Guardando al futuro

di Michele Olivieri


Francesco Mariottini nasce a Jesi il 6 novembre 1985. A undici anni inizia i corsi di danza moderna nella sua città. Nel 2000 ottiene una borsa di studio che lo porta a Firenze, presso la scuola del Balletto di Toscana e Opus Ballet, diretta da Cristina Bozzolini e Rosanna Brocanello. Segue corsi di tecnica classico-accademica e contemporanea, oltre a numerosi stage con insegnanti di chiara fama quali Stefania Di Cosmo, Victor Litvinov, Raffaele Paganini, Marco Pierin, Frédéric Olivieri, Fabrizio Monteverde, Bruno Collinet. A partire dall’anno successivo prende parte al musical Passeggeri di Daniel Tinazzi e danza nella compagnia giovanile del BdT alcune coreografie, anche da solista, create da Fabrizio Monteverde, Orazio Messina, Rosanna Brocanello, Arianna Benedetti, Daniel Tinazzi e Alessandro Bigonzetti. A diciotto anni entra nel corpo di ballo dello Stuttgart Ballet, in cui danza pezzi di repertorio classico e contemporaneo (Romeo e Giulietta, La Bella Addormentata, Onegin, La Bisbetica Domata, Un tram chiamato desiderio su coreografie di John Cranko, John Neumeier e Marcia Haydée). Nel settembre del 2005 entra a far parte della Compagnia Aterballetto, sotto la direzione di Mauro Bigonzetti, dove esegue anche ruoli da solista danzando in varie parti del mondo tra cui New York, Houston, Messico, Cina, Nuova Zelanda e in Europa. Da ottobre 2008 si specializza nell’insegnamento della tecnica contemporanea e modern-jazz e prende la direzione artistica della scuola Umbria Ballet di Gubbio. In seguito danza in vari gala e serate di danza in qualità di freelance ed ospite. Instaura una collaborazione con le giovani compagnie italiane Emox Balletto di Beatrice Paoleschi e MM Contemporary Dance Company di Michele Merola. Nel settembre del 2015 entra a far parte della compagnia tedesca Stadttheater Giessen - Tanzcompagnie come Solista e l’anno successivo inizia a lavorare con la prestigiosa compagnia del Balletto di Monte-Carlo guidata dal coreografo-direttore Jean-Christophe Maillot sotto la presidenza di S.A.R. la Principessa Carolina di Hannover. Attualmente è Solista Principale stabile della compagnia.

Francesco, come è nato il progetto di ricominciare a studiare, nello specifico al corso di diploma per insegnanti?

Diciamo che insegnare è una delle cose che ho amato da sempre e già da ragazzino la predisposizione all’insegnamento era nelle mie corde. Ho intrapreso diversi percorsi d’insegnamento, adoro tenere stage e ho anche diretto, in collaborazione con una mia collega, una scuola di danza in Umbria per diverso tempo. Durante l’inizio della pandemia di Covid-19, a marzo 2020, la compagnia di Monte Carlo ha fatto domanda per avere la possibilità di far partecipare i suoi ballerini al corso di formazione statale francese per insegnanti di danza, che è molto prestigioso e che di norma si svolge a Parigi. Molti ragazzi della compagnia hanno dato l’adesione all’iniziativa, così l’organizzazione ha acconsentito alla possibilità di far venire il corpo insegnanti da noi a Monaco, e diluire il corso durante questa stagione, permettendoci di studiare parallelamente ai nostri impegni lavorativi. Un’occasione che non mi sarei mai perso per poter ufficializzare e soprattutto approfondire nei dettagli quello che è il lavoro e lo scopo di un insegnante di danza.

Com’è strutturato, quali sono i docenti, e quanto ti impegna al di là della Compagnia?

Il corso prevede circa 200 ore di studio divise in varie materie attinenti all’insegnamento della danza classica. Si passa da pedagogia fondamentale a psicologia infantile e adolescenziale, fino ad arrivare all’anatomia e alla traumatologia, per capire come evitare il più possibile gli infortuni durante un corso di danza. Non solo, studiamo anche le leggi e l’organizzazione di una scuola di danza privata o statale, la creazione dei corsi in base al livello e all’età degli allievi e i fondamenti della musica e del solfeggio, molto importante quando hai la possibilità di avere un pianista che accompagna la lezione che stai dando. L’organico docenti è composto da professori che insegnano in accademie e conservatori francesi, tra Nizza, Cannes e Parigi. Tutti altamente preparati e qualificati. Inoltre, per le materie meno artistiche come psicologia, abbiamo dei professori universitari, che molto spesso hanno collaborato o collaborano con scuole e accademie di danza. Per l’anatomia ad esempio abbiamo fatto alcune ore di studio con un fisioterapista che da giovane era un ballerino professionista, quindi ha una conoscenza esatta di cosa succede meccanicamente al nostro corpo durante l’esecuzione di un passo. Abbiamo iniziato lo scorso settembre e all’incirca studiamo per un’ora e mezzo la mattina prima di iniziare la nostra giornata di lavoro normale alle 10,30. Molto spesso il sabato se siamo liberi, sfruttiamo la possibilità di fare almeno 5 ore di corso. Ad oggi siamo arrivati ben oltre la metà, principalmente adesso mancano le ore di pratica nelle accademie qui intorno.

