Il potere della musica

di Roberta Pedrotti

Stefano Montanari ha diretto per il festival Donizetti Opera la prima ripresa in tempi moderni delle Nozze in villa. Gli abbiamo chiesto di parlarci della riscoperta di questo titolo giovanile, ma anche delle attività teatrali e musicali fra le limitazioni per il contenimento del contagio e della sua ultima fatica discografica, Enea in Caonia di Hasse.

Bergamo, Le nozze in villa, 21/11/2020

Bergamo, Marino Faliero, 20/11/2020

Bergamo, Belisario, 19/11/2020

Marino Faliero, il doge di Donizetti

Il generale Belisario e l’ingratitudine del potere

Maestro, la prima domanda è d'obbligo: questo Festival Donizetti è stato rivoluzionato dalle norme anti Covid. Come ha vissuto e affrontato la preparazione dello spettacolo con tutte le limitazioni ora necessarie? Come affrontate una produzione senza la prospettiva del contatto diretto con il pubblico, ma registrando un video per lo streaming?

Effettivamente la situazione è molto particolare, ma non nuova per me: già alla riapertura il 15 giugno mi trovavo al Teatro dal Verme di Milano per una serie di concerti con “I Pomeriggi musicali”, la sala semivuota, con 200 persone nel pubblico… C'era un senso di affanno, di sgomento, ma, allo stesso tempo, la voglia di ricominciare e di testimoniare, con il nostro lavoro, la volontà di riprenderci la vita… Allora è stato molto emozionante. Qui a Bergamo, bisogna che tutti ci si renda conto del grande lavoro e sforzo fatto in Teatro per diffondere al mondo un messaggio di grande solidarietà e speranza. Tecnicamente è più complicato, a volte frustrante, ma il silenzio del Teatro fa risuonare ancora di più i suoni e la forza che la musica porta.

Lei abita a Nembro, ha diretto spesso a Bergamo e Donizetti è un autore che frequenta con una certa assiduità. Qual è il suo rapporto con la città e il Festival? Dopo la terribile primavera che ha colpito soprattutto proprio le zone dove vive, come ha vissuto la ripresa delle attività in teatro?

Donizetti è un autore a cui devo tanto, soprattutto all’inizio della mia carriera. Bergamo e il Teatro mi hanno visto iniziare questa magnifica avventura e tutte le persone che ho incontrato e con cui ho lavorato hanno lasciato un segno indelebile nel mio intimo. Ora, in un momento così straordinario, il teatro Donizetti è un simbolo di volontà e di capacità fortissima di riprendersi uno spazio e un ruolo nella società.

Come ha vissuto questi mesi, come uomo e come musicista? Ora che sempre più insistentemente si parla dei risultati incoraggianti della ricerca, come pensa che questa esperienza abbia cambiato il nostro modo di fare, ascoltare, vedere la musica e il teatro? In che modo potremmo farne tesoro per la ripresa?

La cosa più importante è la scoperta della tecnologia: lo streaming dovrà essere un nuovo modo di fare arte e di divulgarne la forza, che non è solo piacere, ma anche passione, impegno sociale e soprattutto un mezzo di crescita intellettuale di un popolo. Ci sarà una convivenza naturale tra Teatro in Teatro e Teatro in rete.

Le nozze in villa rappresentano il giovane Donizetti in un programma che presenta anche due importanti titoli seri della maturità come Belisario e Marino Faliero. Ci vuole raccontare un po' le caratteristiche e i motivi d'interesse delle Nozze in villa?

Onestamente non pensavo che questo Donizetti mi avrebbe appassionato così tanto. Troviamo tanto Rossini al suo interno, uno stile avvincente e intelligente, con molte soluzioni tipiche del periodo ma con il germe di Donizetti che serpeggia ovunque. È stato molto interessante vedere come davanti a un'Opera sconosciuta noi tutti, cast compreso, abbiamo dovuto addentrarci nel testo e nella scrittura musicale per scoprire un piacere e una freschezza dirompente. Un'Opera rivelatrice del suotempo.

L'opera ci è giunta incompleta. Un po' come avvenne a Pesaro con La gazzetta di Rossini, in cui un quintetto determinante per la trama ma riscoperto solo in seguito era stato sostituito da una tammurriata inventata da Dario Fo, qui si sono convocati Elio, Rocco Tanica ed Enrico Melozzi per completare le parti mancanti. Come avete lavorato? Cosa si deve aspettare il pubblico? Basterebbero le citazioni del barocco francese in Shpalman per descrivere la capacità di Elio e Tanica di far dialogare con intelligenza musiche di epoche diverse, senza contare le collaborazioni con compositori contentemporanei... Come si integrano queste personalità con Donizetti e il libretto di Marelli? 

La collaborazione è stata molto divertente, interessante, appassionata. Mi sono sentito come quando all'epoca si finiva prima della prima un numero e lo metteva sullo spartito per essere eseguito: scoprire una musica nuova, scoprire le sensazioni delle combinazioni sonore è magico. E poi Elio, Rocco, Enrico… musicisti coltissimi e molto capaci, sensibili ed intelligenti. Spero davvero di avere altre occasioni di incontro. Il risultato è sorprendente perché colpisce a fondo la sensibilità di ognuno di noi: potenza della musica.

Qui a Bergamo, nel Belisario, sono in cartellone anche Carmela Remigio e Celso Albelo, con i quali lei ha inciso recentemente l'Enea in Caonia di Hasse. Spesso il repertorio barocco è visto come terreno di specialisti, ma se Remigio, oltre al grande repertorio ottocentesco, affronta già Monteverdi e Handel, per non parlare del suo splendido Mozart, Albelo si associa molto più decisamente a Bellini, Donizetti, Verdi. Come avete lavorato sullo stile e sull'emissione?

Carmela la conosco da tanto tempo, ma non abbiamo mai lavorato molto insieme. È una cantante con capacità uniche: carattere, intensità, talento ed una professionalità portata all'estremo. Un piacere. Con Albelo,invece, non avevo mai avuto occasione. Di lui mi piace molto il timbro, il legato: poi nel barocco bisogna magari puntare a volte anche sui contrasti e su intenzioni e modi di pronunciare diversi, ma è bello il fatto di mettersi in gioco, non è da tutti.

Enea in Caonia è una serenata, una sorta di piccola opera in forma semiscenica o oratoriale che sembra quasi anticipare soluzioni oggi imposte dalla pandemia. Ci può parlare un po' anche delle caratteristiche di questo lavoro di Hasse? Qual è la teatralità, la drammaticità intrinseca, se c'è, nella musica di una serenata o di un oratorio rispetto a quella di una partitura pensata per la scena?

Effettivamente è una cosa diversa, ma, stranamente, una composizione come questa lascia più libertà, la si può utilizzare in mille modi e sta a noi collocarla o meno in un discorso più ampio all’interno di una struttura. Musicalmente trovo sia un lavoro di enorme livello: Hasse era un genio e un compositore che è riuscito a fare sue tutte le mille sfaccettature dell'opera settecentesca italiana.

Ora, sperando di poter ripartire tutti al più presto in piena sicurezza, quali sono i suoi prossimi progetti e gli auspici per il futuro?

Incrociando le dita: Zurigo per un Orphée et Euridice di Gluck, a Vienna per Il barbiere di Siviglia e poi a Lione con Acis e Galatea. Se ci saranno complicazioni, a casa, a godermi la famiglia!