L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Musica sulla Loira

di Roberta Pedrotti

Torna il Festival Concerts d'Automne di Tours. Abbiamo seguito il secondo fine settimana, con concerti dedicati all'Orfeo di Monteverdi, alla musica sacra di Rachmaninov e alla liederistica di Haydn nel comun denominatore della qualità esecutiva e della coerenza poetica, con alcune vette artistiche da ricordare.

TOURS, 15-16-17 ottobre 2021 - "O beau pays de la Touraine”, non aveva tutti i torti Marguerite de Valois, per lo meno secondo Meyerbeer, Scribe e Deschamps: Tours, il capoluogo, è una città che merita di essere visitata. Già il biglietto da visita è eloquente, dato che la stazione ferroviaria è firmata dall'architetto Victor Laloux, cui si deve anche la parigina Gare d'Orsay, riconvertita nell'omonimo museo. La città di San Martino e di Balzac gioca in prodigioso equilibrismo fra la Guerra dei cent'anni, le memorie di Jeann d'Arc, i castelli della Loira, il gotico fiammeggiante delle cattedrali e gli edifici medievali intatti da una parte, la grandeur napoleonica, un municipio sfacciatamente pompier e un Grand Théâtre non proprio grand, ma miniatura perfetta dello stile Garnier delle capitali dall'altra. Bistrot e brasserie si alternano a locali internazionali, basta passeggiare per Rue Colbert per fare un giro del mondo gastronomico, senza trascurare lo spazioso boulevard napoleonico, le architetture più moderne, le rive della Loira solcate da aironi e altri piumati. Almeno un'occhiata, poi, va data al Musée de beaux arts, vegliato da un colossale cedro del Libano. Non son tutti capolavori, certo, ma ci sono Mantegna e Mattia Preti, Ingres e Delacroix, Degas e Monet, Rubens e Rembrandt. E anche a non voler puntare solo sui pezzi forti, anche le opere meno eclatanti hanno qualcosa da raccontare, come le scene mitologiche che nel Settecento fanno da allegoria a tutte le possibili liaisons dangereuses dell'aristocrazia libertina, mentre dopo le rivoluzioni, insieme come l'Oriente esotico, mascherano i segreti della rispettabile borghesia. Fra un marmo antico “completato” secondo l'idea di restauro dei tempi di Richelieu e una feroce satira dell'industria capitalista che stritola la classe operaia come sfacciato donnone nudo a cavalcioni di una macchina fallica contro omini impotenti, fra una Diane Chasseresse di Jean Antoine Houdon tanto moderna nella linea da esser rifiutata per “inconvenance” ai Salon del 1775 e 1777 e scene familiari d'una verità commovente (la madre già in abito da sera che dà l'ultima poppata alla figlioletta prima del ballo), non si tratta solo di ammirare tecniche, prospettive, composizioni, ma di entrare attraverso l'arte nella storia.

Si sta bene a Tours, e se servisse un'occasione per decidersi a programmare una visita, questa è fornita su un piatto d'argento dal Festival Concerts d'Autumne, che torna quest'anno, senza aver conosciuto pause per la pandemia, sempre sotto la direzione artistica di Alessandro Di Profio.

Il coinvolgimento della città è chiaro già dalla quantità di locandine affisse nelle vetrine, ma si tocca poi con mano quando si incontrano i numerosi, gentilissimi volontari che collaborano alla realizzazione di queste due settimane di musica. Dal barocco italiano e francese a Piazzolla, passando per Mozart, Haydn e Rachmaninov: ce n'è per tutti i gusti, ben miscelati in due fine settimana.

