L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

l'Ottava di Mahler diretta da Omer Meir Wellber

Dedicato ad Alma

 di Andrea R. G. Pedrotti

La Israel Philarmonic Orchestra, i professori aggiunti della Sinfonieorchester der Hochschule für Musik Dresden, il Prager Philharmonischer Chor, la Singakademie Dresden, l’Universitätschor Dresden, il Knabenchor Dresden, il Kinderchor der Singakademie Dresden uniti per la Sinfonia dei mille, testamento spirituale di Mahler, sotto la direzione di Omer Meir Wellber.

Leggi anche la conversazione su Mahler con Omer Meir Wellber

Dresda, 21 maggio 2016 - Il 29 settembre 1938, a Monaco di Baviera, fu firmato l'accordo fra Regno Unito, Francia, Germania e Italia nel quale si gettarono le basi di quello che sarebbe stato il più sanguinario conflitto che avrebbe sofferto l’Europa nella storia recente. I territori di lingua tedesca dell’allora Cecoslovacchia vennero annessi al terzo Reich, che proseguì nella sua opera di conquista fino a quando, il 13 marzo 1939, le truppe della Wehrmacht occuparono con orgoglioso disonore la città di Praga. Oggetto del contendere delle rivendicazioni naziste erano i Sudeti, una popolazione slava di lingua tedesca, che doveva essere annesso in nome del pangermanismo.

Sempre a Monaco, il 12 settembre 1910, un ebreo boemo di lingua tedesca fece eseguire per la prima volta la sinfonia che, da sola, è straordinaria e unica rappresentazione dell’essere umano. Gustav Mahler, una delle menti più controverse e geniali di tutti i tempi nacque proprio vicino Praga, a Kaliště, il 7 luglio 1860 e proprio a Monaco di Baviera portò se stesso esternando la sua intimità, attraverso l’eccezionale grandiosità della sua Ottava Sinfonia. Siamo quasi all’epilogo della vita terrena del compositore, che sarebbe morto di endocardite l’anno seguente. Il suo animo si era forgiato in una costante e mai risolta ricerca d’una meta. Mahler era un genio stupefacente e l’immensità del suo intelletto, pari solo alla sensibilità del suo essere, non potevano essere esplicitati a parole. La musica era per lui l’unico vicolo dell’anima, un linguaggio assoluto, transnazionale, che giustamente Robert Schumann definì “la lingua dell’anima”.

L’Ottava Sinfonia fu per Mahler un sunto di vita, del suo apprendimento, dell’angoscia che lo portò a una conversione, che, in realtà, portò ancor più in luce il suo animo finemente ebraico. Mahler nella vita, come in questa sinfonia, si dibatte nei contrasti con il mondo e i suoi abitanti. In questo brano non trovò la pace, ma seppe evidenziare in un pensiero più cosciente e maturo che la soluzione è solo la certezza che una soluzione non esiste. È il dramma e la forza del genere umano.

L’esecuzione di questo 21 maggio ha avuto luogo a Dresda, città tedesca prossima alla Slesia, che per sua natura odierna è novella Fenice: risorge dalle sue ceneri, grazie alla forza di tutti noi, che dobbiamo saper accettare i drammi e le asperità, facendone tesoro per andare avanti. Dresda, la Fenice e la nostra vita si fortificano di continue palingenesi, in ritorni che non avranno mai fine, alla perenne ricerca di una conclusione inafferrabile.

L’uomo vince solo se può cooperare e dialogare, mentre il conflitto, come avrebbe dovuto insegnarci la storia, può solo distruggere. Come ricordato in un’intervista che abbiamo recentemente realizzato con il m° Omer Meir Wellber, l’Ottava Sinfonia di Mahler obbliga al dialogo e il dialogo a Dresda è stato magnifico, come magnifici sono stati la Israel Philarmonic Orchestra, i professori aggiunti della Sinfonieorchester der Hochschule für Musik Dresden, il Prager Philharmonischer Chor, la Singakademie Dresden, l’Universitätschor Dresden, il Knabenchor Dresden, il Kinderchor der Singakademie Dresden e i soli che nomineremo in seguito.

Illustrando il suo capolavoro Mahler disse: “[…] è certamente la cosa più grande che ho fatto, Forse non ho mai lavorato sotto l'impulso di una tale costrizione, è stata come una visione fulminea: improvvisamente tutto stava davanti ai miei occhi e mi è bastato porlo su carta, come se mi fosse stato dettato […]”

È Mahler stesso a darci la chiave per la nostra personale interpretazione della splendida serata sassone, intrisa della profondità d’un messaggio di cui Omer Meir Wellber, alla guida dei numerosi complessi a sua disposizione, è magistrale latore. Il fascino della Kreuzkirche (l’imponente cattedrale che ci ospitava), la grande massa corale posta sopra l’altare, il magnifico organo sul fondo della navata e i numerosi professori d’orchestra ci introducono in forma mistica, filosofica, quasi esoterica ai primi accordi del “Veni creator spiritus”. Questi accordi sono la nascita del pensiero di Mahler, la sua scintilla, la fiamma ardente, che dipanerà il discorso del suo ragionamento per tutta la durata della sinfonia. Omer Meir Wellber è assolutamente perfetto nel comandare con gesto sicuro, passionale, intellettualmente profondo e tecnicamente ineccepibile le grandi masse, le quali, anche ascoltate da vicino (eravamo in seconda fila), non perdono unitarietà né amalgama, tutte unite in un unico messaggio di dialogo e umanità.

