L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il veleno e il manganello

di Roberta Pedrotti

Il cast alternativo di Lucrezia Borgia a Bologna mette in luce le belle prove di Marta Torbidoni e Francesco Castoro. Pur mantenendo alcuni punti critici, anche lo spettacolo e la concertazione risultano più fluidi rispetto alla prima.

Leggi anche -> Bologna, Lucrezia Borgia, 07/05/2022

BOLOGNA, 11 maggio 2022 - Ci sono molti buoni motivi, avendone la possibilità, per tornare a vedere uno spettacolo. In primo luogo, il fatto che non sempre la distinzione fra prima e seconda compagnia è necessariamente una distinzione di merito: a volte si tratta semplicemente di combinare gli impegni, oppure di nomi affermati rispetto a voci più giovani, in ogni caso il lavoro di tutti merita attenzione. In secondo luogo, si approfondisce la chiave di lettura, si risoppesano particolari con il senno di poi, se ne notano altri, qualcosa si rivaluta in nuova luce o si rimette in discussione. Infine, cambia il pubblico, si stemperano le pressioni della prima e si incontrano persone nuove e diverse, ché ogni turno d'abbonamento ha le sue caratteristiche.

Infatti, partendo dal fondo, la recita infrasettimanale delle 18 a Bologna si popola per forza di cose di pensionati e studenti. Ciò, spesso, significa decenni di abitudine e prime esperienze. Borbottii vari e stupori. Nel nostro caso, ancora un rimbalzare di improperi dopo la prima scena del primo atto – non tanto per l'incolpevole Duca Alfonso di turno, quanto per la contestata scena delle donne ingabbiate e seviziate – contrapposto a mormorii dubbiosi di alcuni ragazzi “perché fanno così? Perché non rispettano chi lavora? Sì, le scene tradizionali sono belle, ma si può anche cambiare ogni tanto” e via di questo passo. È anche questo il bello del teatro: le esternazioni del pubblico ne fanno parte da sempre, e come parte del teatro diventano oggetto di discussione a loro volta.

Lo spettacolo, dopo il debutto, nel suo complesso si consolida, la concertazione di Yves Abel risulta un po' più fluida e ammorbidita, l'aspetto teatrale parimenti sembra svolgersi con più naturalezza ed efficacia. I problemi, però, purtroppo restano: i cori sinistri continuano a suonare parodistici, “Vieni, la mia vendetta” ha uno stacco troppo rigido e serrato, “Guai se ti sfugge un moto” così veloce risulta meccanico senza costrutto; le violenze durante l'aria di Alfonso sono più distraenti che perturbanti, i sipari calati troppo spesso frammentano l'azione. Peccato ancora, perché Abel ci aveva offerto in passato prove di ben altra levatura. Peccato ancora, perché l'idea di Silvia Paoli è chiara avrebbe potuto trovare miglior sviluppo.

C'è, poi, un cast alternativo che val la pena di essere visto soprattutto per soprano e tenore. Marta Torbidoni si conferma infatti una delle artiste più interessanti su cui contare per questo repertorio nel futuro: un lieve vibrato iniziale non disturba in una voce morbida, ben proiettata e sostenuta, luminosa e timbrata, tale da mettersi al servizio della parola con gusto e mordente (le si può giusto consigliare di perfezionare alcuni trilli in prospettiva di meritati futuri traguardi). Come è giusto che sia, un'interprete diversa crea, pur nella medesima produzione, un personaggio leggermente diverso rispetto a Peretyatko – come cercasse di affermarsi più per la posizione che per la fama di femme fatale, più Edda Ciano, insomma, che Luisa Ferida – e siamo lieti di averle applaudite entrambe. Francesco Castoro a sua volta è un Gennaro d'ottima qualità: voce limpida e brillante come la dizione, fa apprezzare i continui miglioramenti di un artista sul quale pensiamo di fare affidamento per i prossimi anni, confidando nella conferma dell'evidente lavoro di rifinitura anche musicale e interpretativa. Un po' più in ombra rimane il Duca Alfonso di Davide Giangregorio, peraltro il più penalizzato dalla concertazione nelle scelte agogiche. Indisposta Nicole Brandolino, Lamia Braque torna a vestire i panni di Maffio Orsini, con più scioltezza, facendo meglio apprezzare le indubbie qualità di un'artista che pare avere il suo terreno d'elezione in un belcanto meno prossimo al linguaggio baldanzoso dei Tancredi e degli Arsaci. Anche il resto del cast risulta invariato rispetto alla prima e invariata è la risposta del pubblico: entusiasmo per la cavatina della protagonista e, dopo le proteste a scena aperta per l'aspetto teatrale, grandi consensi finali riservati a tutti gli interpreti. Val sempre la pena di andare a teatro. E anche di tornare.


 

 

 
 
 

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