Anche il direttore Maillot ha dato la sua benedizione a questo nuovo percorso?

Sì, fortunatamente Maillot ha aderito con piacere, anche perché la nostra priorità rimane comunque il lavoro della compagnia e il corso si adatta alle nostre prove e ai nostri spettacoli.

Pensi già al passaggio da ballerino a maestro di danza, o lo vedi comunque lontano nel tempo?

Assolutamente sì Michele, lo penso spesso e anzi, quando posso (pandemia a parte) cerco sempre la possibilità di insegnare. Fino a poco prima che il mondo delle scuole di danza finisse in stand-by per colpa del Covid-19, nei weekend liberi andavo a Ventimiglia per offrire un corso di danza agli allievi di una scuola. E qualche volta anche durante le ferie estive passavo giorni in qualche città italiana come docente ospite di stages vari.

Un maestro non insegna solo i passi, è una professione con gli allievi particolarmente elaborata sotto numerosi altri aspetti?

Un maestro di danza è in primis un maestro di vita. Quando sei bambino, il maestro è un punto di riferimento, un amico, un genitore e a volte un comandante. Una delle cose più importanti per essere un buon maestro è proprio saper affrontare la parte psicologica degli allievi e stimolarli nella giusta direzione. Oltre lo studio dei passi, si insegna l’amore, la dedizione, il sacrificio e la costanza necessari per migliorare la tecnica, la dinamica, la fluidità e l’espressione in qualsiasi stile di danza.

Come base penso che conti ciò che il maestro conosce e come lo mette in pratica durante la lezione, d’altronde è un tramandare al meglio un bagaglio di esperienze acquisite negli anni, una ruota che gira se oliata bene?

Sì... e no! Non sempre un grande ballerino, con alle spalle una carriera internazionale, diventa un ottimo insegnante. Allo stesso modo durante il mio percorso ho incontrato alcuni insegnanti bravissimi, ma con pochissima esperienza come danzatori professionisti. Non metto in dubbio che l’esperienza conti moltissimo e arricchisca il bagaglio dell’insegnante, ma quello che conta di più secondo me è avere la conoscenza teorica di come preparare un allievo, donandogli uno sviluppo fisico ed artistico corretto e soprattutto riducendo il più possibile la possibilità di infortuni, unito ovviamente ad anni di pratica di insegnamento. Tutto il resto è un plus. Quello che dico spesso è che il primo maestro degli allievi sono proprio loro stessi. La danza va sentita dentro, vanno percepiti gli errori e in qualche modo auto-corretti. L’insegnante deve portarli a questo durante gli anni di studio, riuscire a far loro capire come correggere gli errori, guardandoli con il loro “occhio interiore”. L’esperienza da ballerino professionista è molto utile certo, e dal punto di vista artistico ed espressivo ti fornisce una marcia in più, ma è la tua esperienza, il tuo modo di affrontare i passi di danza e questo, ad alcuni ragazzi, può servire solo marginalmente.

A quale metodo di danza classica accademica sei più affine e perché?

Nella scuola dove mi sono formato, a Firenze, non si seguiva un unico filone. Seguivamo linee del metodo russo Vaganova e di quello francese. L’insegnante principale dell’epoca veniva dal metodo Vaganova, ma negli anni di lavoro come ballerina professionista si è avvicinata molto al metodo francese, creando così un mix dei due durante la sua carriera da insegnante. In realtà credo che con il passare del tempo, il mondo sia sempre più globale, e questo ci rende più versatili e aperti mentalmente. Penso che seguire un’unica linea non sia sempre corretto. Ovviamente nel corso che sto seguendo studio principalmente la tecnica francese, ma gli stessi insegnanti ci propongono a volte alcune sezioni più vicine al metodo Cecchetti o Vaganova. Credo che prendere spunto da questi tre metodi sia una linea giusta da seguire. Lo stile inglese che viene dalla Royal Academy of Dance, non lo conosco particolarmente e anche il metodo danese creato dal coreografo A. Bournonville nel XIX secolo. Mentre lo stile americano, più recente, l’ho toccato un po’ di più. Essendo in una compagnia internazionale, durante numerose tournée dall’altra parte dell’oceano, mi è capitato di studiare con diversi maestri americani. Personalmente non è il mio preferito, ma dipende tanto dall’insegnante.

