L’Ape musicale

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La voce nell'arte e le sue tipologie

Ogni voce presenta caratteri unici, tuttavia può comunque essere ricondotta a una determinata macrotipologia. Maffei, nella Lettera sul canto, individua le seguenti “spetie naturali” o tipologie vocali: grande o piccola, aspra o lene, grave o acuta, rigida o flessibile. Maffei considera la vocalità come un mosaico di fattori che origina specifici effetti acustici:

« E cominciando dalla piccola e grande, fa di mistiero ch’io ricorra a quello che nello principio di questo discorso è stato detto, cioè che tre cose concorrono a far la voce, si come ad ogni altra umana operatione, le quali sono la materia, lo maestro e l’istromento, intendendo per il maestro le potentie dell’anima, cioè l'immaginativa e motiva del petto, e per la materia l'aere; e per l'istromento la canna del polmone. Onde quando l’istromento è largo e l’aere è molta e similmente le potentie dell'anima sono gagliarde, viene conseguentemente la voce a farsi grande; conciosia cosa che la molta espiratione fa grande ripercussione nella canna, dalla quale nasce poi la grandezza della voce si come si vede chiaro nelle trombe grandi, dov’è necessario molto fiato e forza. E, s'è vera la regola che l'un contrario per l'altro si conosce, ne può da questa nascere la causa della voce piccola, percioché dove si trova la canna stretta e picciola ed aer poco e poca ancora forza, fa di mistiere che piccola voce si faccia. E questo detto sia per coloro a quali dalla natura è stata conceduta o l'una o l'altra: che se volesse l'uomo di grande fingerla picciola, overo di picciola farla grande, potrebbe, secondo l'aggiongere o mancar delle dette cose, a modo suo farlo. »

Rientrano in gioco il corpo e l’anima, protagonisti indiscussi. L’immaginazione e il movimento del petto guidano l’aria all’interno del corpo, che varia da persona a persona: in base all’anatomia della trachea avremo una voce grande oppure piccola. La fisionomia è data dalla natura, pertanto naturale sarà anche la tipologia di voce che da essa deriva direttamente: tuttavia, Maffei afferma che chi è dotato di un apparato poderoso, che presupporrebbe una voce grande, può dosarsi volontariamente simulando una voce piccola. A questo punto emergono due poli opposti, cioè la condizione naturale e quella fittizia e artificiale; il canto maffeiano e, in generale, la sua idea di voce, presuppongono una condizione dettata dalla natura, pertanto coerente col corpo e l’anima dell’individuo. Questa sorta di conformazione naturale, sia fisica sia acustica, può essere più o meno malleabile ed eventualmente prestarsi a cambiamenti che deformano, anche se mai in maniera definitiva, il risultato sonoro:

« [...] per la voce flessibile s'ha da intendere (per così dire) voce pieghevole, cioè che con dolcezza si varia in tal maniera che l'orecchia rimanga sodisfatta. E per la rigida si deve intendere la dura, ch'in modo alcuno piegar non si può, onde l'orecchia, in udirla, si conturba. [...] Or dico dunque che queste voci nascono dalla propria materia della canna e intendo per la canna tutte le parti sopradette che concorrono à far la voce, si che se quella sarà molle fara la voce flessibile, pieghevole e variabile, ma se per sorte sarà dura farà la voce rigida e dura. Percioche, essendo duro l'istromento, non può (come bisognaria) piegarsi, si come essendo molle agevolmente piegandosi può formare e fingere ogni sorte di voce. E di qui nasce, che molti sono, i quali non ponno altra voce ch'il basso cantare. E molti ancora se ne veggono che non sono se non ad una delle voci del conserto inchinati, e quella, con grandissimo fastidio dell'orecchia, appena cantano. E, per il contrario, poi, se ne trovano alcuni ch'il basso, il tenore, ed ogni altra voce con molta facilità cantano, e fiorendo e diminoendo con la gorga fanno passaggi, ora nel basso, ora nel mezzo e ora nell'alto, ad intendere bellissimi. »

La flessibilità corporea rende tale anche la voce, che, se dotata di codesta proprietà, può spaziare in diverse tonalità e risultare soavissima. Maffei ricorda che solo Aristotele parla di rigidità e flessibilità vocale, aspetto non approfondito da Galeno, inoltre afferma che:

« Potrebbono alcuni ridurre queste sorte di voce [cioè flessibile e rigida] all’aspra e lene pure per venir l’una dall’interna soperficie della gola e l'altra dalla propria materia e sostanza della medesima gola.»

