L’Ape musicale

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Giovanna e le sue sorelle

 di Roberta Pedrotti

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La pazzia che trionfa nell'opera, ben inquadrata nelle sue forme, è la pazzia di Orlando, di Nina, di Lucia e di Elvira. È una follia episodica, un delirio del quale si possa individuare una causa scatenante precisa (per lo più di origine sentimentale) e che si può sviluppare e articolare negli spazi, nei tempi e nei modi di una grande scena dedicata.

La rappresentazione di un disagio mentale cronico, che alterni vaneggiamenti e lucidità, non è troppo raro – basti pensare ad Azucena – ma anche in questo caso è per lo più riconducibile melodrammaticamente a un episodio traumatico scatenante ben identificato. Ben altra questione è, invece, occuparsi di un personaggio la cui alterità si esprime in una condizione psichica, si direbbe, innata, in una scissione della realtà che non si può semplicisticamente ricondurre alla patologia, ma che comporta una percezione del mondo distorta – o amplificata – rispetto a quella comune.

È la posizione, sul crinale fra due dimensioni reali o avvertite come tali, di donne eccezionali, folli o veggenti, sante o streghe, interpreti del rapporto privilegiato tradizionalmente istituito fra la femminilità e il mondo dell'inconscio e dell'irrazionale, ma anche del conflitto con un contesto sociale mortificante, che le costringe all'irregolarità. Così è per le menadi seguaci di Dioniso, per le sapienti Circe e Medea, o per le misteriose e insidiose amazzoni, che si appropriano delle prerogative e delle attività maschili. La donna che entra in contatto con il soprannaturale, con l'irrazionale e l'invisibile può essere integrata nel tessuto sociale, come pizia sibilla o profetessa, se rinuncia alla sfera sessuale: le sibille dipinte da Michelangelo nella cappella Sistina hanno vigore e corporature quasi mascolini; le streghe sono pericolose anche perché sessualmente libere, promiscue, voraci. In un contesto, classico prima cristiano poi, in cui l'eros femminile è visto come elemento destabilizzante, incontrollabile, da reprimere, negare e sublimare, l'esito naturale è, in molti casi, di un disagio mentale, di una nevrosi nella quale estasi mistica ed erotica possono confondersi, come vediamo nelle rappresentazioni artistiche di Santa Teresa.

Sintomi schizofrenici (non necessariamente patologie), uniti a un carisma eccezionale, possono manifestarsi proprio in situazioni di disagio e costrizione su soggetti di sensibilità e intelligenza fuori dal comune: caratteristiche tutte facilmente attribuibili a Jeanne Dart, Tart o, poi, d'Arc, adolescente del borgo di Domremy nel XV secolo, suo malgrado, con la sua straordinaria quanto breve parabola dalla gloria militare alla condanna al rogo, origine di una miriade di leggende, interpretazioni, strumentalizzazioni. Come ogni mito, quello di Giovanna è un simbolo che, come nell'etimologia del termine, unisce più significati, sintetizza l'amazzone e la strega, la santa e la visionaria, la donna straordinaria posta fra due mondi, sia dono e dannazione, follia o profezia. Donna per questo pericolosa, che deve essere iscritta nei confini rassicuranti delle fede e della verginità, ma per la quale questi confini risultano inevitabilmente angusti. Così ce la mostra l'opera di Verdi, lacerata fra una grandezza d'animo e una libera sensibilità femminile da un lato, la ferrea volontà di uniformarla ai rigidi valori rappresentati dal padre dall'altro. Così, con un'opera molto più raffinata e potente psicologicamente di quanto non si creda comunemente, Giovanna in Verdi si rivela sorella, più che delle tante altre immagini musicali della Pulzella ispirata da Dio, di tormentate figure femminili del teatro musicale del '900. Donne che sentono voci, donne che vedono oltre, donne che, infine, soccombono fra due mondi, esterno e interiore. [segue]


 

 

 
 
 

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