Grand Théatre, 15 ottobre. Monteverdi, Orfeo. I nostri tre giorni cominciano proprio dalla nascita dell'opera, con quella che dalla locandina sembra annunciarsi come un'edizione in forma oratoriale e che invece si rivela una mise en espace particolarmente riuscita. Un gioco luci essenziale quanto efficace fra i blu turchesi dell'aldiquà e i rossi dell'aldilà, un'azione chiara e lineare per i cantanti in scena con gli strumenti. L'astrazione scenica è anche musicale: il Monteverdi presentato dall'Ensemble I gemelli, con qualche taglietto consigliato dalla situazione non ancora pienamente ricondotta alla normalità, ha uno spirito che si potrebbe definire nordico per la ricerca di un suono snello, pulito, esattissimo. Intonazione impeccabile, assieme sempre a fuoco, intarsio strumentale – ovviamente d'epoca – calibrato alle dimensioni e all'acustica della sala in un gioco cameristico di sottrazione in cui, attorno all'asse portante dei due cembali e dell'organo, la delicatezza delle viole da gamba o di arpa, liuto e tiorba fa da contraltare alla pregnanza timbrica dei fiati (due cornetti, due flauti, tre tromboni tenori e due bassi).

Se la concertazione sul palco fa perno intorno al cembalo e all'organo di Violaine Cochard, la direzione musicale si deve a Emiliano Gonzalez Toro, che incarna anche Orfeo con vocalità giustamente duttile, dalle risonanze baritonali pronte a schiarirsi o assottigliarsi nell'ascesa al registro più schiettamente tenorile, né le volute di “Possente spirto” lo impensieriscono, anzi, sono sgranate nitide e disinvolte. Fra delicatezza e contegno, la favola pastorale assume quasi contorni di sacra rappresentazione, meditativa ma non per questo cerebrale, anzi, a suo modo elegiaca. Lo dimostra la Messaggera di Natalie Perez, sorvegliata nell'accento, asciutta nell'emissione quanto intimamente partecipe nell'espressione e nel gesto. Lo dimostrano l'eloquenza di Fulvio Bettini come Apollo e lo squillo ben tornito di Juan Sancho come Pastore, insieme con l'atra essenzalità di Jérome Varnier (Pastore e Caronte) e di Nicolas Brooymans (Plutone), la delicatezza di Mathilde Etienne (Proserpina), Alix Le Saux (Speranza), Maud Gnidaz (Ninfa), Olivier Coiffet (Pastore). Un passo indietro per la voce agretta e l'articolazione poco chiara e incisiva – pur in un cast che, parco di madrelingua, punta saggiamente su altre qualità che non la spiccata eloquenza – Lauranne Oliva, pallida come Euridice ma soprattutto, ed è il rammarico maggiore, come Musica nel Prologo.

Nella naturalezza ritrovata del teatro vissuto seduti fianco a fianco (senza abbassare le mascherine!), la concentrazione è condivisa, come i calorosi e prolungati applausi finali. Al termine, però, la vera festa è nel foyer, quando viene conferito il grado di Chevalier des arts et des lettres al musicologo Damien Colas – al momento la massima autorità per quel che concerne anche la produzione parigina di Rossini e Verdi.