Nello specifico, a proposito di voce aspra o lene, Maffei dice:

«Ora ragiono della voce aspra e lene, e, per non annoiar V. S., con brevità gli dico che l'una e l'altra di queste si caggiona dall'interna superficie della canna, percioche essendo la soperficie equale e nello suo perfetto e proprio temperamento fa la voce lene e equale, e se per qualche umore ch'in essa invescato fusse, o vero per mancamento di quello, si fusse dal suo temperamento partita, si farebbe la voce roca, aspra, e inequale. »

Notiamo nuovamente la rilevanza della dimensione corporea: emerge l’equilibrio dei fluidi corporei (vale a dire il loro “temperamento”, voluto dalla medicina galenica e ancor prima da Ippocrate: secondo la tradizione medica antica il corpo è costituito da quattro umori, cioè sangue, flegma, bile gialla e bile nera; la combinazione di tali elementi influenza la salute del corpo e la sua psicologia) che è necessario per ottenere non solo un corpo, ma anche una voce sana, quindi limpida e non rauca. Oltre alle possibilità della voce in fatto di volume, malleabilità e qualità, Maffei identifica due differenti timbri, cioè grave e acuto, che contraddistinguono vocalità incentrate rispettivamente in tonalità a basse e alte frequenze:

«E dico che ancora che la voce grave e acuta sia differente dalla grande e piccola non è per questo che non possano elle stare insieme, che molte volte accade ch'una medesima voce è grande e grave, grande e acuta, grave e picciola, acuta e picciola. E, non entrando nelle varie openioni degli antichi sopra questo, ma solo alla pura verità venendo in compagnia del mio Aristotele, veramente secretario della natura, dico che la voce grande si caggiona dal tardo movimento dell'aere nella canna, si come l'acuta dal veloce, che già chiaro si vede che, per la velocità, questa assai più che quella si sente e penetra. E volendo di questo tardo e veloce movimento raggionare, dico che due cause a cio concorrono. La prima è l'aere come cosa mossa dall'anima. La seconda è la detta anima come causa movente dell'aere, e hanno queste due cause tra loro questa proportione e corrispondenza: che quando l'aere mosso avanza e resiste alla potentia movente si fa il movimento dell'aere tardo e conseguentemente è necessario che si faccia la voce grave. E quando, per contrario, la forza dell'anima avanza e supere l'aere, di modo che velocemente lo spinge e muove, è necessario che si faccia la voce acuta.»

Da queste righe emerge che Maffei sposa una dottrina molto antica, la quale, nonstante sia errata, è perdurata a lungo (anche Cartesio, nel Seicento, continua a sostererla nel suo Compendium musicae ): ai tempi di Maffei non si consoceva il concetto di frequenza e l’autore riporta il pensiero, già espresso, come egli stesso ricorda, da Aristotele, secondo cui le voci piccole/acute viaggerebbero ad una velocità maggiore rispetto a quelle grandi/gravi; oggi sappiamo, però, che il suono ha una velocità costante, pertanto non determina il registro vocale. Secondo Maffei, oltre alla velocità con cui si muove l’aria, anche la conformazione degli apparati fonatori (in particolare la lunghezza e larghezza della trachea) concorre a dar vita a voci grandi e gravi o piccole e gravi, grandi e acute oppure piccole e acute.

Oltre a indicare le svariate tipologie vocali, Maffei si interroga su quale sia, fra esse, la migliore, cioè quella che più si avvicina al concetto aristotelico di perfezione:

« E se volesse V. S. sapere quale di queste voci è più perfetta e a cavaliere più condecente, gli direi la grave, dicendomi Aristotele che la perfettione della voce e di qualsivoglia altra cosa consiste nel superare ed eccedere. Onde poi che la voce grave eccede e supera e tutte l'altre abbraccia, si deve più perfetta, più nobile e più generosa riputare.»