Che esperienze hai con la danza di carattere?

Purtroppo non ho moltissima esperienza nella danza di carattere. Durante la formazione come allievo non ho avuto modo di studiarla. E anche in questo corso abbiamo avuto solo un piccolo assaggio. È una danza complementare allo studio del classico, che può aiutare a rafforzare muscoli, velocità di movimento e personalità dell’allievo. Conosco la presente danza più da spettatore, ma non ho avuto modo di praticarla veramente. In futuro mi piacerebbe approfondire anche questo lato, per avere un bagaglio maggiormente completo.

Durante un concorso, quale tipo di ballerino ti colpisce in particolare?

Il primo impatto è sicuramente quello fisico, poi appena inizia la coreografia vengono fuori tecnica, dinamica e fluidità, così come il controllo del proprio movimento. Uno dei punti fondamentali per me è l’espressione, non solo facciale, ma anche corporea. Cosa vuoi rappresentare con questa coreografia? Cosa stai raccontando? Quanto sei immerso nel tuo personaggio e quanto invece stai solo eseguendo dei passi? Quanto riesci ad esprimere il concetto, senza l’uso della parola, utilizzando solo il tuo corpo? L’allievo che riesce a catturare la mia attenzione dall’inizio alla fine dell’esibizione senza farmi accorgere che sono passati 2-3 minuti è sicuramente colui che mi colpisce di più. Ovviamente la pulizia tecnica e le doti fisiche sono molto importanti, ma potrebbero passare in secondo piano se l’energia, la sicurezza e la presenza scenica sono in grado di sovrastarle. Una cosa che invece non mi colpisce affatto è quando, per cercare di “strafare”, si cerca di utilizzare dei costumi o delle scenografie esagerate cercando di impressionare in qualche modo la giuria. Per me servono solo a distrarre da quello che è il vero livello del danzatore sul palco. Musica, costumi, scenografie e luci dovrebbero essere usati per valorizzare il danzatore e non per nascondere delle mancanze. La coreografia deve essere adatta a mostrare il livello massimo dell’allievo.

Credi che partecipare ai concorsi sia un buon inizio per la carriera professionale?

Assolutamente sì. Il famoso detto “bisogna farsi le ossa” è vero ed efficace. La sicurezza sul palco la crei proprio calcando il palcoscenico e non immaginandolo. Fare concorsi sin da piccoli aiuta a stimolare la voglia di imparare. L’allievo che non vince il concorso sarà stimolato a fare meglio la prossima volta, mentre l’allievo che vince inizierà ad essere appagato da quello che è la nostra arte. L’esperienza della competizione (sana) è una delle cose fondamentali nel percorso di un danzatore, e diventa inoltre un’esperienza di vita particolarmente importante. Mi piace definirla un’avventura! Partire in bus con i compagni di scuola e alcuni genitori, ritrovarsi in un teatro sconosciuto con altre centinaia di facce mai viste prima, attendere ore con ansia ed eccitazione prima dell’esibizione, vincere o perdere, andare a cena tutti insieme... sono tutti piccoli tasselli di vita che rimarranno nel cuore del ragazzo e segneranno il suo carattere.

Molti parlano di differenze di studio tra i diversi Paesi, ma credo che la sostanziale diversità sia da imputare sempre agli insegnanti e alla qualità delle scuole, giusto, Francesco?

Assolutamente giusto, Michele! Un buon insegnante può fare un buon lavoro su un allievo in qualsiasi paese del mondo. La differenza secondo me sta nelle possibilità economiche di quel paese e soprattutto nell’importanza che quel paese dà all’arte coreutica. Non voglio fare polemica, ma lo Stato italiano non ha mai dato un grande aiuto economico alla danza e questo ci ha portato a pensare che forse all’estero si studi meglio. In realtà abbiamo molti insegnanti bravissimi in Italia. Purtroppo, come succede spesso per i ballerini che migrano all’estero in cerca di un lavoro stabile, anche gli insegnanti cercano un posto in paesi che danno più valore e stabilità alla nostra professione.

