L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il racconto di una vita

di Alberto Ponti

Filippo Gamba, nell’ambito di MITO Settembre Musica, propone alla Scuola Holden un recital dedicato per intero al pianoforte di Johannes Brahms

TORINO, 14/09/2022 - C’è un evidente contrasto fra il suggestivo ambiente del ‘General Store’ della Scuola Holden ricavato nell’ex Caserma Cavalli di Borgo Dora a Torino, allestito negli spazi da Dante Ferretti, e la figura del pianista veronese Filippo Gamba.

Quanto più il primo, nel suo disordinato chic postindustriale, parrebbe evocare di primo acchito un Novecento da ‘musica della macchina’ (Honegger, Mosolov, Prokof’ev), tanto più il secondo, con un presentarsi dapprima in scena tranquillo, quasi dimesso, e poi concentrato alla tastiera richiama, nell’aspetto rassicurante, la stessa figura ‘brahmsiana’ come tramandata dalle tarde fotografie e ritratti del compositore: qui la barba, seppur presente, è meno folta e fluente ma lo sguardo sincero e aperto pare il medesimo.

Come in una serata tra amici, dall’atmosfera quieta e raccolta, si snoda il racconto di una vita d’artista passando dal leggendario, fiammeggiante eroismo delle Quattro Ballate op. 10 composte nel 1854 dall’autore ventenne, al sofisticato e meditato pianismo dell’op. 116, opera di quasi quarant’anni successiva, dove la brevità concentrata dei brani cela complessità costruttive preziose ma mai fini a se stesse, in grado di conferire una sostanza musicale di prim’ordine sotto la facciata di piccole gemme solo all’apparenza meno impegnate rispetto alle grandi forme.

Ne sortisce una maratona di oltre un’ora, un vero e proprio tour de force con pagine di ardua esecuzione per le quali Gamba sceglie un pianismo poco spettacolare ma efficace, misurato nella gestualità ma scolpito e indelebile nel risultato al modo di un affresco antico sopravvissuto intatto sotto la polvere dei secoli.

Il tocco nitido, rigoroso, rispettoso dello spartito non esclude infatti un fraseggio personale, curato e prodigo di sottigliezze e sfumature. Il solista mette in luce le risonanze interne dei pezzi, spesso nella tipica forma A-B-A, le perfetta fattura dalle proporzioni calibrate, i rimandi tematici e armonici tra le sezioni alternate.

Dalla maestria di Filippo Gamba discendono multiple chiavi di lettura, all’interno di un sublime ed enigmatico labirinto che viene affrontato con classe ed eleganza di navigato e attento concertista, dipanando la matassa brahmsiana con tecnica impeccabile e squisita sensibilità.

Si ha così all’ascolto l’impressione di un intimo e unitario legame fra tutti i titoli proposti, lo svolgersi lungo un unico arco dell’appassionato profilo della vicenda artistica e umana del compositore tedesco. Gli ardori giovanili delle Ballate, soprattutto le prime due che, entrambe sotto l’indicazione di un tempo Andante, rivelano un romanticismo ribollente, eroico e ricco di contrasti, si stemperano negli Intermezzi dell’op. 116: i numeri dal 4 al 6, dall’incedere sognante e incantato, paiono un unico poema alimentato dallo sguardo retrospettivo su un’esistenza che condensa nella sua creazione buona parte della parabola del grande Ottocento strumentale, il cui esemplare alter ego è rappresentato dall’energia propulsiva e contagiosa dei numeri 1, 3 e 7 della raccolta (denominati invece Capriccio).

Anche l’Intermezzo op. 117 n. 1 eseguito come bis trova un pendant nell’op. 118 n. 2, epigrafe di apertura della serata, conclusa dal secondo encore del n. 14 (Dolce e cantabile) da Davidsbündlertänze di Robert Schumann. Dai traguardi estremi dell’autore già proiettato idealmente verso la Vienna di Schönberg, debitore nelle opere d’esordio a Brahms non meno che a Mahler e Wagner, il cerchio si chiude nel nome del primo mentore dell’amburghese, colui che ne aveva salutato l’avvento con la celebre metafora di Minerva uscita armata di tutto punto dalla testa di Crono.

Pubblico non foltissimo ma rapito, partecipe ed entusiasta.

 

 

 
 
 

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