L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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Anima e voce

Cos’è esattamente l’anima? Maffei la identifica come l’entità che muove l’aria, che si trasfigura in voce quando l’immaginazione si attiva; differenzia la vocalità dal mero suono, inoltre è anche strettamente legata al corpo, come volevano Aristotele e Galeno: quest’ultimo è il riflesso dei moti che agitano l’anima passionale. La razionalità è un’ulteriore sfaccettatura dello spirito, ma sono soprattutto gli affetti che modificano i corpi.

Nelle Lettere troviamo un’epistola indirizzata a Ostilio Orsino nella quale Giovanni Camillo Maffei discute della fisicità di una giovane di nome Antonia e, a proposito della bellezza, il solofrano afferma che:

«Quella del corpo nasce dalla giusta proporzione de’ membri, questa dell’anima consiste nell’ornamento delle virtù morali. e ambedue congiunte insieme formano la vera umana bellezza. E volendo di quella del corpo primieramente dire, m’è forza che ricorra ad Alcinoo Platonico, Vitruvio, Plinio e Varrone. Dicono dunque costoro che in tre cose la corporal bellezza si contiene, cioè nell’ordine, nel modo e nella figura de’ membri, intendendo per l’ordine i propri luoghi e i giusti spazi e intervalli ch’a membri si ricercano; e per lo modo la proporzionata lor quantità; e per la figura i lineamenti e i colori. […] E volendo alla bellezza corporale poner fine, concludo che, si come il corpo dev’esser a vederlo ben formato e la voce in ascoltarla dilettevole, e similmente tutti gli altri membri soavi ad odorargli, così ancora la carne dev’esser forbita e senza asprezza alcuna, e che, stando nel mezzo del duro e del molle e del caldo e del freddo, sia nel toccarla soavissima. […] E volgendomi alla bellezza dell’anima ritrovo che liberale ella [Antonia] non è, e quando lei giura d’esser fedele mille tradimenti ordisce. Né cosa difficile gli è in luogo di verità dire mille menzogne; non è saggia, non è prudente e di carità, d’onestà di continenza in tutto priva; e non essendo finalmente pudica, poiché tanto sfacciata e lasciva si mostra, concludo che brutta Antonia sia.»

Maffei accosta la voce alle fattezze del soggetto: in effetti essa è il risultato dell’azione dell’anima, una sua manifestazione udibile. Essendo percettibile, è trattata come la materia, o meglio, sembra che sia quest’ultima ad essere esaminata come un suono: Maffei, usando un lessico tipicamente musicale (intervallo, colore, asprezza o dolcezza), descrive il corpo ideale, che è armonioso grazie all’equilibrio della proporzione. La vera bellezza, però, risiede nella purezza di un’anima che persegue le virtù. Antonia, oltre a non rientrare nei canoni fisici fissati da Maffei, è menzognera, licenziosa, infedele e disonesta; l’immagine restituita dalla sua anima è tutt’altro che nobile e positiva, pertanto Maffei non la considera bella. La corruzione dell’anima si ripercuote sul corpo che la ospita. Il vizio sfigura l’uomo, mentre l’integrità gli dona bellezza. L’anima è l’essenza degli esseri viventi, e intravederla significa andare oltre alla dimensione materiale per scorgere l’interiorità. La voce ci consente di udirne il suono; soprattutto grazie alle caratteristiche vocali riusciamo a intuire le proprietà di un’anima:

«[...] due sono le potentie dell ’a nima, lasciando da parte tante divisioni che da medici e da filosofi si fanno, cioè la naturale e la sensitiva (si come nello libro delle cause, degli accidenti Galeno disse), e intendo per la naturale quella che fa l'ufficio suo senza nostra industria e elettione, si com'è la virtù che tira il nodrimento, la virtù che lo ritiene, la potenza che lo diggerisce e quella ancora che manda fuora gli escrementi; le quali potenze, che possano senza nostra industria operare, il sonno ci dimostra, nel quale elle per loro istesse operano. E per la sensitiva, intendo il vedere, il gustare, l'udire, il toccare, l'immaginare, il ricordare, e altre delle quali non è necessario dire, si come non è necessario ancora dire dell'anima intellettiva, con ciò sia cosa ch ’a questo proposito della voce non faccia. E di queste già dette potentie, la maggior parte è volontaria, cioè sta nel voler nostro di farsi o no. E volendo ridurre la voce alla sua potentia basterà per ora dire che sia effetto dell ’immaginativa , come di potentia volontaria; il che ci sia in noi medesimi palese, poi che parliamo con immaginatione d'esser intesi e all'ora quando che noi vogliamo. Ma perché si richiede la ripercussion dell'aria, come nella diffinitione abbiam veduto, per questo a far la voce vi è anche necessaria la potentia motiva del petto dalla quale l'aria si muova. Onde perché prima s'immagina quello che s'ha da dire e poi si muov'il petto a far la voce, si può veramente concludere che la potentia motiva del petto, siano cause principali della voce. E che la potentia motiva sola non possa far voce la tosse ce lo dimostra, la quale, fandosi senza immaginatione di significare, quantunque vi concorra la motiva del petto, non può né da medici né da filosofi chiamarsi voce [...].»