Carlo Blasis affermava: “Il successo o l’insuccesso nello studio della danza dipende molto da come si iniziano gli studi; per questo occorre dare molta importanza alla scelta del maestro”. Una frase sempre attuale…

Attuale e anche molto vera Michele! L’allievo che non ha un buon insegnante sin da piccolo, in grado di dargli un’impostazione di studio corretta, rischia di non riuscire a far della danza il suo mestiere; se fortunatamente ci riesce, dovrà lavorare molto più duramente degli altri, per correggere i difetti presi da bambino, con la consapevolezza che più cresci e più difficile sarà “modellare” il tuo corpo ai fini della danza. Per questo tutti gli insegnanti, anche delle scuole più piccole, dovrebbero partecipare ad un corso formativo come quello che sto facendo io.

Chi sono i vostri maestri in compagnia, oltre al direttore? Vuoi fare un piccolo ritratto di ognuno di loro?

Nella nostra compagnia ogni due/tre settimane cambiamo maestro per la lezione di classico mattutina. Quindi fare un quadro di tutti mi sembra un po’ lungo. Ma ti farò due nomi di due insegnanti a cui sono molto legato e che vengono qui da tanti anni per almeno 2 o 3 periodi ogni stagione. Sono due eccellenze nel panorama italiano dell’insegnamento: Stefania Di Cosmo e Lucia Geppi. Tolto il lato personale, l’amicizia e il bellissimo rapporto con loro, dal punto di vista professionale posso dire che nella mia carriera le loro lezioni sono le migliori a cui io abbia partecipato. La bellezza sta proprio nell’energia che si crea in sala in quell’ora e mezzo, oltre al fatto che quando hai finito non ti senti stanco ma sei anzi pronto per affrontare una giornata di prove lunga e pesante. Questo è un punto fondamentale per chi insegna in una compagnia di ballerini. Inoltre entrambe spesso si fermano a vedere le prove che stiamo facendo e costruiscono così la lezione in base a ciò di cui abbiamo più bisogno in quel periodo.

La danza contemporanea da qualche anno affianca la danza classica in ogni prestigiosa compagnia internazionale, per tua esperienza convivono sempre al meglio le due discipline?

Secondo me sì, entrambe oggi hanno uno spazio ben definito nel repertorio delle grandi compagnie. Forse addirittura in alcune di loro si sta anche andando in una direzione con più programmi contemporanei rispetto a quelli di repertorio classico. Credo sia molto interessante per un discorso di nuova generazione di coreografi, avere più spazio anche nelle grandi compagnie che fino a qualche anno fa presentavano soltanto uno o due programmi contemporanei firmati esclusivamente da grandi nomi come Forsythe, Kylián, Bigonzetti. Oggi invece numerosi giovani coreografi hanno maggiore possibilità di lavorare per questi grandi teatri.

Solamente nel 1977 in Russia si è formato il primo teatro di danza contemporanea al mondo, il Leningrad Theatre of Contemporary Ballet. Oggi conosciuto come Eifman Ballet di San Pietroburgo, ciò per dire che spesso noi due ci siamo incontrati in giurie di danza, e sovente è nato il problema della non catalogazione e riconoscibilità della disciplina contemporanea a fronte di quella moderna da parte degli stessi insegnanti. Qual è il tuo messaggio in tal senso?

Diciamo che questo è un tasto dolente che vive da anni. Ognuno ha il suo pensiero e va rispettato. Devo dire che tutto quello che non è classico o neoclassico io lo racchiuderei in una sezione unica moderna (escludendo l’hip hop, le danze latino americane ed orientali, ovviamente). Nella sezione moderna dividerei due categorie, una più legata al jazz, modern-jazz e l’altra più legata al contemporaneo. Anche la scelta musicale può essere fondamentale per la divisione delle categorie. Ma non sempre è così. Molto spesso si fa l’errore di iscrivere una coreografia nella sezione contemporanea perché la musica fa parte di un mondo appunto contemporaneo, ma poi la coreografia che viene fatta è nettamente più lirica o modern-jazz. La coreografia che si avvicina a questo stile lirico, più televisivo, diciamo, leggero, la metterei nella categoria di danza moderna. Quella invece più introversa, più ricercata dal punto di vista del movimento e della fluidità la metterei nella categoria contemporanea.

Nella tua carriera, due produzioni che ti hanno arricchito notevolmente sotto diversi aspetti, quali sono?

