L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Jesi, adelson e salvini

I primi passi di Bellini

 di Federica Fanizza

Bel successo per la riscoperta della prima opera belliniana a Jesi.

JESI, 11 novembre 2016 -  Adelson e Salvini è la prima opera di Vincenzo Bellini, scritta nel 1825 come prova finale degli studi sotto la guida di Nicola Zingarelli al collegio musicale S. Sebastiano in Napoli. Il successo giunse clamoroso tanto che valse al giovane compositore catanese il premio che consisteva, oltre alla somma di denaro, nell’onore di scrivere un’opera per Real Teatro San Carlo, quel Bianca e Gernando che andò in scena in quel teatro nel maggio del 1826 spalancandogli le porte al successo e alla fama. Andelson e Salvini è un'opera semiseria “alla francese”, ossia con dialoghi parlati tra i numeri musicali, e il libretto di Andrea Tottola era già musicato a Napoli da Vincenzo Fioravanti nel 1816, senza successo. Nel musicarlo a sua volta, Bellini dovette attenersi alle risorse messe a sua disposizione: un’orchestra da camera composta dagli stessi studenti e gli allievi più meritevoli della classe di canto del grande Girolamo Crescentini, costituita da soli maschi anche per le parti femminili. Rispetto ai fanciulli impegnati en tavesti, le voci virili erano di livello più avanzato e Bellini poté contare, per esempio, sul tenore Leonardo Perugini, il primo Adelson. In questa versione, come da tradizione partenopea, il buffo servo Bonifacio (Bonifacio Voccafrolla) si esprime in dialetto e strizza l'occhio anche a Rossini; nella revisione del 1828, poi, la parte fu tradotta in italiano e furono apportate altre modifiche, fra cui l'introduzione dei recitativi secchi e la riduzione da tre a due atti. Nello stesso anno aveva licenziato la seconda versione di Bianca e Gernando con il titolo Bianca e Fernando (non sussitendo a Genova la difficoltà censoria del nome di battesimo del sovrano borbonico), forte del bel successo arriso al suo debutto alla Scala a Milano con Il pirata (27 ottobre 1827).

Pur essendo un saggio scolastico, nulla risulta scontato in questa composizione d’esordio, della quale, infatti, Bellini fece tesoro: parte della sinfonia iniziale dell’Adelson e Salvini la ritroviamo trasmigrata nel Pirata, la romanza di Nelly ("Dopo l’oscuro nembo") diverrà la cavatina di Giulietta nei Capuleti e Montecchi (1830). Con un attento ascolto è possibile indentificare le prime espressioni dello stile caratteristico belliniano; sono d’esempio il trattamento riservato alle parti tenorili, nonché la soluzione degli assiemi.

La proposta di questa prima versione di Adelson e Salvini da parte dalla Fondazione Teatro Pergolesi di Jesi ha felicemente coinvolto, in uno stimolante percorso formativo giustamente concentrato su un titolo per il quale non si avverte il peso di confronti e tradizioni pregresse, un cast giovane ed entusiasta, salutato dal pubblico con attenzione ed entusiasmo

Il direttore d'orchestra, lo spagnolo José Miguel Perez-Sierra, può essere definito un esperto di repertorio rossiniano e delle rarità della tradizione belcantista: si è formato musicalmente a Pesaro come assistente di Alberto Zedda ed è apparso spesso sia al Rossini Opera Festival sia al Festival di Bad Wildbad. Supportato dall’Orchestra Sinfonica G. Rossini di Pesaro, ha impresso il giusto ritmo fin dalla Sinfonia, senza eccedere in concitate sonorità rossiniane, offrendo una visione equilibrata dell'ispirazione belliniana in rapporto alla tradizione con cui si confrontava, ben coadiuvato dal palcoscenico, con un cast di giovani promesse e consolidate certezze.

I due ruoli del titolo erano affidati al baritono russo Rodion Pogossov, Lord Adelson, e al tenore di origine turca Merto Sungu, il pittore italiano Salvini. Cantante di esperienza, più volte impegnato al Metropolitan di New York e con le orchestre sinfoniche londinesi, Pogossov ci restituisce un Adelson autorevole, a suo agio sia nella chiarezza dei parlati sia nel canto. Questo giudizio vale anche per il tenore, già Conte d’Almaviva nel Barbiere di Siviglia al Teatro dell’Opera di Roma: ha delineato un pittore romantico e stralunato in cerca di un amore impossibile, tutto pervaso di giovanile ardore in giusto contrasto con la posatezza d’animo di Adelson. Sungu ha inoltre saputo dominare una parte nella quale Bellini anticipa le difficoltà di sue opere future (si percepisce già l'ombra di Arturo dei Puritani). Il basso baritono kazako Baurzhan Anderzhanov era il nobile proscritto Struley, desideroso di vendicarsi di Adelson in un intrico di faide familiari ambientate nell’Irlanda del XVIII secolo: peccato che la sua dizione italiana non fosse perfetta, ma nel canto ha reso a dovere la malvagità del personaggio.

Clemente Antonio Daliotti impersonava il servo Bonifacio, vero e proprio deus ex macchina: la pratica sia del repertorio rossiniano sia dell’opera napoletana gli è stata utile per evitare di cadere nel grottesco o in eccessi comici. Le origini campane gli hanno, inoltre, garantito la disnvolutra nell'idioma partenopeo. A fargli da contrasto, il Geronio (confidente di Struley) di Enrico Marchesi, giustamente maligno e altero.

I ruoli femminili di Fanny, Madama Riviers e Nelly, tre mezzosoprani, sono stati interpretati rispettivamente da Sara Rocchi, Giovanna Lanza e Cecilia Molinari.

Alla giovanile esuberanza della Fanny di Sara Rocchi (classe 1991) era affiancata la Madama Riviers di Giovanna Lanza, artista di più consolidata esperienza, confidente ancor più protettiva, perciò, nei confronti delle giovani protagoniste. Nelly, orfana, ospite promessa sposa di Adelson, era interpretata Cecilia Molinari (classe 1990), che, forte delle sue esperienze al Rossini Opera Festival, ha saputo dar rilievo alla protagonista con maturità e sapienza nel fraseggio, nell'agilità e nella morbidezza del cantabile e delle note gravi.

Tanto merito alla riuscita della produzione va assegnato alla sapiente regia di Roberto Recchia; molto semplice nella gestualità (perfino banale nelle entrate e nelle uscite degli attori), è riuscito a ricostruire lo spirito dell'ambiente accademico e studentesco in cui è nata questa prima creazione belliniana. Coadiuvato dalle scene di Benito Leonori e dai costumi d'epoca di Catherine Buyse Dian, lo spettacolo ci ha immerso in un ambiente anglosassone che ci ricorda le atmosfere dei romanzi delle sorelle Brontë. L'Irlanda, un po' selvaggia e primitiva è stato ricostruita come una galleria d'arte che custodisce paesaggi e ritratti femminili in enormi tele che ricostruivano gli spazi descritti nel libretto; fungevano inoltre da quinte riflettendo un sapiente gioco di luci creato da Alessandro Carletti, con tonalità tra il verde e l'azzurro.

I pochi interventi di corali erano affidati al coro Lirico Marchigiano “V. Bellini” diretto dal maestro Carlo Morganti .

Realizzato in coproduzione con il Teatro V. Bellini di Catania lo spettacolo verrà riproposto in quella sede nel 2017.

foto Stefano Binci


 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.