L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Prove di regia

 di Roberta Pedrotti

Caterina Panti Liberovici destruttura la satira teatrale di Cimarosa su libretto di Giuseppe Maria Diodati per esprimere, con un cast giovane estremamente coinvolto, tutte le ombre e le problematicità delle arti sceniche.

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Intervista a Caterina Panti Liberovici

MONTEPULCIANO (SI) 13 luglio 2018 - Cantanti capricciose che smaniano per imporsi come primedonne assolute, un compositore e un poeta che devono accontentarle e che intrecciano con loro relazioni sentimentali, un losco protettore, un impresario in difficoltà. Sono gli ingredienti di mille e mille pièce metateatrali, dall'Impresario delle Smirne di Goldoni alle Convenienze e inconvenienze teatrali di Donizetti, fino a Tutti in maschera di Carlo Pedrotti (che dalla commedia goldoniana prende le mosse), passando per Der Schauspeildirektor di Mozart e, appunto, l'Impresario in angustie di Cimarosa. Un'opera di fronte alla quale la regista Caterina Panti Liberovici non nasconde un certo disagio: non riusciamo a provare un'effettiva simpatia per nessuno dei personaggi, che incarnano diversi tipi di narcisismo e fallimento umano, di incomprensione reciproca e mancanza o incapacità di collaborazione. Insomma, una commedia amara che nella visione della regista diventa addirittura fosca, ai limiti della tragedia, tanto più che giocando non con autoironiche vecchie volpi del teatro musicale, ma con giovani e giovanissimi (il veterano del cast, l'impresario Claudio Mugnaini, compie ventotto anni il giorno della prima) che muovono i primi passi nella carriera. E allora si parla di errori, illusioni, aspirazioni infrante, convinzioni malintese, mancanza di punti di riferimento. Allora si mettono in scena le prove di uno spettacolo che si riflette in sé stesso in un gioco di scatole cinesi diretto da un regista, l'attore Cristian Maria Giammarini, che anche quando enuncia concetti condivisibili (l'arte deve cercare la qualità, l'artista deve essere coerente con i suoi ideali e non cercare la popolarità e il consenso a ogni costo, ogni rappresentazione teatrale è una creazione viva e nuova rispetto al testo scritto) riesce a risultare anche antipatico, idealista, sì, ma un tantinello retorico e arrogante. Dovremmo prendere le sue parti, ma non riusciamo a farlo fino in fondo, o, meglio, solidarizziamo semmai con il poeta Don Perizonio Fattapane (il promettente baritono Francesco Samuele Venuti), che del regista diviene una sorta di discepolo e giovane alter ego quantomai disorientato. Da un incipit volutamente ingessato, una prima scena che appare come una prima prova, una prima lettura in cui i recitativi si scandiscono in maniera scolastica, i gesti sono stereotipati come costumi polverosi che quasi legano gli interpreti, si passa a un lavoro sempre più libero, che però fallisce miseramente di fronte ai piccoli egoismi di ciascuno, alle ambizioni, elevate o meschine che siano, e i cantanti tornano a cercare, come una coperta di Linus, la rassicurazione di una tradizione ormai priva d'anima. Nessuna composizione, nessuna soluzione, solo una serie di interrogativi emergono nel progressivo dissolversi del testo, sempre più integrato ai nuovi interventi recitati. Emergono, fra i diversi piani della rappresentazione, non sempre chiarificatori, ma più spesso sospesi. Quindi anche disturbanti, sebbene non provocatori o graffianti fino alle estreme conseguenze; piaccia o meno il risultato, siamo in un festival e un festival di per sé ha il dovere di essere problematico, non di rassicurare.

A rassicurare, e dar qualche speranza, penserà semmai l'atmosfera utopistica del cantiere, ben incarnata dalla giovanissima Orchestra Poliziana galvanizzata dalla bacchetta esperta e sicura, nonché convinta complice di questa cupa drammaturgia, del direttore artistico Roland Böer, guida e sostegno perfetto anche per una compagnia di canto assai impegnata e coesa sotto il profilo musicale e attoriale. Oltre ai citati Venuti e Mugnaini, si ricordano anche le buone prove delle tre donne Dioklea Hoxha, Fiordispina, Silvia Alice Gianolla, Merlina, e Vittoria Licostini, Doralba, in crescita nel corso dello spettacolo come il tenore Claudio Zazzaro, azzeccatissimo il compositore/direttore Gelindo Scagliozzi. Stefano Bernardini interpreta, ma la parte è più recitata che cantata, il viscido Strabinio, mentre Gal Fefferman compare come danzatrice e assistente del regista.

Al termine della prima, gran successo per tutti e una bella festa nei foyer del Teatro Poliziano.

foto Irene Trancossi


 

 

 
 
 

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