Sono due produzioni contemporanee, la prima è sicuramente la creazione del Romeo e Giulietta di Mauro Bigonzetti nel 2006 mentre lavoravo sotto la sua direzione con la compagnia Aterballetto di Reggio Emilia. È stata forse la prima volta che ho preso parte in tutto e per tutto ad una nuova creazione, dove il coreografo lavora a stretto contatto con i ballerini e i passi vengono creati insieme a te. La porterò sempre nel cuore, anche per il feeling che avevo nel danzarla. La seconda è più recente, ma è stata creata prima, nel 2001. Si tratta di White Darkness di Nacho Duato. Nel 2018 con i Balletti di Monte Carlo ho avuto la possibilità di danzare il ruolo principale di questo Master Piece. La fluidità dei movimenti e l’intensità artistica uniti a delle musiche che ti fanno venire la pelle d’oca, è stato forse uno dei momenti più belli vissuti a Monte Carlo.


Quando si partecipa a delle creazioni in qualità di danzatori professionisti già maturi, non si è solo esecutori, ma si celebra l’idea, la visione e si porta del proprio all’interno del lavoro. Così capita anche con i Balletti di Montecarlo in prova?

Assolutamente sì, anche se dipende molto dallo spazio che il coreografo ti lascia, sia per le nuove creazioni che per i brani di repertorio della compagnia. Abbiamo molto spazio da parte del nostro direttore. Lui preferisce che tu esprima l’idea che ha in testa in maniera comprensibile per il pubblico, piuttosto che diventare un robot esecutore senza personalità. Questo è un lato che mi ha sempre colpito del lavoro qui a Monte Carlo, avere spazio per la propria interpretazione.

Per molti ballerini è uno sviluppo graduale e completo che avviene in modo del tutto naturale passare dall’essere ballerino a coreografo. Per te è un’opzione possibile che ti aggrada? Hai già provato l’esperienza diretta della coreografia e se sì con quale lavoro?

Non so esattamente in che direzione andrà il mio futuro. Quello dell’insegnamento è un aspetto che mi piace molto. Anche quella del coreografo potrebbe essere una linea interessante da seguire. Per adesso vado avanti passo passo cercando di approfondire conoscenza ed esperienza nei vari aspetti di un possibile futuro. Ho appena concluso un progetto in compagnia dedicato ai giovani coreografi. Una possibilità che il nostro direttore mette a disposizione annualmente, in collaborazione con l’università di arte e scenografia di Monaco. Quest’anno non abbiamo fatto un vero e proprio spettacolo con il pubblico, ma abbiamo registrato i vari pezzi e presto saranno disponibili online. Un’esperienza veramente bella, un connubio di energie tra me, i ballerini e gli scenografi. Ho creato un passo a due per due ragazzi della compagnia, ispirato ad un mondo parallelo dove la tecnologia ha avuto la meglio sull’umanità e ha preso il controllo della vita stessa, ricreandola tramite clonazione mediante un macchinario scanner.

Se il corpo ha un problema a muoversi, forse c’è un qualcosa dentro che lo blocca, riuscire ad arrivare all’anima del danzatore e aiutarlo a sciogliere il problema è forse un’altra delle grandi missioni di un maestro?

Il maestro, ripeto, è in primis un insegnante di vita. Molto spesso i ragazzi riscontrano dei blocchi psicologici e il maestro deve saper indirizzare l’allievo nella direzione giusta per poterli superare. Uno dei blocchi più frequente nei giovani è la vergogna: sentirsi ridicoli nell’eseguire qualcosa, dover utilizzare la voce durante una coreografia, dover improvvisare di fronte a tutti. Questi sono alcuni esempi di situazioni che un ragazzo dovrà affrontare e saper superare. Nella mia carriera mi sono trovato a fare qualsiasi cosa durante un’esibizione: parlare, urlare, cantare, mangiare, ridere, piangere in scena; in Germania ho dovuto danzare in una stazione ferroviaria durante l’orario di punta in mezzo ai passanti che non sapevano cosa stesse succedendo... Quando sei un professionista devi essere pronto a fare qualsiasi cosa il coreografo ti chieda di fare. Il bravo maestro deve insegnarti a superare questi ed altri ostacoli che bloccano l’allievo interiormente.

Tra tutti i grandi coreografi del passato a chi sei maggiormente legato?

Forse uno dei coreografi che più mi affascina è Jiri Kylián, non è molto “passato” lo so, ma il suo stile e la sua genialità mi hanno sempre lasciato a bocca aperta, sin da piccolo. Alcune sue creazioni rimarranno nella storia della danza mondiale per sempre. Un brano come Bella Figura creato nel 1995, è tutt’ora attuale e credo lo rimarrà anche tra cinquant’anni o più. Vorrei dedicare anche due righe ad un grande della creazione contemporanea, Maurice Béjart, il quale con i suoi balletti, soprattutto quelli di gruppo, creava energia allo stato puro.