Come asseriva anche Aristotele, l’anima muove il corpo attraverso il pensiero, che scaturisce dall’immaginazione (movimento dell’intelletto), ma certe azioni sono indipendenti dalla nostra volontà: ecco le potenze sensitiva e naturale, termini che identificano le proprietà e potenzialità intrinseche dell’anima secondo Maffei. L’autore cita l’automatismo della digestione per illustrare la potenza naturale; la potenza sensitiva, o volontaria, dell’anima è invece ciò che la lega ai sensi e all’immaginazione. Il nostro corpo ha percezioni plasmate dall’intelletto e esternate attraverso la voce, che è originata dalla combinazione della componente immaginativa e del movimento del petto (risultato della potenza motiva dell’anima). Maffei evidenzia che il solo movimento del petto non è sufficiente per forgiare una voce poiché può essere causato sia dalla potenza involontaria sia da quella volontaria dell’anima: la tosse, ad esempio, provoca un innalzamento del torace, eppure non è voce perché si tratta di un atto involontario e Maffei ha già esplicitato che la voce è frutto della volontà.

La nostra mente ci guida mentre parliamo dei nostri sentimenti o intoniamo una melodia che li rispecchi e consente allo stesso respiro che ci fa vivere di generare la voce. Ma cosa differenzia la respirazione finalizzata alla sopravvivenza da quella che ha la vocalità come scopo primario? Nella vocalizzazione la quantità d’aria espulsa è maggiore rispetto a una normale espirazione ed è anche emessa con più forza. Aggiungendo anche questo tassello alla definizione di voce, cominciamo a renderci conto del fatto che le causalità contraddistinguenti le voci le rendono quasi delle rarità:

« [...] s'ogni voce è suono, non ogni suono è voce; si come il suono delle campane ci dimostra, e tutto l'altro che siegue si mette in luogo di differenza, perché, dicendosi cagionato dall'anima, si fa differente la voce da quei suoni i quali dall'anima non si cagionano, e s'ha da intendere per l'anima (com'ho detto) principalmente l'imagginativa e appresso la motiva del petto. E dicendosi che sia cagionato per la ripercussione dell'aria nella gola si fa differente la voce da quei suoni i quali quantunque si cagionino dalla ripercussione dell'aria nondimeno non si fanno nella gola. E dicendosi ultimamente con intentione di significar'alcuna cosa si fa differente da quelle ripercussioni che nella gola si fanno senza significar disegno [...].»

Nella Lettera sul canto, Maffei ci informa che la voce non è concessa a tutti: è senza dubbio alcuno un suono, un fenomeno acustico, ma non tutti i suoni sono da considerarsi voci. Maffei, prendendo in prestito alcuni esempi dalla zoosfera, postula che in assenza di gola e polmoni non si possa parlare di voce, mostrando nuovamente la stretta connessione che intercorre tra quest’ultima, lo spirito e il corpo.

«Mi sovviene (dirà V. S.) di domandarvi a quai animali è conceduta la voce? Gli rispondo brevemente che la voce è conceduta solo agli animali che hanno la gola e lo polmone. Onde le mosche, grilli, cicale, farfalle ed ogni altro animale insetto, per non aver gola, sono privi di voce. E quello romore o sussurro che fanno quando volano non è voce, ma suono fatto dall'ali che percuotono l'aere. E, per la medesima ragione, sono privi di voce i pesci, i quali, per non aver il polmone, non solo non hanno voce, ma ancora non rifiatano (ed in questo mi perdoni Plinio: non parlo ora del delfino, della balena, del cane e di molti altri pesci i quali hanno il polmone e rifiatano fuora però dell'acqua).»

L’autore non mette uomini e animali in un rapporto gerarchico, tuttavia è conscio delle diversità che li separano (secondo Aristotele le caratteristiche psicofisiche differenziano le varie specie animali; l’uomo è anch’egli un animale, pertanto presenta peculiarità che hanno specifiche finalità, proprie solo a lui) .


 

 

 
 
 

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