Église Saint Julien, 16 ottobre, Rachmaninov, Les vêpres La chiesa di Saint Julien, ultimo avanzo di un'abbazia andata distrutta, già trasformata in rimessa per carrozze in tempi rivoluzionari, è aperta ai visitatori sono in occasione di concerti, eventi, mostre. L'occasione è subito ghiotta, ma quel che ci attende, al di là dell'architettura gotica, supera ogni aspettativa. Un palco al centro della navata, luci ben posizionate che evocano il tremolare dei ceri e gli arabeschi di lampade cesellate non sono semplice decorazione, cornice per sedurre il pubblico, ma parte integrante dell'esecuzione. Sinestesia pura in cui anche il luogo, lo spazio, l'aroma d'incenso, le luci e le ombre, il movimento sono musica. Nello specifico quella del Rachmaninov meno noto e più genuino che si rifà alla tradizione slava nella Veglia per tutta la notte (Всенощное бдѣніе – a proposito: sia lodato il Festival di Tours che riporta traduzione, traslitterazione, ma anche titolo originale in cirillico) del 1915 e nella Liturgia per San Giovanni Crisostomo (Литургия Святого Иоанна Златоуста ) del 1910. Una scrittura a cappella apparentemente severa, in realtà rigogliosa per il tessuto polifonico e per integrazione fra armonia tardo romantica e antica modalità bizantina trova corpo nel gruppo La tempête, che si direbbe senza tema di smentita russo fino al midollo e invece è una formazione internazionale con sede a Compiègne e repertorio onnivoro e sofisticato dal barocco al contemporaneo sotto la direzione di Simon-Pierre Bestion. Corpo e anima come una cosa sola, perché questa cattedrale di voci che si innalza nella chiesa fisica trascende la stessa idea di sacro, costituisce un mondo a sé e un mondo che si abita, anche noi del pubblico, nell'impasto d'insieme e nello scontornarsi del dettaglio, di una prospettiva, di un singolo timbro nel movimento degli artisti, che possono trovarsi assieme nel centro, camminar cantando, distribuirsi in piccoli gruppi. La regia di Camille Dudognon compone e scompone le disposizioni in un unico flusso ieratico fra le luci di Marianne Placerf. La locandina segnala Adrian Sirbu, solista di canto bizantino, la lucente, penetrante, morbidissima voce del tenore Edouard Monjanel, la sconcertante autorità contraltile di Mathilde Gatouillat, ma a nessuno dei componenti della Tempête può essere negato l'essere tassello fondamentale di un mosaico, non possiamo non riconoscere singolarità superbe – i bassi, che impensierivano perfino ai tempi della prima esecuzione assoluta nell'impero degli zar – in un cosmo sonoro perfettamente organizzato.

Un'ora e mezza vola come se il tempo non esistesse, solo il suono nello spazio e nella luce: tutte le navate scattano in piedi in un applauso che non si affievolisce se non per cedere il passo ai bis. Sono passate almeno due ore quando torniamo all'aria aperta, ancora pervasi da un'esperienza di sensi e trascendenza.

Grand Théatre, 17 ottobre, Haydn, Abendlied Si torna in teatro, ma siamo in un salotto per una conversazione pomeridiana con musica come quelle che avevamo visto nelle incisioni settecentesche esposte a pochi passi da qui, al Musée de beaux arts. Siamo chez Haydn, per un canto serale che è anche un canto del crepuscolo, un ritratto intimo del compositore negli ultimi anni di vita, fatto di affetti familiari e meditazioni sulla vita e la morte. Lieder corali, rari se non rarissimi all'ascolto, specie al di qua delle Alpi, dove Haydn vive quasi solo di sinfonie e quartetti d'archi, si raccolgono intorno al fortepiano di Mathieu Dupouy. Cantano Marie Perbost, soprano, Aliénor Feix, mezzosoprano, Sébastien Droy, tenore, e François Bazola, basso e direttore dell'ensemble Consonance.

Come si conviene a un programma intimo, brani cantati si alternano a movimenti di sonata e alla trascrizione dell'Adagio cantabile della Sinfonia n. 98, dettagli e miniature per un incedere agile, lieve, seppur profondo e sentito nei contenuti. L'attore Didier Girauldon interviene garbato con estratti epistolari, traduzioni dei versi dei Lieder, brevi raccordi fra le varie sequenze musicali, che si succedono cristallini nella perfetta intonazione e nell'amalgama timbrico affinato dei solisti, con il tocco di Dupouy che da un primo guizzo cembalistico via via si ammorbidisce tracciando il percorso anche drammaturgico del concerto. Abendlied zu Gott (Canto serale a Dio) chiude il programma, un Benedictus è offerto al pubblico come bis; l'afflato spirituale non è necessariamente confessionale, semmai esprime gratitudine, speranza, comprensione della fine, sguardo rivolto all'inizio. Un crepuscolo amabile, profumato di té aromatico e pâtisserie, per l'appuntamento al 2022.


 

 

 
 
 

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