Mentre dell’attuale scena a chi rivolgi il tuo sguardo con interesse, oltre naturalmente a Maillot?

Un giovane coreografo che sta prendendo molto spazio ultimamente è Juliano Nunes, brasiliano, classe 1990. Ha una fluidità di movimento meravigliosa. Ha creato brani per moltissime compagnie, tra cui l’ultimo lavoro che ho visto con la compagnia giovanile del Balletto di Zurigo. Uno spettacolo.

Francesco nella professione hai sempre seguito il tuo istinto?

Sempre, e continuo a farlo. La danza deve essere istintiva. Siamo noi i primi maestri e solo noi possiamo sentire il movimento dall’interno. Quindi sarà il nostro istinto a farci danzare meglio. Per quanto riguarda le scelte professionali, nel mio caso, sono sempre stato istintivo, ho cambiato varie realtà lavorative, a volte anche totalmente lontane da quello che era il mio mondo. Ad oggi posso dire che l’istinto è la prima cosa che serve, ma va sempre accompagnato da una riflessione su quali sono i pro e i contro.

Trovi che la danza si stia rinnovando con una forte contaminazione tra le varie discipline, arrivando quasi a confondere lo sport con l’arte?

Sì Michele, la danza è sempre più contaminata e credo sia un bene per non rimanere incartati sulla stessa linea. Bisogna comunque sempre fare attenzione a non esagerare. Mi piace utilizzare il detto (dialettale delle mie parti) “il troppo stroppia”. Bisogna fare attenzione a non esagerare con l’utilizzo di virtuosismi troppo ginnici, o sparisce l’emozione e si rischia di creare un pezzo di ginnastica invece che di danza.

Come vivi il rapporto con la musica?

La musica è tutto per un danzatore. Deve entrarti dentro, deve sorreggere il tuo movimento. Anche se sembra che il danzatore segue la musica mentre danza, in realtà la bellezza sta proprio nel riuscire a far in modo che sia la musica ad arricchire il movimento del danzatore. Non sempre ci si riesce e anzi molto spesso ci sono bravissimi danzatori non molto musicali. La danza non ci sarebbe senza musica e viceversa. Se, a volte capita, stai danzando un brano in silenzio, è la fluidità del tuo movimento che creerà una sorta di melodia.

L’autorevolezza di un maestro si misura anche dalla sua musicalità?

Non credo che la musicalità determini l’autorevolezza di un insegnante. Sicuramente però essere musicali è un punto di vitale importanza per il maestro. Altrimenti si rischia di far crescere degli allievi che non sapranno ascoltare la musica ed eseguire una coreografia correttamente sulle sue note. Imparare a contare sugli accenti musicali e saper tenere il ritmo è una delle prime cose che si insegna.

Per i pianisti accompagnatori durante la lezione quali sono le qualità indispensabili per tua esperienza? Sicuramente devono essere in grado di comprendere il respiro del corpo?

Ci sono due tipi di pianisti, quelli più classici che eseguono i brani per i vari esercizi, in maniera quasi automatica e molto precisa, tenendo conto sempre del tipo di combinazione e della velocità richiesta dal maestro. Poi ci sono alcuni pianisti che definirei “jazzisti”. Sono artisti in grado di improvvisare musica, a seconda dei ballerini che hanno davanti. Un buon pianista accompagnatore, soprattutto per una compagnia professionale, deve saper guardare i danzatori mentre eseguono l’esercizio e ridurre o velocizzare di poco il tempo musicale. Ad esempio, in una diagonale di pirouettes eseguita in piccoli gruppi di 3 o 4 persone alla volta, alcuni danzatori eseguono a volte 6 o 7 pirouettes e hanno bisogno di un secondo in più rispetto ad altri. Il maestro che segue il danzatore regalerà una nota un po’ più tirata a quei danzatori. Stessa cosa quando durante una combinazione di salti, parte un gruppo di ragazze e poco dopo un gruppo di ragazzi, che saltano più in alto e hanno bisogno di più tempo. Per quanto riguarda la scuola invece, un pianista deve saper tenere lo stesso tempo dall’inizio alla fine della combinazione e soprattutto saper suonare dei brani con i giusti accenti in base al tipo di esercizio richiesto dal maestro, facilitando il ragazzo nella comprensione del ritmo e della musicalità.

Il danzatore deve percepire la musica anche nel silenzio, tu come ti approcci a questa sensazione mnemonica?

