L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Jorge de Leon e Luciana d'Intino

Senza incanto né passione

 di Andrea R. G. Pedrotti

Scialba e anonima sia teatralmente sia musicalmente la Carmen inaugurale del, tormentato, 94° festival dell'Arena di Verona. La bravura di coro, orchestra e corpo di ballo ricorda come l'istituzione scaligera meriti un avvenir migliore.

Guarda la selezione video della prima

Leggi la recensione della replica diretta da Kovatchev con Carmen Topciu e Irina Lungu

VERONA, 24 giugno 2016 - Dopo discussioni di mesi, dibattiti, un commissariamento ministeriale e un’infinità di peripezie che hanno turbato la città di Giulietta, torna a Verona il festival estivo che, per l’inaugurazione della 94° edizione, prevedeva uno dei titoli simbolo dell’anfiteatro scaligero: Carmen. Presente in Arena fin dalla seconda edizione del 1914, si propone di conferire nuovamente la ribalta all’arte.

Qualche sentore della situazione non lieta è la distribuzione, fuori dagli arcovoli dell’Arena, da parte di alcuni elementi del corpo di ballo della Fondazione di una lettera aperta del segretario della Federazione internazionale dei musicisti indirizzata al ministro dei beni culturali Dario Franceschini.

Lo spazio è completamente gremito e lo si intuiva già dalle lunghe code che animavano piazza Bra, il soliti habitué dell'opera, uniti a una moltitudine di persone che, forse, per la prima volta si interessavano a uno spettacolo del grande teatro Lirico.

È per il festival estivo che l’attenzione per la piccola Verona varca le sponde dell’Adige. Se il livello d’attenzione, sempre cangiante per durata e intensità da un individuo all’altro, è limitata nel tempo, chi osserva inesorabile il suo regno è sempre lei: l’ala dell’Arena, quest’anno non è colorata dalle tinte dell’iride, nessuno spettatore viene scelto per partecipare attivamente allo spettacolo, ma l’ala è sempre al suo posto, elegante e maestosa, forse speranzosa di comprendere che cosa riserverà il futuro.

Purtroppo dal palcoscenico, e, soprattutto dal podio, non giungono le note passionali e intense che il pubblico areniano ha sempre amato. L’Arena non è uno spazio destinato per sua natura a rappresentazioni teatrali, né – tantomeno - all’opera; tuttavia quello veronese è un luogo unico, perfetto a utilizzare i medesimi mezzi (seppur ingigantiti nei numeri delle masse) per narrare la medesima storia impressa nella partitura, ma con una forza comunicativa differente e dirompente. Esecrabile per la magia areniana l’idea di porre ai due lati estremi dello spazio destinato al pubblico delle gallerie del pubblico due grandi schermi, con il libretto dell’opera in inglese e italiano.

Della regia di Franco Zeffirelli si è già detto molto in passato e permangono le medesime perplessità che esprimemmo in occasione dell’edizione del festival 2014 [leggi la recensione]. Il primo atto viene ulteriormente spogliato, con il corpo di ballo relegato in due piccoli gruppi alle due estremità del palcoscenico, impegnati in movenze che molto sanno di maniera, al centro parecchia confusione e poco affollamento. L’ingresso in scena di Carmen avviene da una posizione fin troppo defilata perché questa possa attirare l’attenzione del pubblico e l’arresto della stessa avviene in una generale staticità, piuttosto anonima.

Migliorano leggermente le cose per la Chanson bohème nell’osteria di Lillas Pastia. Un momento che due anni or sono fu di grande effetto e riscosse un notevole successo è l’ingresso di Escamillo con la grande macchia cromatica dei drappi al vento: purtroppo anche questo espediente visivo viene meno e il bellissimo “Votre toast, je peux vous le rendre... Toreador, en garde” passa anch’esso nell’anonimato.

Nel resto dell’atto poco o nulla più dello stretto indispensabile. Discorso simile per il successivo, con il terzetto delle carte rappresentato senza grandi spunti e, quel che è peggio, l’anonimato in cui si perde pure il personaggio di Micaëla, sovente considerata erroneamente figura di personalità scialba, ma in realtà di straordinario carattere: Carmen può essere vista semplicemente come un’egoista asettica, che avvince con vacua trasgressione ed erotismo, mentre dovremmo domandarci se la sigaraia sarebbe stata capace di scalare (sola) un monte e avventurarsi fra rudi contrabbandieri, esclusivamente per avvertire Don José, che stolido non ascolta la coraggiosa e passionale giovinetta.

