L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

 Lo spazio di Bach

di Roberta Pedrotti

Violino e violoncello soli, sul palco dell'Auditorium Manzoni, ma sono quelli di Isabelle Faust e di Mario Brunello, magnifici artisti che in questa sala tante volte si erano esibiti anche con Claudio Abbado. In programma Bach e Ravel, per un pubblico assai numeroso e giustamente entusiasta.

BOLOGNA, 31 marzo 2014 - Il palco è vuoto. Legno chiaro, caldo, linee pure ed essenziali. Non siamo abituati a vederlo così, pur nella varietà di manifestazioni che ospita, bensì scrigno per un'orchestra schierata in formazione sinfonica o cornice per un troneggiante pianoforte grancoda. Ora è vuoto; una sedia rossa, minimalista, un leggio o due; Mario Brunello e Isabelle Faust, un violoncello e un violino; Bach, poi Ravel.

Rispetto a quanto annunciato nel pieghevole distribuito all'ingresso il programma non subisce variazioni nella sostanza, ma nell'ordine, e dall'alternanza fra soli e duo si passa a una sorta di percorso ascensionale, meditato anche sotto il profilo armonico: inaugura la serata il Do minore, con la Suite n.5 BWV 1011 (per violoncello a mo' di preludio), risponde la relativa maggiore con la Sonata n.3 BWV 1005 per violino, quindi, sempre a partire dal Do maggiore, trasecolorano le quindici tonalità delle Invenzioni a due voci trascritte dalla tastiera a una coppia di archetti, portando infine al Si minore, che pare porgere la mano al Ventesimo secolo, con un semitono di differenza e cambiamento di modo, chiudendo il cerchio ancora in Do maggiore, con la Sonata per violino e violoncello di Ravel (1922).

Lo spazio vuoto è riempito da soli due strumenti e da architetture di contrappunti tanto sottili quanto prossime all'assoluto, il cui perfettissimo meccanismo intellettuale riesce a essere innervato dallo pneuma d'una cantabilità quasi transumanata. L'eccellenza degli interpreti, la loro perfetta sintonia in duetto e il loro sapersi rispondere a distanza nella koiné d'un comune sentire non sorprende, ma continua a stupire, tale la precisione tecnica, la cura acuminata del disegno polifonico, il senso studiatissimo della dinamica, del colore, del fraseggio. È evidente, su tutto, il piacere di condividere questi frutti sublimi dell'ingegno umano e di farsene tramite l'un l'altra e verso il pubblico. Il puro piacere intellettuale e artistico libera lo spirito e la naturale, lucidissima ed enigmatica espressione della scrittura in sé e per sé, che non è per questo travisata e invischiata in anacronismi stilistici. È solo il piacere della sua essenza, riconosciuta e vissuta, a dar vita alle architetture bachiane, alle sue dimensioni verticali e orizzontali, alle sue astrazioni, che sembrano trovare inevitabilmente, in tanta concentrazione esecutiva, la brillantezza e il calore, i tratti diafani, gli effetti d'eco e il gioco dinamico fra le voci.

Alla luce di Bach, la Sonata di Ravel splende a sua volta in modo particolare nell'elaborazione armonica e contrappuntistica, nell'emancipazione delle dissonanze ormai compiuta ma sempre gestita con maestria, nell'ampliamento dell'orizzonte tonale e modale, nella costruzione ritmica e nell'approccio fisico allo strumento, con una largo uso di vigorosi pizzicati, che, pur non alieni da tradizioni precedenti, richiamano al jazz e a sonorità orientali (non per nulla il pezzo fu dedicato a Debussy) e anticipano l'approccio di molti contemporanei – fra cui la Gubajdulina – alle potenzialità degli archi.

Quando la fama è concretamente basata sui meriti, conquistata sul campo e nell'esplorazione di luoghi e linguaggi effettuata sempre con serietà e rigore intellettuale, i risultati sono evidenti. Il pubblico, assai numeroso, continua a premiare con calore la rassegna di Grandi Interpreti del Bologna Festival 2014. Gli applausi sono entusiastici e gli artisti, sorridenti, non possono esimersi da un bis, un ritorno a Bach con il Canone inverso per aumentazione dall'Arte della fuga, introdotto da Brunello con un'efficace e affabile colloquialità che suscita più d'un sorriso in sala. Il sorriso torna a essere ascolto concentrato, poi acclamazione festosa. Il palco forse appariva vuoto, entrando in sala, ma la dimensione metafisica del contrappunto ha concentrato in sé tutto lo spazio, annullando il senso di pieno e vuoto in favore della pura astrazione del suono e dello pneuma.

Attraversando la platea, i corridoi, il guardaroba e il foyer, un'altra piacevole sensazione ci conforta: ancora una volta molti i giovanissimi nel pubblico, tutti attenti e partecipi. Merito del progetto “Giovani in sala”, realizzato con il sostegno di UniCredit, che offre una guida all'ascolto e l'ingresso gratuito agli studenti degli istituti superiori: in frutti, di concerto in concerto, ci paiono evidenti e confortanti. Speriamo che l'iniziativa si ripeta regolarmente e che questi ragazzi, anche al di là della promozione, possano prendere l'abitudine di frequentare teatri e sale da concerto con sana curiosità.

 

 

 

 
 
 

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