Nel silenzio sono i movimenti del corpo a creare la musicalità. Un aspetto fondamentale quando si danza in silenzio, è il respiro. Il ritmo del respiro diventa la nostra guida. Se si sta ballando un brano di gruppo senza musica, il respiro è fondamentale per andare insieme. Se ogni danzatore si concentra sul respiro unendolo a quello degli altri intorno a lui, si crea una sorta di connessione invisibile tra gli elementi del gruppo che mette in moto un meccanismo istintivo in ognuno di loro, danzando in completa sincronia gli uni con gli altri. Quasi come se il battito del cuore e il respiro di tutti diventassero uno soltanto. Quando un gruppo di danzatori raggiunge tale livello, la coreografia acquista sicuramente un livello superiore.

Come si fa a dare valore ad ogni nota?

Secondo me è proprio il contrario, è la nota che deve dare valore ad ogni movimento del danzatore. Ma è il ballerino che deve saper eseguire il movimento nel momento esatto in cui quella nota risulterà in grado di valorizzare il movimento stesso. Un secondo prima o un secondo in ritardo e il valore si perde, creando magari anche una bella coreografia, ma sicuramente meno profonda e magica.

Il talento è importantissimo, è una dote fondamentale, ma non è tutto, bisogna sviluppare il cervello perché tutto parte da lì?

Certo Michele! Lo studio, la disciplina, la costanza sono cose fondamentali se si vuole affrontare un percorso da ballerino professionista. Non basta il talento e nemmeno le doti fisiche da sole. Ovviamente averle aiuta e, senza di esse difficilmente si potrà raggiungere determinati livelli. Ma la testa è una degli aspetti fondamentali nello studio dell’arte coreutica. La serietà con cui si studia e la determinazione del carattere hanno lo stesso livello di importanza di possedere un bel piede o una bella dinamica di movimento.

Quanto è importante lo studio della storia della danza? Senza il passato è impossibile guardare al futuro, sei d’accordo?

Il passato ci insegna moltissimo, senza lo studio della storia della danza, dei grandi maestri, un allievo non avrà un bagaglio completo sulle spalle. È un po’ come voler fare lo scienziato e non aver mai studiato la storia e le opere di Leonardo da Vinci. Sono pienamente d’accordo con questa tua affermazione Michele. Purtroppo nelle scuole di danza private non si studia mai il passato della danza, sono veramente pochi gli insegnanti che ho incontrato nel mio percorso che a volte tengono delle lezioni di storia della danza ai propri allievi. Mi sono chiesto a volte se sono gli insegnanti stessi a non conoscere il nostro passato?

Chi sono stati i tuoi Maestri ideali?

Durante gli anni della mia carriera ho incontrato numerosi insegnanti. Dai più severi, ai più gentili. La mia prima lezione di danza classica nel 2000 l’ho fatta proprio con la maestra Stefania Di Cosmo, lei è sicuramente un punto di riferimento per me dal punto di vista dell’insegnamento, così come Lucia Geppi con la quale, nei primi anni di lavoro come professionista, ho avuto modo di lavorare a stretto contatto. Un grande maestro che purtroppo ci ha lasciato per colpa del Covid, è stato Willy Burmann, ho avuto la fortuna di studiare con lui varie volte a Monte Carlo. Il suo metodo, complicato inizialmente, era una fonte d’ispirazione. Un altro grande nome del mondo del balletto con cui ho potuto studiare una sola volta per due settimane qualche anno fa è il grande Peter Schaufuss. La sua lezione era un po’ pesante, ma lo studio tecnico e la dinamica erano molto forti, alla fine delle due settimane mi sono sentito in perfetta forma e carico per affrontare qualsiasi difficoltà.

Da tanti anni sei un professionista ma come si ottiene un buon risultato? Immagino solo con il tanto lavoro e senza improvvisazioni di sorta…

Assolutamente! Improvvisarsi senza una buona base di studio non ti porta a nulla. Il duro lavoro e la determinazione ti faranno raggiungere dei risultati ottimi. Anche la fortuna gioca un ruolo a favore. A volte un coreografo ha bisogno di un certo tipo di danzatore che si avvicina molto a come sei tu. Altre volte purtroppo non vieni scelto perché in quel momento il direttore cerca un tipo di danzatore differente. La costanza, e il non abbattersi mai è il segreto per arrivare al successo personale. Chiusa una porta se ne aprirà un’altra.

Doti e proporzioni fisiche sono fondamentali in un ballerino, e con la crescita si modificano, a te com’è andata maturando?

