L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Figaro fiorentino

di Luca Fialdini

Dopo trent'anni fa ritorno al Teatro della Pergola l'amato allestimento delle Nozze di Figaro firmato da Jonathan Miller

FIRENZE, 15 maggio 2022 – Esistono allestimenti che sembrano non invecchiare e riescono a mantenere buoni rapporti con il pubblico: uno di questi è Le nozze di Figaro firmato da Jonathan Miller per il 55° Maggio Musicale Fiorentino nel lontano 1992 e ripreso con successo nel 2003, nel 2010 e ritorna quest’anno nel trentesimo anniversario della produzione al Teatro della Pergola, che l’ha vista nascere. In trent’anni di è detto e scritto molto su questo Figaro con i fondali di tela dipinta ma, come altri hanno già sottolineato, la matrice tipicamente britannica che tende a rendere un allestimento quasi decontestualizzato dalla propria cornice temporale è sicuramente una buona carta per la longevità dello spettacolo (mutatis mutandis, lo scorso anno ci si interrogava sull’attualità del Figaro scaligero di Strehler).

In questa terza riedizione delle Nozze fiorentine, la prima dopo la scomparsa di Miller, la regia è ripresa da Georg Rootering. Beninteso, in questa lettura si è sempre privilegiato il colore comico della vicenda, ma stavolta si è voluto andare un po’ troppo sopra le righe, ad esempio con i troppi saltelli di Basilio, tutti che cercano la spilla alla fine del terz’atto e Marcellina che letteralmente mette a posto la scenografia nel quarto; in ogni caso, tolti questi dettagli, il lavoro di Rootering conserva la magia di quello che ormai si può considerare un classico e in alcune aggiunte ha qualche guizzo felice. Le scene – spoglie ed efficacissime a un tempo – di Peter J. Davison e i costumi settecenteschi di Sue Blane completano l’incantesimo, mentre il disegno luci di Emanuele Agliati dona vita al tutto.

La questione del podio si è rivelata insolitamente spinosa: al forfait di Zubin Mehta è seguito quello di Marc Minkowski e alla fine lo spettacolo è stato salvato dalla mano ottantatreenne di Theodor Guschlbauer, che per queste Nozze sceglie tempi in buon compromesso tra palco e buca; di più, governa tenendo le redini saldamente in mano e in alcuni frangenti tiene l’orchestra persino troppo a regime: complessivamente la sonorità mozartiana è eccellente ma ci sarebbe bisogno di qualche ingresso sonoro di maggior peso, manca quel forte imponente di contrabbassi e corni in «Marcellina, Marcellina, quanto tardi a comparir», i corni che bucano nelle risposte triviali alla fine della tirata misogina di Figaro o nei re e la ribattuti al «corriam tutti a festeggiar» sono quasi una necessità, invece la decisione di non apportare i tagli di tradizione – le due arie di Marcellina e Basilio – è una nota di pregio (come si usa dire a Padova «xe pèso el tacòn del buso»). L’Orchestra del Maggio, dal canto suo, risponde bene alle indicazioni di Guschlbauer e dimostra una bella compattezza di suono, offrendo anche un buon sostegno al canto; sicuramente buono il Coro del Maggio, ma con le mascherine non si può pretendere più di quel che si è ascoltato.

Il cast complessivamente è all’altezza del titolo e, prima ancora di meriti e demeriti individuali, è onesto considerare che fa l’unica cosa che si debba fare in un’opera corale: funziona bene insieme. Sarina Rausa e Nadia Pirazzini (Due contadine) sono poco efficaci, mentre Rosalia Cíd è una Barbarina frizzante e disinvolta sul palco, perfetto abbinamento a Cherubino; ben centrati e caratterizzati l’Antonio di Davide Piva e il Curzio di Antonio Garés.

Di rilievo il “trio buffo” in cui si distingue Carmen Buendia come una Marcellina davvero riuscita, dal timbro caratteristico e dal fraseggio pulito, Paolo Antognetti è un Basilio prettamente comico, un po’ sopra le righe come si è accennato, ma di buon effetto sia nei numerosi insiemi sia nell’aria del quarto atto; Fabio Capitanucci è un Don Bartolo convincente, riuscendo a supplire a uno strumento vocale non particolarmente potente con una recitazione accattivante. Meritevole di menzione il Cherubino di Serena Malfi, assai verosimile nel ruolo en travesti e dalla vocalità morbida degna del paggio.

Kirsten MacKinnon è una Contessa che si mostra inizialmente fragile per poi riacquisire polso nello svolgimento dell’opera; bella vocalità aperta con centri interessanti, quello su cui si vorrebbe maggior cesello sono i momenti patetici che le sono affidati, che rischiano di non risultare di spessore. Alessandro Luongo è un Conte d’Almaviva eccellente, preciso nella vocalità quanto nell’interpretazione: l’aspetto maggiormente riuscito forse è l’aver saputo trasmettere così bene la duplice anima del Conte, un personaggio sottilmente in bilico tra il comico e il serio.

Benedetta Torre ha una vocalità di cui ci si innamora, sulla scena è spigliata e sempre a suo agio e riesce a reggere perfettamente un ruolo pesante come quello della cameriera (a parte qualche eccezione è sempre in scena) ma i modi e il portamento sono troppo signorili per una Susanna qualsiasi. Oltre a questo mancano anche i mezzi toni e le ombre del personaggio: non si vede quel lampo di malizia, quel compiacimento nell’essere corteggiata anche se naturalmente in concreto non se ne farebbe nulla; nell’opinione di chi scrive sarebbe molto più adatta come Contessa o Fiordiligi.

Luca Micheletti domina sostanzialmente incontrastato la scena, tanto vocalmente quanto attorialmente. Figaro è un personaggio che risulta ormai ben interiorizzato nei cui panni Micheletti si trova completamente a proprio agio; a questo si aggiunge uno strumento vocale generoso, uniforme nel passaggio tra i registri a cui si aggiunge l’intelligenza di un fraseggio minuzioso, accuratamente preparato. In tre parole: il Figaro idale.

Tanti applausi a scena aperta e lunghe ovazioni finali non possono che essere la miglior conclusione per questa folle giornata.

 

 

 
 
 

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