L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Le nozze di Susanna

 di Roberta Pedrotti

La Contessa di Federica Lombardi e la Susanna di Lucrezia Drei spiccano in una produzione delle Nozze di Figaro dominate dalle voci femminili, nello splendido contesto della messa in scena di Mario Martone e con la concertazione assai interessante, personalissima e coerente, di Stefano Montanari.

BRESCIA 23 ottobre 2015 - Le nozze di Susanna sono insidiate dalla pretese matrimoniali dell'attempata Marcellina sul fidanzato Figaro, giovane di provvidenziale prontezza di spirito, e dalle avances sempre più pressanti del Conte d'Almaviva. Sarà l'inattesa alleanza con la rivale scopertasi suocera, ma sorprattutto con la Contessa, il cui dolore di donna tradita costituirà l'altro nodo fondamentale dell'azione, a determinare il felice scioglimento non solo per Susanna e Figaro, ma anche per tutte le coppie, anziane, adulte, giovani e adolescenti, che popolano il castello di Aguas Frescas.

Che il punto di vista femminile nelle Nozze di Figaro sia privilegiato, che gli eventi della folle journée dipendano in gran parte dagli intrighi delle donne (a ben guardare anche lo stratagemma del biglietto è solo suggerito da Figaro, ma lo sviluppo è tutto nelle mani di Susanna, della Contessa e perfino, se vogliamo, di Barbarina) è un dato abbastanza palese, che culmina in un finale che sembra il ribaltamento speculare di quello di Don Giovanni: là un libertino rifiuta di pentirsi di fronte all'emblema dell'autorità patriarcale e lascia un vuoto incolmabile nelle esistenze dei superstiti, qui il libertino chiede perdono alla Donna che, gentilmente, con un sorriso l'accorda riportando l'armonia nel microcosmo.

Il parallelismo fra l'ingresso paradisiaco della Contessa, come Beatrice guida celeste o Gretchen redentrice, e quello infernale del Commendatore è perfettamente realizzato, in questa recita bresciana, dalla messa in scena di Mario Martone (ripresa da Raffaele di Florio), che avvolge l'apparizione biancovestita in una luce incantevole e surreale, e dalla direzione di Stefano Montanari, ma, soprattutto, dall'interpretazione di Federica Lombardi.

Sorriso dolce e luminosissimo, così come il canto, il suo perdono è veramente commuovente come deve essere, commuovente e consolatorio; la Donna Elvira apprezzata lo scorso anno in Don Giovanni si mostra qui molto migliorata sotto il profilo vocale, forte di un bel timbro morbido e ambrato oltre che di una musicalità degna di nota. Naturalmente, data anche l'età, è perfettibile, potrà tornire sempre più il legato e l'emissione in tutta la gamma (qualche suono risulta ancora meno timbrato), ma già ora la Lombardi è un soprano che merita attenzione e regala una Contessa di rilievo, senza intimorirsi di fronte ai numerosi scogli della parte.

La forza femminile di questo spettacolo si palesa anche in Lucrezia Drei, che è anche fisicamente il perfetto contraltare di questa Contessa: belle entrambe, alta mora l'una, bionda e sottile l'altra, hanno voci fresche, più cremosa la Lombardi, più cristallina la Drei, che gestisce benissimo, senza forzare uno strumento molto promettente, talora un po' acerbo, ma piegato con spirito e musicalità a rendere così tutta la gioventù di Susanna. Quando è in scena conquista subito la sala, ponendosi felicemente al pieno servizio di Mozart e Da Ponte.

Cecilia Bernini, Cherubino, possiede, ora, doti vocali meno accattivanti, ma è anch'ella musicale, scenicamente perfetta, duttile e ben impostata, sì da render giustizia al personaggio, anche se, ascoltando quel pssaggio all'acuto un po' strettino, resta il dubbio sull'evoluzione di un mezzo che pare a metà fra il soprano e il mezzosoprano.

Completano il bel gruppo di voci femminili la simpatica Marcellina di Marigona Qerkezi, che giustifica appieno con la sua morbida vocalità il ripristino dell'aria del IV atto, e la freschissima Barbarina di Giulia Bolcato, anch'ella in divenire ma forte di un ottimo gusto musicale.