Personalmente ho iniziato a danzare un po’ in ritardo rispetto ai canoni della danza classica accademica. Per questo ho riscontrato negli anni di studio, alcune difficoltà proprio nel modellare il mio corpo per renderlo adatto alla danza. Più cresci e meno facile diventerà. Dopo un po’ di anni la maturità gioca un ruolo importantissimo, perché grazie a questa puoi trovare il modo di mascherare un difetto fisico seguendo un’altra direzione mentre esegui un determinato passo. Inoltre ti fa capire quali sono i tuoi punti deboli e quali i tuoi punti di forza.

Quando si balla c’è una forma di egocentrismo nell’affrontare il palcoscenico?

Un po’ sì, ed è giusto che sia così. Quel pizzico di egocentrismo da palcoscenico, equivale alla sicurezza del danzatore che calca la scena. Tale sicurezza rende il danzatore forte e preciso sul palco e gli permette di portare avanti lo spettacolo risultando bello agli occhi degli spettatori.

Quanto conta l’umiltà nell’arte?

Molto, soprattutto l’umiltà nello studio. Il rispetto verso l’insegnante e i tuoi compagni determinano anche il rispetto che hai per te stesso. Ed essendo il nostro corpo l’unico strumento che utilizziamo per la nostra professione, bisogna rispettarlo al massimo. L’umiltà ti fa raggiungere i tuoi scopi. La danza è un percorso a volte tortuoso e pieno di insidie. Ci vuole tempo e pazienza per imparare un passo nel modo giusto. L’arroganza e il sentirsi il migliore di tutti può portare soltanto a farti studiare di meno, e quindi raggiungere pochi risultati rispetto ad altri.

Che valore oggi ha lo streaming, quali sono i pregi e i difetti?

Come tutte le categorie, anche la danza si è adattata alla situazione attuale causata dal Covid-19. Da un lato con lo streaming si perde un po’ di magia del teatro, l’odore delle assi, le poltrone piene di gente, gli applausi. Queste cose sono insostituibili e necessarie nella vita del danzatore. Da un altro lato devo dire che sono contento dell’apertura mentale che è arrivata automaticamente per spirito di adattamento. Il fatto che i teatri e le compagnie abbiano iniziato a fare spettacoli in streaming ha fatto sì che gli appassionati e forse anche qualcuno in più, potessero assistere a varie performance che altrimenti sarebbero state difficili da poter vedere. Per esempio io ho guardato moltissime produzioni del “Balletto di Zurigo” che sognavo da anni di vedere, ma che tra un impegno e l’altro è sempre stato impossibile. Rendere la danza meno privata e chiusa ad un pubblico di élite, e offrirla al mondo, potrebbe essere un primo gradino per far appassionare negli anni un numero sempre maggiore di persone.

La bellezza è anche un veicolo per rivolgersi a quelle persone che non hanno mai avuto un approccio alla danza, a te è capitato di coinvolgere ed avvicinare persone anche grazie al tuo aspetto fisico?

Sì, mi è capitato, soprattutto partecipando al programma “Amici”. Diciamo che la bellezza attira l’occhio del pubblico e questo può essere un punto di forza. Negli anni ho avuto molti sostenitori che inizialmente mi seguivano per il mio aspetto fisico ma che poi si sono appassionati anche di danza, e hanno scoperto il mondo del teatro in maniera generica.

Delle stagioni di danza del 2020 e del 2021 cosa ti rimarrà?

Sicuramente mi ricorderò quanto è stato difficile rimanere in forma durante il lockdown. Studiare a casa non è la stessa cosa e il ballerino non può permetterselo. Il nostro è un lavoro quotidiano e va fatto in strutture adeguate. Per il resto, sono stato fortunato qui a Monte Carlo. Nei mesi abbiamo sempre lavorato e fatto diversi spettacoli. Le tournée si sono fermate e questo da un lato non mi è dispiaciuto. Mi sono goduto e mi sto godendo casa mia, il nostro teatro e quest’area meravigliosa. Dopo tutta la vita con la valigia in mano, questo è stato un periodo ottimo per potermi fermare un attimo e dare spazio anche ad altro, come lo studio del diploma per insegnante di danza e lo studio della lingua francese.

Frederick Ashton si ispirò per i suoi balletti ad Anna Pavlova con il “passo di Fred”: una successione di passi creata della Pavlova così formata: “arabesque, fondu, coupé, petit developpé, pas de bourée, pas de chat”. Per concludere Francesco a quale sequenza ti piacerebbe pensare, come se fosse il tuo biglietto da visita?

Sicuramente non ad una rigida sequenza di danza classica. Preferirei una combinazione contemporanea, ancora meglio se ispirata a qualche brano di repertorio del maestro Jiří Kylián.