L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Antonio Pappano e Lucy Crewe

Johannes-Passion secondo Pappano

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, per i festeggiamenti della Pasqua, presenta La Passione secondo Giovanni (Johannes-Passion)di Johann Sebastian Bach. Sul podio il maestro Antonio Pappano, che dipinge una passione intimistica, di senso autenticamente luterano. Il cast dei cantanti è ottimo: Staples, Williams, Crowe, Hallenberg, Gerhaher, alcuni già uditi in Accademia anni fa, per esempio nella monumentale Messa in si minore di Bach. Un autentico successo, un’esecuzione magistrale coronata da meritati applausi.

ROMA, 13 aprile 2017 – In omaggio ai festeggiamenti pasquali, Antonio Pappano sceglie di dirigere un classico fra i grandi affreschi sacri di Bach: la Johannes-Passion. L’orchestra opportunamente ridotta, tutto il coro sontuosamente spiegato e cinque cantanti ospiti solisti danno vita a una delle più celebri e belle composizioni di uno dei padri della musica occidentale. Il concerto, che si inserisce nei festeggiamenti per i cinquecento anni di nascita del Luteranesimo (quando Lutero affisse, alle lignee porte della Schlosskirche di Wittengerg, la sua Disputatio pro declaratione virtutis indulgentiarum, vale a dire le novantacinque tesi) è patrocinato dalla Commissione nazionale italiana dell’UNESCO.

Il maestro Pappano si distingue al solito, nella direzione, per pulizia e coerenza, soprattutto in un polittico di tali dimensioni (tutti i musicisti hanno suonato per due ore filate). Attento ai particolari, persino indulgente alle non poche nuance operistiche – à la mode di Händel – che sono sparse nella monumentale partitura, Pappano non perde mai di vista i sacri sospiri di un’opera pur così ‘realistica’ in alcuni punti, persino ‘cinematografica’ in altri. Ma, soprattutto, offre una Johannes-Passion fortemente intimistica, eterea, non sfarzosa (quello sfarzo che tanto Lutero criticava nell’esteriorità vana del rito cattolico alle soglie del rinascimento), creando effetti da interno di chiesa riformata, ma non facendo affatto svanire l’intima tensione di salvifica speranza che soggiace in tutto il testo. L’orchestra lo segue magnificamente.

Gli interpreti sono tutti all’altezza. Andrew Staples ha voce piena, sonora, a tratti squillante, e scolpisce ottimi recitativi: canta tantissimo e riesce sempre a interpretare al meglio. Nella prima aria, Ach, mein Sinn, dimostra le sue doti interpretative negli accorati singulti vocali. Magnifica la messa di voce in Erwäge wie sein blutgefärbter Rücken, così come i mesti melismi che evocano i dolori del Cristo. Roderick Williams, dalla voce rotonda, bruna, ben assestata, con un vibrato caldo, è adattissimo agl’interventi ieratici del Cristo: chiudendo gli occhi si percepisce la profondità della sua voce. Lucy Crowe staglia due magnifiche arie, amalgamandosi perfettamente con le sonorità fatate dei flauti: in Ich fogle dir la sua voce è nitida, argentina, chiarissima; in Zerfliesse, mein Herze, in Fluten der Zähren ci mostra la perizia delle sue messe di voce ‘fissa’ barocca e gli angelici accenti della linea canora. Il famoso contralto Ann Hallenberg canta due sole arie: un vero peccato che nella prima, Von den Stricken meiner Sünden, sia leggermente sottotono, seppur molto musicale, duttile, colorata. Certo lo richiede l’intimità dell’espressione di quell’aria, ma si fa proprio difficoltà a sentirla sopra il pur minimo velo orchestrale: compensa col vibrato fraseggiare e l’interpretazione, di cui è indiscussa maestra. Nella seconda, Es ist vollbracht!, sul palco sale un’altra Hallenberg: perfetto controllo della voce – ora limpidamente udibile – emerge anche energicamente in una splendida messa di voce e nello spumeggiare del canto che inneggia alla vittoria del re dei Giudei. Un vero piacere poter udire l’interpretazione di Christian Gerhaher, dalla voce scura, notturna (perfetta, infatti, per la produzione liederistica romantica), ma soprattutto incredibilmente malleabile, al pari d’argilla, nei recitativi in cui interpreta Pilato, come pure nelle sue arie. La più ‘cinematografica’ è quella (Betrachte, meine Seel’, mit ängstlichem Vergnügen) in cui l’io poetico contempla la passione del Cristo «con amaro piacere», quasi un gioco cinematografico di telecamera, appunto: Gerhaher esprime appieno la toccante interiorità, il momento di stasi contemplativa mentre avviene l’efferatezza della flagellazione. Ancora la sua voce si piega alle bruniture concitate di Eilt, ihr angefocht’nen Seelen.

Straordinario protagonista di questo maestoso affresco è il coro: quello dell’Accademia, poi, è tra i migliori del mondo. Le voci si confondono in un amalgama potente, maestoso, che lascia pur sempre perfettamente discernere le differenti compagini. La maestà degli accenti del coro si lascia apprezzare fin da Herr, unser Herrscher dessen Ruhm; ma il coro riesce anche a simulare la scomposta furia della folla in Wäre dieser nicht ein Übeltäter. Come, poi, prega accorato eppur placido in Durch dein Gefängnis, Gottes Sohn; e ancora mostra accenti luciferini nella ruzzante scrittura contrappuntistica di Lasset uns den nicht zerteilen. Non lesina di donarci accenti squisitamente celestiali in Er nahm alles wohl in Acht e commoventi in O hilf, Christe, Gottes Sohn. I due ultimi corali sono semplicemente splendidi: il coro riesce a colorare di un velo funereo, di contrasti caravaggeschi Ruht wohl, ihr heiligen Gebeine e a librarsi nell’etere con la dolcissima melodia di Ach Herr, lass dein’lieb’Engelein. Gli applausi esplodono ancor prima che Pappano abbassi completamente le braccia tese nella direzione.


 

 

 
 
 

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