Gli uomini rimangono, per forza di cose, un passo indietro. Andrea Porta, in questo cast di giovani, figura come un veterano, avendo debuttato nel 1999 (quando cantò anche Don Magnifico a Brescia) e se da un lato il suo Figaro si fa apprezzare per la grande disinvoltura scenica e per il piglio, dall'altro qualche affaticamento si sente, soprattutto in un registro acuto non saldissimo per intonazione. Vincenzo Nizzardo è un Conte corretto, ben compreso nel suo ruolo, in crescendo da un primo atto in cui la voce pare un po' indietro verso un secondo molto più convincente.

Francesco Milanese e Carlo Checchi completano il quadro delle voci gravi come Bartolo e Antonio, mentre Matteo Macchioni fa valere le sue doti di giovane caratterista quale Basilio, anch'egli beneficiato dell'aria, e Ugo Tarquini fa il suo dovere nei panni di Don Curzio. Il Coro di OperaLombardia ben figura nei suoi brevi interventi.

Abbiamo accennato a Mario Martone e a un allestimento che è già un classico, che si rivede sempre con piacere rivelando, nell'apparente semplicità, sempre nuove sfumature in virtù dell'attenzione prestata alla psicologia dei singoli, ai rapporti umani interprersonali (ogni personaggio è curato nei dettagli) e sociali in una tenuta di campagna dove i nobili vivono a stretto contatto con la servitù in un contesto in bilico fra l'ancien régime e la Rivoluzione. L'articolata commedia scorre con una chiarezza e un'accattivante freschezza davvero esemplari. Come l'anno scorso per Don Giovanni [leggi la recensione], constatiamo ancora una volta l'importanza di una grande mano registica per guidare giovani talenti.

Abbiamo accennato a Stefano Montanari, che ci ha positivamente sorpreso con una lettura personalissima e assolutamente coerente, che ha galvanizzato l'orchestra dei Pomeriggi Musicali in una prova di rilievo. Notevole, soprattutto, la capacità di calibrare un'unica arcata di crescendo nell'estesissimo finale II, ma anche il già citato ingresso finale della Contessa, in cui gli archi che sottolineano lo stupore generale figurano veramente come il riflesso positivo di quelli che segnano l'apparizione del Commendatore.

Montanari vede un Settecento mobile, cangiante negli accenti, nei timbri, nel fraseggio, stimola sovente belle variazioni – soprattutto nelle voci femminili – e talora sorprendenti, come in “Che soave Zeffiretto” che sembra puntare più sul gioco fra le due donne che sull'elegia arcadica. Un po' straniante, è vero, ma piacevolmente straniante. Gli interventi al cembalo durante i numeri musicali sembrano rispondere per lo più al ruolo storico di concertazione affidato al maestro alla tastiera, marcando attacchi, cambi di tempo o tema, solo talora assumendo un peso timbrico e melodico più incisivo. Scelta che filologicamente resta controversa: la dicitura “maestro al cembalo”, intendendo questo come qualunque strumento a tastiera e non necessariamente quello a corde pizzicate, fu in uso fino a Ottocento inoltrato a indicare il concertatore, ma il suo effettivo intervento come esecutore tramontava nel secondo Settecento e può essere messo in dubbio già per Mozart; inoltre lo strumento non ha la sonorità per fronteggiare organici moderni, seppur in formazione ridotta, in un teatro all'italiana ma non troppo piccolo come quello bresciano e il microfono che abbiamo notato, verosimilmente, oltre che per i riporti in palcoscenico poteva ben servire a rinforzare in sala il pizzicar di corde. Quel che, però, nella scelta di dare alla tastiera un maggior rilievo, ci sarebbe piaciuto sarebbe stato un lavoro eguale e contrario sui recitativi, il cui accompagnamento al basso non dal solo cembalo (o fortepiano) era sviluppato, ma con l'intervento di contrabbasso e violoncello variamente combinati a conferir maggior spessore e varietà. Il recitativo secco, insomma, dai manuali antichi pare molto meno secco e molto più ricco e fantasioso di quanto non si creda. Però, bisogna dire che ogni antico manuale prescrive anche l'estremo vaglio del buon senso per la realizzazione pratica, e che ogni discorso teorico di deve quindi, infine, confrontare con l'ottimo esito di una gran bella recita.

Nozze di Figaro così ben riuscite a Brescia non se ne vedevano da decenni. E gli applausi a scena aperta dopo quasi ogni numero, anche alla prima, sono lì a testimoniarlo.

foto Giulia Selvaggia Virgara


 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.