Nessun connubio di immagini (visive e uditive) poteva meglio rendere il senso di imponenza liturgica della prima parte della Sinfonia. Si avverte una strana sensazione di tangibile trascendenza. Il maestro Wellber ha giustamente collegato, nella sua precisa analisi, questa prima parte alla figura del padre. A nostro parere, oltre a questa innegabile quanto evidente caratteristica, nel “Veni creator spiritus” è palesato un segno di etica, di insegnamento, di ciò che dovrebbe essere, di ciò che ci circonda, di un’ideale imposizione dall’alto. Il principio è la nascita, la genesi dell’uomo singolo, del pensiero o di tutte le cose; non fa differenza perché lo schema è sempre quello e tutto si combina nascendo dal connubio delle sezioni dell’orchestra, dei soli e del coro. Tutti insieme uniti per lanciare il messaggio di un uomo –Mahler- che come ogni altro rappresenta il mondo intero, perché era in quegli accordi e nella testa di Gustav Mahler che si sviluppava una visione di ciò che lo circondava, una visione unica irripetibile, come ognuno di noi. Mahler è un genio perché ha saputo eternare la vampa del suo animo in poche note fino a trasformarle in una delle più splendidi testi musicali di tutti i tempi.

La bellezza di questa Sinfonia sta anche nel fatto che la musica viene inserita in un testo simile per significati all’integralità del Faust di Goethe. Pensiamo alla struttura del poema drammatico dell’autore tedesco. Come nel Faust abbiamo una sorta di “prologo in cielo”, che, nel caso di Mahler, è la nascita del suo pensiero e della natura dell’essere umano e dell’analisi dello stesso. Il teatro (il cui prologo nel capolavoro di Goethe precede quello in cielo) è la cattedrale e la complessità dell’insieme antropologico (per cortesia, non chiamiamolo “società”), che ci ha visti nascere, o, più propriamente, venire alla luce. Quello che ci presenta Mahler non è solo un venire alla luce, ma un venire dalla luce, senza precisi punti di riferimento, ma con la speranza e l’irrealizzabile ideale che ci viene comandato dalla stirpe. Questo è il padre, l’uomo della prima parte. Pensiamo, ancora una volta alla guerra e al Faust. Quando un giovane che della vita non sa ancora nulla della vita si appresta a partire per il fronte che cosa accade? Il padre gli pone una mano benevola sulle spalle: “sii forte, sii un bravo soldato”, ma la madre che cosa fa? Non fa nulla, piange lacrime di dignità e lo esorta ad aver cura di sé, poiché lei sa che cosa accadrà. È la potenza della donna che porta nel suo grembo nove mesi un bambino, lo protegge, è la potenza della donna che sa amministrarsi e amministrare, la potenza della donna che, nei rapporti, è in grado di decifrare la sua logica e quella di chi si trova innanzi. L’uomo è il padre, un animale semplice, intriso di morale, ma lontano dalla realtà che è la battaglia della vita.

Una madre come Margarete nel Faust di Goethe, portata a schiacciare il suo animo sino all’infanticidio del figlio avuto per colpa della stupidità di un uomo incapace di resistere alla tentazione del demonio.

La donna sa tutto e questo la rende superiore all’uomo nell’istinto. Mahler lo riconosce e dedica questa sinfonia alla moglie Alma. La donna è ordinatamente complessa, l’uomo più lineare e meno profondo nell’affetto, ma questa caratteristica non valeva per Gustav Mahler che amava le donne e si sforzava di giungere al sistema di ragionamento che le caratterizza.

La maggior parte della sinfonia è dedicata alla donna (la madre secondo l’analisi di Wellber) e la tonalità passa al minore. Non è del tutto vero che non vi sia connessione fra le due parti della sinfonia, perché dalla liturgia ipertrofica si passa ad alcune fra le battute più belle mai scritte da mano umana. Ha inizio lo Sturm und Drang, con la scena fina le del Faust di Goethe. Un tempo nominato da Mahler come “poco adagio” e tutto il suo animo che sembra riflettere, prima di comprendere che l’uomo, dopo la nascita, la speranza, la meraviglia del mondo si vede costretto a entrare nella foresta, che Mahler descrive con la musica della sua anima e Goethe con il magistrale testo: ”[…] Waldung, sie schwankt heran, Felsen, sie lasten dran, Wurzeln, sie klammern an, Stamm dicht an Stamm hinan[…]”.

