburn e che in Italia ha suonato finora pochissimo. Programma intenso ma breve, eseguito per di più senza l'intervallo, a sala completamente buia (o quasi). Evidente è l'intento antidivistico: voler quasi scomparire, o “richterianamente” concentrare l'attenzione solamente sulla musica eseguita.

Attaccate le prime note alle 21.05, si usciva alle 22.05. “La brevità, gran pregio” diceva il poeta bohémien, ma la sensazione di un vuoto il concerto un po' la lascia. Haochen Zhang apre con le Kinderszenen op. 15 di Schumann e c'è subito il giusto trionfo di una musicalità intima, di sonorità soffuse, rotonde, con un fraseggio auto-compiaciuto, finanche eccessivo. Un lirismo esasperato, suffragato da una tecnica sofisticatissima del particolare, del rubato e dell'attesa. È una strada interessante, ma non è ancora completamente a fuoco, perché il rischio del manierismo fine a se stesso rimane dietro l'angolo. Rischio un po' meno evidente nello Chopin della Sonata n. 2 op. 35, in cui il giovane pianista sa trovare sonorità e idee sempre nuove, agevolato dal fatto di rispettare educatamente il ritornello nel primo tempo, quindi puntando tutto a una ricerca timbrica variegata e originale. Ricerca molto matura, che produce anche alcune meraviglie di cantabilità trattenuta nella Marcia Funebre, meno efficace nel Finale, (“Vento ululante fra le tombe”), molto ben suonato, ma sostanzialmente ordinario. Stessa poetica sofisticata del timbro Zhang la applica nella Sonata n. 7 op. 83 di Prokof'ev, la cui antivirtuosistica lettura risolta musicalmente con improvvisi squarci illuminati qua e là in mezzo a sonorità pianistiche fra l'urticante e il soffocato, spazza via qualsivoglia ricordo di percussività o di visioni di guerra (la sonata fu composta durante le prime fasi del secondo conflitto mondiale).

Insomma, il pianismo di Zhang fa continuamente rima con lirismo, questo lo si è capito dalle prime due note consecutive da lui ascoltate: tutto canta, anche una gragnuola di accordi che potrebbero risultare solo bombastici. Canta anche la trascrizione birichina di Fazil Say della Marcia Turca di Mozart offerta come primo bis, in cui però l'effetto dissacrante originario risulta compromesso. Canta ovviamente il preludio La fille aux cheveux de lin (La ragazza dai capelli di lino) di Debussy e canta pure l'Intermezzo in la maggiore di Brahms dall'op. 118, il che non è proprio scontato con i pianisti di oggi.


 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.