Le argomentazioni addotte dall’autore per giustificare il suo propendere per una voce grave non appaiono squisitamente estetiche, ma pratiche (a suo avviso codesta vocalità è in grado di coprire le altre e, come lo stagirita insegna, la perfezione consiste nel superare determinati limiti; inoltre sono quattro sia le spetie naturali della voce sia gli elementi del cosmo aristotelico: il porre la voce grave alla base delle altre sembra richiamare la cosmologia di Aristotele nella quale la terra, solida e pesante, è al centro di tutto); tuttavia, il richiamo a valori quali la nobiltà e la generosità esula dal mero pragmatismo. Maffei parla di voce cavalleresca e di ricerca di una cortese armonia. Una vocalità grave non prevarica brutalmente le altre voci, bensì, dice Maffei, le “ abbraccia” in un idilliaco equilibrio sonoro. Il modo in cui la voce grave si rapporta alle altre ricorda la grazia di un cavaliere che si inchina ad una dama, un gesto pieno non solo di grazia, ma soprattutto di bellezza. La Lettera sul canto è costellata di considerazioni estetiche il cui scopo è aiutare chi parla a divenire un cantante: il savio solofrano afferma, ad esempio, che l’emissione di un suono morbido e soave sia sinonimo di giustezza esecutiva; egli cerca di descrivere al lettore gli strumenti che servono a chi desidera imparare a cantare senza l’aiuto di un maestro. Il cantato ha origine dal parlato, ma non per antitesi, bensì grazie ad un graduale e armonioso passaggio.

Parlare di estetica ai tempi di Maffei è anacronistico, eppure notiamo nell’illustre solofrano una coscienza spiccatamente orientata a perseguire la virtù nonché la bellezza. La sgradevolezza del brutto e la piacevolezza del bello testimoniano l’esistenza di un interesse per l’aspetto estetico, come le suddette classificazioni vocali. La constatazione dell’esistenza di un’estetica, seppur embrionale, di Maffei conferisce al filosofo solofrano uno spessore non indifferente: i suoi discorsi sulla voce fanno emergere una teoria del bello, magari non formalizzata, ma che non può essere ignorata, in quanto ci consente di porre Maffei in una posizione di rilievo fra i pensatori suoi contemporanei. L’aver sposato idee che poco dopo la sua morte sono state sostituite da correnti di pensiero che hanno progressivamente preso le distanze dall’aristotelismo e dalla medicina galenica hanno portato Maffei ad essere accantonato ed eclissato da altre personalità. L’autore del Discorso sulla voce merita di essere rivalutato culturalmente in virtù della profondità delle sue riflessioni e le problematiche che le sue parole aprono: i Discorsi filosofici sono un’inesauribile fonte di spunti interdisciplinari per gli svariati argomenti affrontati da Maffei, dalla botanica all’astronomia, oltre al tema della voce. Un personaggio così poliedrico e stimolante non merita l’oblio, né in ambito filosofico, né medico, ma nemmeno musicale. L’interconnessione fra scienza, filosofia e musica teorizzata da Maffei arricchisce l’ambito artistico di nuove e inedite sfaccettature: oltre alla teoria e alla tecnica propone speculazioni mediche e filosofiche che ampliano il discorso musicale, aprendolo ad altre discipline. Guardare la musica dal punto di vista di un medico e filosofo rinascimentale come Maffei crea nuove prospettive di ricerca e di lavoro storico in ambito musicologico; oltre all’approccio specialistico proprio del musicologo e dell’esecutore, altre competenze culturali possono trovare applicazione nello studio degli effetti della musica sull’animo umano e sulla psiche. La cultura rinascimentale incarnata da Maffei ha il pregio di definire la musica attraverso un insieme di discipline (come la medicina e la filosofia, ma anche la retorica, la scienza, ecc.) che non la rinchiudono nei rigidi schemi della musicologia attuale.


 

 

 
 
 

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