Debbiamo soffermarmi su questo “poco adagio”, perché temiamo che mai nessuna esecuzione potrà eguagliare lo splendore di quella della IPO, guidata da un Omer Meir Wellber che, solo grazie a questi pochi minuti, annienta tutte le precedenti bacchette che si siano cimentate nella direzione dell’Ottava sinfonia di Mahler. È impossibile descrivere a parole quello che abbiamo ascoltato in quel momento, con il direttore a comandare con gesto preciso, forse commosso, ma sicuramente commovente, i pizzicati degli archi. Questo punto della sinfonia è Gustav Mahler, tutto l’uomo al tramonto della vita, tutta la sua malinconia, la sua profondità e il suo intelletto è racchiuso in queste note. Gli archi tremano, è il suono della foresta e della nevrosi ossessiva del compositore, i volumi orchestrali aumentano in una pasta unica, il respiro orchestrale comandato da Wellber e l’intensità di fraseggio della concertazione provocano quasi uno strano tremore e si piange, non si può non piangere. Sono lacrime di commozione e tristezza per chi non abbia ascoltato il segmento in Mib minore alla Kreuzkirche di Dresda il 21 maggio 2016, perché sarà difficile (l’impossibile non esiste) ripetere un’esecuzione del genere, perché quello che abbiamo ascoltato era l’essenza dell’uomo, di tutti gli uomini, non solo musica. Tutto in dieci minuti, dieci minuti in Mib minore, la tonalità più comune alla scrittura musicale della musica di matrice ebraico-ashkenazita. Questo è Mahler e la sua pacificazione con le donne e la comprensione della foresta umana principia con la salita alla tonalità maggiore.

Tutto ci porta in magistrale percorso, con i soli che, nell'ambito della contingenza femminile, divengono personaggi terreni e riconoscibili, palesandosi fra le navate della cattedrale. Goethe ci aiuta a descrivere il seguito e il percorso dell’ebreo errante nella foresta, con le parole: “[…] Mein Inners der Geist, werworren, kalt, Verquält in stumpfer Sinne Schranken, Scharfangeschlossnem Kettenschmerz! O Gott! Beschwichtige die Gedanken, Erleuchte, mein bedürftig Herz! […]”, cioè “Potesse questo accendere il mio intimo, dove lo spirito, turbato e gelido, soffre, costretto entro i sensi ottusi il tormento di catene crudelmente serrate! O Dio! Dona sollievo ai pensieri, illumina il mio cuore doloroso!”

Nessuno mai poteva interpretare questi versi meglio di Mahler e nessuno prima di Omer Meir Wellber ha saputo decifrarli con tale profondità e introspezione, sensibilità e competenza analitica.

Non troviamo una fine, una sintesi, un’interpretazione che sia definitiva: l’unica certezza è che esiste l’alfa e non l’omega, poiché l’uomo cadrà morto e sconfitto quando questa si paleserà. Questa non arriverà, tuttavia, ma il nostro dovere è quello di perseguirla, perché questo è il senso della vita, dalla nascita alla dipartita.

La donna è la coscienza di questo, la madre protettiva, il porto sicuro dell’amante, non ridotta a essenza carnale, ma a “colei che ama” e va onorata per questo. È la donna a salvarci nella nostra via di salvezza impossibile e Goethe così la racconta: “[…] Alles Vergängliche Ist nur ein Gleichnis; Das Unzulängliche, Hier wird's Ereignis; Das Unbeschreibliche, Hier ist's getan; Das Ewig-Weibliche Zieht uns hinan. […]”, cioè “Tutto ciò che passa è soltanto un simbolo, l'insufficiente qui ha compimento; l'indescrivibile qui ha già esistenza; in alto ci attira l'eterna femminea essenza.”

Così Mahler, nella dedica all’amata Alma (mai nome fu più emblematico di questo) fa pace con le donne.

Di indistinto valore assoluto le voci soliste di Sara Jane Brandon (soprano), Rachel Willis Sorensen (soprano), Hilla Baggio (soprano), Waltraud Meier (soprano), Gaal el Hadidi (soprano), Lance Ryan (tenore), Christoph Pohl (baritono) e Gabor Bretz (basso). Inimitabile la pasta vocale e l’unisono dei cori, così come la straordinaria prova della Israel Philarmonic Orchestra.

Al termine entusiasmo incontrollato del pubblico, con boati quali non avevamo mai udito e frenetico batter di piedi a salutare una delle più esaltanti esecuzioni musicali. Chi non c’era non può capire.


 

 

 
 
 

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