L’Ape musicale

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Spettacoli e artisti dell'anno

Naturalmente, non è solo tempo di consuntivi, ma anche di prospettive. Lancio allora alcuni spunti di riflessione per l'anno nuovo.

Filologia, testo, consapevolezza

La filologia, è bene ricordarlo, non è una scienza esatta e immutabile, ma si evolve nelle metodologie e nella percezione di cosa sia auspicabile sotto il profilo stilistico. Va da sé che sia anche materia specialistica, o comunque portata all'attenzione di una cerchia più ristretta di pubblico: proprio per questo, però, le direzioni artistiche, i direttori, i registi dovrebbero - come i critici - porre maggiore attenzione a quello che si propone. Tornando alla memoria a qualche anno fa, ci si potrà ben ricordare che a Pesaro - festival monografico dove la maggior parte del pubblico si presuppone più attenta a certi temi - si accendevano dibattiti feroci non tanto o non solo su una regia o la scelta di un cantante, quanto più sull'opportunità di alcune variazioni o di un'aria di baule. Oggi, purtroppo, si riscontra una sempre minore attenzione su questioni che invece dovrebbero essere sostanziali nell'approccio a un'opera, prima fra tutte la consapevolezza del testo adottato e la sua coerenza. 

Alcuni esempi pratici: la Fondazione Rossini e Casa Ricordi non hanno una propria edizione critica del Comte Ory, ma esiste quella edita da Bärenreiter e curata da Damien Colas, vale a dire il maggior esperto dell'attività parigina dei compositori italiani nell'Ottocento. Ora, non siamo al corrente delle eventuali trattative in merito, né sullo stato delle antiche ruggini della polemica fra Alberto Zedda e Philip Gossett che portò lo studioso americano ad abbandonare la Fondazione proprio in favore dell'editore tedesco, tuttavia dobbiamo riconoscere il dispiacere nel vedere un'opera data a Pesaro non in edizione critica quando un'edizione critica di ottima firma esisterebbe. Peraltro, lo splendido lavoro di Eleonora Di Cintio sulla Cambiale di matrimonio confermerebbe il valore delle nuove generazioni in forza alla Fondazione Rossini. Parimenti, dare il Xerse di Cavalli, opera nota per le sue ampie proporzioni, salvo poi tagliuzzarla per addomesticarne la durata come è avvenuto a Martina Franca in un altro festival dalla tradizione altamente specializzata deve far riflettere. Né bisogna dimenticare che non solo alla Scala si vede attuare la scelta drammaturgicamente e musicalmente insensata di innestare nel finale della seconda quello della prima versione del Macbeth verdiano, cosa che potrebbe essere ammessa solo con la coscienza di un'eccezione che deve essere assai ben motivata. D'altra parte, un altro esempio di un senso malinteso di integralità (inseriamo tutto quello che l'autore ha scritto!) rispetto alle logiche e all'equilibrio di un'opera si vede nel Turco in Italia, che ormai è entrato in uso in una versione ibrida che accumula tutte o quasi le arie opzionali o alternative scritte o approvate da Rossini senza considerare che mai le approvò per l'esecuzione tutte insieme. Così si verifica ciò che abbiamo visto con Don Giovanni, per il quale si è consolidata una forma mista fra le versioni di Praga e Vienna (e, quindi, due arie per Don Ottavio e due per Donna Elvira, quando Mozart e Da Ponte ne previdero una a testa in ciascuna versione). E, a proposito di Don Giovanni, nella recente produzione OperaLombardia abbiamo visto addirittura "Dalla sua pace" anticipato subito dopo "Che giuramento, oh dei" senza alcun senso drammatico e musicale (se gli autori l'hanno posta dopo "Or sai chi l'onore" sapevano quel che facevano); al contrario, in una produzione problematica per mille motivi, nella poco riuscita Trilogia d'autunno ravennate, si è almeno avuta l'occasione di ascoltare Don Giovanni nella versione di Praga, rinunciando a "Dalla sua pace" e a "Mi tradì quell'alma ingrata", ma guadagnando - sorpresa! - una fluidità drammaturgica di per sé superiore all'accumulo di bellissima musica a cui siamo abituati. Sarà anche difficile fare a meno di qualcosa, ma non è detto che non ne valga la pena, se questa era l'idea degli autori. Speranze concrete per il futuro, peraltro, ci sono: Il barbiere di Siviglia a Macerata e Norma per OperaLombardia con Bonato (che ha pure ben tenuto a battesimo la prima dell'edizione critica della Cambiale di matrimonio in Oman) integrali e con scupolo filologico come La traviata diretta da Enrico Lombardi sempre per OperaLombardia fanno capire che la sensibilità giusta nelle nuove generazioni si può trovare.

