L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La materia di cui sono fatti i sogni

di Roberta Pedrotti

Shakespeare musicato da Halévy in un'opera italiana scritta per Londra: debutta a Wexford La Tempesta, per la prima volta nella stesura originale, con un ottimo cast, la direzione di Francesco Cilluffo e la regia di Roberto Catalano

Wexford, Armida, 23/10/2022 (e gli applausi)

Wexford, Lalla-Roukh, 25/10/2022 (e gli applausi)

WEXFORD, 24 ottobre 2022 - Music&Magic. Gli incanti musicali del festival di Wexford ai sortilegi mediorientali narrati in un poema italiano e musicati da un ceco alternano i poteri di un mago italiano al centro di una pièce teatrale inglese che a Londra diventa opera con musiche di un francese ma libretto nella lingua di Dante. Si tratta della Tempesta di Fromental Halévy, opera dalla storia invero curiosa che l'ha portata, in questa veste, addirittura a non essere mai rappresentata prima d'oggi. La prima avvenne nel 1850 all'Her Majesty's Theater, lo stesso dove aveva avuto luogo il debutto dei Masnadieri di Verdi, con i quali condivise parte del cast (il baritono Filippo Coletti come Francesco Moor e Prospero, il basso Luigi Lablache come Massimiliano Moor e Calibano, e Miranda avrebbe dovuto essere Jenny Lind, già prima Amalia) e il direttore (Michael Balfe). Tuttavia, la prospettiva di coinvolgere l'esimia danzatrice Carlotta Grisi come Ariele spazzò via tutta la musica – non poca né irrilevante – concepita per il personaggio come soprano leggero e impose di inserire tradizionali ballabili già familiari al pubblico londinese proprio per le rappresentazioni shakespeariane. Così, per sentire La Tempesta così come l'aveva scritta in prima istanza Halévy su libretto di Pietro Giannone da una riduzione del dramma realizzata da Eugène Scribe, abbiamo dovuto attendere il 2022, sempre per un pubblico madrelingua inglese ma, questa volta, in Irlanda.

La sorpresa, per quella che vediamo nella seconda serata a Wexford ma è la produzione inaugurale del Festival, è notevole: quindici anni dopo La juive, Halévy si mette a scrivere all'italiana intrecciando forme e stilemi (quando non riminiscenze come una abbastanza evidente dalla Favorite) del passato con influenze più prossime e lascia intendere il frutto futuro di tali alchimie. Come il possente intingolo delle streghe del Macbeth prima di evocare le apparizioni profetiche. Certo, non essendo il capolavoro di Halévy, La Tempesta sta hai margini dei grandi vertici della storia, ma proprio per questo è interessante captare la temperie, il gusto che esprime sin da un prologo di singolare potenza nel colore cupo e fremente di orchestra, soli e coro a dipingere il naufragio. Si ravvisa quello stesso romanticismo maledetto che era proprio dei Masnadieri, mentre in seguito la scrittura si distende e si illumina in un confortevole linguaggio belcantista che tuttavia non appare regolare nell'articolazione dei numeri. Ormai i confini fra il pezzo solistico e l'assieme sono andati all'aria, i numeri corrispondo a un determinato gusto e stile ma non a una struttura sempre definita e riconoscibile, approfittando fors'anche del fatto di scrivere un'opera “italiana” non in Italia e di trattare comunque un argomento fantastico, dove spiritelli, maghi, streghe e mostri giustificano – là dove il pubblico è più avvezzo ai contrasti shakespeariani – una certa disinvoluta formale. Che non è, si badi bene, quell'elaborazione a tratti sperimentale portata avanti da Rossini a Napoli, dal Donizetti maturo o dal giovane Verdi.

E in tutto questo, ce la si gode eccome fra gusto musicologico e piacevolezza di fruizione favorita anche qui da una locandina ben assortita. Una relativa e bella sorpresa è, per esempio, il Calibano di Giorgi Manoshvili, basso georgiano che si era fatto notare come uno dei più interessanti allievi dell'Accademia Rossiniana di Pesaro ma che in un ruolo centrale e complesso come questo (prima di Rigoletto, un "mostro" che ama e soffre, preda dei propri istinti ma non condannato nella musica) fa valere, oltre alla dovizia di mezzi vocali, la qualità dell'attore, l'ottima pronuncia, la duttilità del fraseggio. Notevole – e questa davvero sconosciuta fuori dall'Irlanda – anche la ventiquattrenne Jade Phoenix nei panni assai impegnativi di Ariele, così come ha destato ottima impressione il baritono venticinquenne Nikolay Zemlianskikh, un Prospero assai promettente per linea di canto e consapevolezza d'accento. Non delude la Miranda di Hila Baggio, forse la cantante più nota in Italia insieme con Giulio Pelligra, che al suo Fernando presta una vocalità nobile e virile quanto svettante nell'estremo acuto. Il cast si completa con il mezzosoprano Emma Jüngling (la strega Sicorace), i baritoni Rory Musgrave (Alonso) e Dan D'Sousa (Trinculo), i tenori Richard Shaffrey (Antonio) e Gianluca Moro (Stefano).

Direttore ospite principale del Festival, Francesco Cilluffo offre una prova di qualità e rende un ottimo servizio alla partitura sottolineandone le peculiarità e le suggestioni senza appesantire un ritmo teatrale che rimane scorrevole e vario. Colpisce, peraltro, la duttilità dei complessi del festival, orchestra e coro, nel mutare radicalmente stile e carattere rispondendo pronti alle sollecitazioni del direttore, che coglie assai bene la temperie della moda italiana in Londra a metà Ottocento.

Anche la regia funziona benissimo: Roberto Catalano fa un lavoro come sempre pulito nelle linee, chiaro nella narrazione ma non banale. Nella scena di Emanuele Sinisi e nei costumi di Ilaria Ariemme predominano i toni del bianco (l'isola, Prospero, Miranda, Ariele, ma anche Fernando) e del grigio/nero (siano le linee definite dei naufraghi o l'abito informe e macchiato di Calibano). I letti che appaiono nel prologo e nel finale ricordano “la materia di cui sono fatti i sogni” e definiscono l'isola come luogo dell'anima, con libri, specchi, un muro squarciato che diventa un antro sotto la scritta Nostalgia, la testa colossale di un filosofo è anche la prigione di Ariele (tutto è celato nella mente) o il simulacro oltraggiato dai ribelli Calibano, Stefano e Trinculo (l'istinto contro la regione). La voce di Sicorace viene da un altoparlante calato dall'alto, non senza una punta di ironia quando la mamma interrompe il figlio che sta per mettere le mani sull'inerme fanciulla bramata. E alla fine ogni viaggio giunge in porto. Dopo aver evocato il naufragio di chi lo ha tradito, di fronte al pentimento e alla conciliazione nell'amore fra Miranda e Fernando, in un lettino Prospero lascia andare il gioco e il sogno di un'innocua barchetta di carta, mentre Calibano non è più reietto lato oscuro dell'Isola, ma si abbandona finalmente al sonno in grembo al mago patrigno (della cui anima in fondo sia il mostro oscuro sia lo spirito aereo sono incarnazioni).

Chissà se La Tempesta potrà avere qualche opportunità di circolare? Intanto questo spettacolo è in coproduzione con Novara, poi si vedrà. Di certo anche in questo caso è stato un vero piacere farne la conoscenza con un'ottima produzione, e gli applausi del pubblico di Wexford ne sottolineano la buona riuscita.

LA TEMPESTA (foto Clive Barda)


 

 

 
 
 

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