L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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Ia­cobus de Bo­nonia

Fondamentale punto di riferimento per gli au­tori successivi, egli è celebre soprattutto per i suoi madrigali e le nu­merose cacce (un tipo partico­lare di madri­gale che dipinge scene, appunto, di caccia, pe­sca o mercato e in cui ogni voce, per così dire, rincorre l’altra). Nel quattrocen­tesco Codice di Faenza compaiono le rielabo­razioni stru­mentali di cinque madrigali di Ja­copo da Bologna, a riprova dell’importanza della sua mu­sica per i posteri.

Fu uno dei primi a comporre brani polifonici su testo in volgare e a lui si deve, inoltre, lo storico pri­mato di aver con­ce­pito un madri­gale a tre voci. Un’altra curio­sità: Non al suo amante, madri­gale scritto da Jacopo intorno al 1350, è l’unica composi­zione cono­sciuta su testo di Francesco Petrarca di quell’epoca, il quale ac­costa l’imma­gine di Diana a quella dell’adorata Laura e identifica se stesso con Atteone, fremente d’amore per la dea.

Ventotto suoi lavori si trovano nel Codice Squar­cialupi, grande collezione di opere musicali del XIV secolo, oggi conser­vato nella Biblio­teca Me­dicea Laurenziana a Firenze, già pro­prietà dell’organista Anto­nio Squarcialupi, poi ap­partenuto ai Me­dici. Portò il suo genio an­che a Padova, nella Ve­rona degli Scali­geri e a Milano, presso la Corte dei Visconti.

Ben poco si conosce della sua vita: alcune date, luo­ghi e personaggi sono deducibili, altri sono esplici­tamente ci­tati in alcune composi­zioni di tipo celebra­tivo. Ad esempio, il 1346 è un anno da in­dicare con sicurezza, poiché viene riportato nel ma­drigale O in Italia felice Liguria, che esalta i suc­cessi della politica viscon­tea nei confronti di Genova e Parma e la nascita dei due figli gemelli di Luchino; risaputa era poi la pas­sione che il signore milanese nu­triva per l’arte vena­toria, tema cui l’artista dedicò ad esem­pio la caccia Per sparverare tolsi el mio sparvero. A que­sto punto, possiamo far coin­cidere la perma­nenza di Jacopo a Milano con la decennale si­gnoria di Luchino Visconti (dal 1339 al 1349, anno in cui morì, forse avvele­nato dalla terza moglie Isabella Fieschi), ed è opinione cor­rente che il soggiorno veronese sia suc­cessivo a quello ambrosiano. Nei testi del mottetto Lux pur­purata radiis, diligite iustitiam e del madri­gale Lo lume vostro, dolce mio segnore si cela il nome di Lu­chino in acrostico. Il primo brano si rivolge anche al fratello Giovanni, arcivescovo di Milano, e le parole del se­condo alludono sia ad Isa­bella che a una con­giura di palazzo, scoperta ed esemplarmente punita nel 1341, guidata da Francescolo Pu­sterla.

Non ci è nota l’esatta data di nascita di Ja­copo, ma, in assenza di dati riconducibili a prima degli anni Qua­ranta del Trecento, essa sarà da porre tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo. Oltre alle origini bolognesi evo­cate dal toponimo, sap­piamo che trascorse un signifi­cativo periodo di forma­zione nella sua città, ove fra la fine de­gli anni Trenta e i primi anni Quaranta, è testimoniata la circola­zione di com­posizioni poli­foniche attribuite a lui. Scrisse anche un trattato di teoria musi­cale, L’arte del di­scanto misurato.

In ultimo, è importante dire che fu egli ad elaborare le re­gole e le tec­niche per com­porre ed eseguire il repertorio polifonico di cui era esperto: cen­trali erano l’eleganza armonico-ritmica e la linea­rità delle melodie, proprie di tutte le sue compo­si­zioni; Jacopo soste­neva che la polifo­nia do­vesse essere, tra le altre cose, “soave e dolce”, in antitesi all’uso abi­tuale del “gridar forte”. L’analisi del suo ope­rato non ci re­sti­tuisce nulla dopo il 1360. Il nome Jacopo da Bolo­gna è citato an­che in do­cumenti succes­sivi, tuttavia non possiamo af­fer­mare con certezza di non essere dinnanzi a un caso di mera omonimia.


 

 

 
 
 

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