Dunque, l'auspicio per questo e i prossimi anni è che si torni a parlare più e meglio di filologia, che non si consideri l'opera italiana, anche quella barocca, una confezione di Lego da combinare a piacimento, ma un testo coerente con una propria logica da conoscere e comprendere. Le libertà, poi, si possono prendere, ma solo se si padroneggia il linguaggio.

Critica e società

Il 2022 ci ha posti di fronte a molti dibattiti etici legati all'attualità e a dinamiche sociali in evoluzione. Penso, ovviamente, alle ripercussioni della guerra in Ucraina (caso Gergiev, ma non solo) e alle tematiche di genere o etniche (per esempio, la questione del blackface sollevata dal soprano Angel Blue). L'arte, il teatro, la musica, d'altra parte, non posso essere una turris eburnea avulsa dal mondo che le circonda, da cui provengono e in cui si muovono gli artisti che le danno vita e il pubblico a cui si rivolgono. Conviene e sarebbe anzi doveroso ascoltare e dialogare, il che non vuol dire assorbire passivamente ogni istanza, ma contribuire a una crescita dialettica. Questo dovrebbe metterci anche al riparo dai sensazionalismo e dagli slogan che spesso distorcono i concetti dando vita a vere e proprie fake news che avvelenano il confronto invece di portare a una soluzione. Solo chi non è sicuro di sé, non ha competenza, consapevolezza e argomenti teme di mettersi in gioco e, nel caso, di cambiare, anche perché il cambiamento può essere evoluzione, non necessariamente negazione di sé.

Per questo ritengo sia fondamentale da parte di tutti una rivalutazione profonda del pensiero critico e quindi anche dell'attività critica (musicale, teatrale, letteraria, artistica che sia). Non si tratta di friggere aria su un regno di nuvole immaginato da Aristofane o Swift, ma si tratta di mettere il pensiero al centro dell'attenzione, contro i rischi del muro contro muro a prescindere, dello scontro urlato per luoghi comuni, della superficialità che dà spazio al pensiero distorto, falso, complottista. Alla boutade di chi ha pensato di creare una lista di critici "buoni" approvati dallo Stato possiamo rispondere con la qualità di un pensiero veramente libero. Libero anche dalle prese di posizioni a priori, dagli schieramenti che si ripetono ciclicamente dai tempi dell'asianesimo e dell'atticismo, dei filoelleni e degli antielleni, "des anciens et des modernes", dei lullisti e dei ramisti, verdiani e wagneriani, callasiani e tebaldiani... fino agli amanti delle regie moderne per partito preso e ai tradizionalisti a prescindere. E magari liberi anche dalla necessità di trovarsi d'accordo a incoronare rivelazioni e artisti di moda, di crearci zone di conforto umano e artistico. Poi, questi problemi non sono nuovi, seppur rapportati a nuovi media, tutti abbiamo i nostri limiti umani, certo, e anche questo il bello del pensiero critico: sa di non essere infallibile e quindi ragiona sempre anche su sé stesso.

Ditemi voi, signori, se non ne abbiamo bisogno? Dal 2023 proviamo a rivalutare il ruolo della critica, che ridimensioni come si deve i fenomeni senza sostanza, che vagli percorsi e meriti, che dia sostanza a un dibattito serio e argomentato, ragionato e costruttivo. Il mondo di oggi, l'arte che si confronta con la guerra, la globalizzazione, le tematiche sociali, di genere, religione, etnia ha più che mai bisogno di una critica vera, che deve essere riconosciuta e riconoscibile, in relazione sana di dialogo disinteressato con gli artisti e il pubblico, che persegua i principi deontologici di trasparenza, onestà, lealtà e buona fede con la responsabilità anche dello studio costante. Roba che non si mangia, eppure necessaria.

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