Nel quarto atto ci si aspetterebbe qualcosa di più, ma anche il grande “A deux cuartos!” e “Le voici! Le voici!”, con l’ingresso di Escamillo trionfante nel suo cimento della Corrida, non lasciano il segno. Unica nota di cronaca è stata la bizzosità di un destriero, esuberanza tale da costringere il cavaliere a un piccolo rodeo e all’uscita di scena al galoppo.

La danza è ben eseguita dal corpo di ballo areniano, memore di una coreografia ben nota ai suoi componenti. Forse l’effetto ci è perso meno spagnoleggiante del solito, a causa di una concertazione deficitaria.

Finale statico con il duetto “C'est toi? C'est moi!” affrontato con poche idee.

Affrontando il discorso strettamente musicale, siamo costretti a constatare come una concertazione incolore (soprattutto in Arena) possa render per nulla coinvolgente un intero spettacolo. Xu Zhong (direttore principale della Fondazione) non fa altro che battere il tempo scolasticamente e la sua lettura è completamente priva di fraseggio e perennemente monocromatica: il secondo e il terzo atto sono eccessivamente slentati, penalizzando, soprattutto, Escamillo, che si identifica nel tema qui esposto. Se il primo atto si è perso nel nulla (pessima la concertazione dell’ouverture), il secondo e il terzo sono risultati slentati, peggio è andata nel quarto, ove la piattezza esecutiva s’è ampliata.

Nel corso di “A deux cuartos!” e “Le voici! Le voici!” il pubblico dell’Arena, che avrebbe lo strano desiderio di divertirsi, tenta di accennare un applauso ritmato. L’orchestra suona tecnicamente bene, ma è più merito dei professori che del direttore, anche considerato come, meno di un anno fa e con le medesime maestranze, a Verona veniva allestito lo splendido Carmen Gala Concert e non possiamo certamente scordare la meravigliosa resa musicale dei brani affrontati e le bellissime coreografie che animarono la serata. [leggi la recensione]

Nel cast chi si è fatta preferire è stata sicuramente la protagonista Luciana D’Intino, forte della sua esperienza e quindi molto precisa musicalmente e diligente nella recitazione. Il fraseggio non entusiasma, ma, anche su questo versante, è la migliore del cast. Se vogliamo trovarle un vero e proprio difetto è l’assenza di fascino, e in Carmen non è poco.

Ekaterina Bakanova (Micaëla) si impegna scenicamente, senza conferire sfumature al personaggio. È poco partecipe alle vicende e tende ad appiattire l’emotività della fanciulla. Buona l’esecuzione dell’aria del terzo atto “Je dis que rien ne m'épouvante”, ma il soprano russo evidenzia una notevole rigidità dello strumento e un’emissione mai pulita. Il colore è bello, ma ci sembra ancora presto per la Bakanova affrontare ruoli impegnativi e di maggior lirismo, senza uno studio più approfondito.

Chi delude è il Don José di Jorge De Léon: l’intonazione è precaria e lo squillo non ha mai libero sfogo. Scenicamente appare impacciato e alcune intenzioni di fraseggio, specialmente nell’aria “La fleur que tu m'avais jetée”, sono stroncate dall’analgesia della concertazione.

Discorso simile, riguardo l’interpretazione, per Dalibor Jenis, che interpreta un Escamillo anonimo, corretto vocalmente, ma poco incisivo per la personalità scenica.

Abbastanza difficoltoso distinguere il colore vocale di Frasquita (Madina Karbeli) e Mercedes (Clarissa Leonardi), entrambe sicure solo nel registro centrale. Appare ben riuscito il terzetto delle carte con Carmen ed è già molto nella stanca serata.

Bene gli altri comprimari: Gianfranco Montresor (Dancairo), Paolo Antognetti (Remendado), Gianluca Breda (Zuniga) e Marcello Rosiello (Morales).

Ricordiamo i sempre bravi primi ballerini: Alessia Gelmetti, Teresa Strisciulli, Amaya Ugarteche, Evghenij Kurtsev e Antonio Russo. Coordinatore del corpo di ballo, il maestro Gaetano Petrosino.

Come sempre fra piacere salutare la bella prova del coro della Fondazione Arena, per la prima volta diretto nella stagione estiva da Vito Lombardi. Medesimo discorso per coro di voci bianche A.LI.VE. diretto da Paolo Faciancani.

La regia era di Franco Zeffirelli, i tradizionali costumi di Anna Anni, la coreografia di El Camborio, ripresa da Lucia Real.

foto Ennevi


 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.