Daniela Pini, Isabella a Torino

di Ramon Jaques

Daniela Pini: una giovane cantante consapevole e fantasiosa, un'artista vivace e generosa, voce preziosa di mezzosoprano di coloratura, duttile e versatile che, grazie anche a un fisico invidiabile, passa con disinvoltura dall'adolescente Cherubino alla femme fatale, Carmen e Alcina, alla dolce Angelina o a scatenate Isabella e Dorabella... L'abbiamo intervistata con alcune domande sull'arte del canto in generale, sulla vita di un cantante oggi, in un mondo che va assai più veloce dei tempi naturali della fisiologia umana, e sui ruoli che le sono attualmente più congeniali, ossia quelli rossiniani. Le sue risposte offrono spunti di riflessione.

 

Daniela, come vedi oggi i ruoli del mezzosoprano rossiniano? Quali sono le differenze stilistiche che un mezzosoprano o un soprano devono affrontare oggi rispetto al passato? Oggi si canta Rossini in maniera diversa da come lo cantava Toti Dal Monte o Cloe Elmo, Giulietta Simionato o Maria Callas. Ti va di illustrarci le differenze tra ieri e oggi?

Secondo me oggi i parametri di ascolto sono essenzialmente diversi da quelli del passato. Oggi c’è sicuramente la ricerca di un maggior rigore stilistico e di uno studio filologico più approfondito. Al cantante in genere si richiede maggiore precisione legata allo spartito e una più stretta aderenza al testo. Bisogna comunque tener conto oggigiorno che la percezione del suono è assolutamente diversa da un tempo: siamo talmente abituati al “digitale” che si “pretende” spesso una spasmodica perfezione del suono, anche “live”… Purtroppo in generale nella vita di tutti i giorni il livello acustico è assolutamente più alto e invadente del passato, per cui ciò che si ascoltava 50 anni fa dal vivo non è più comparabile ai nostri standard. Per questi motivi quindi credo che i confronti siano difficili da fare. Non si può che prendere atto dei cambiamenti inevitabili che i tempi impongono..

Isabella, Rosina, Angelina... cosa ti attrae in questi tre ruoli e cosa ti motiva a cantarli? Come pensi che debba essere l'eroina rossiniana?

Mi sono sempre piaciuti i ruoli rossiniani e ho sempre avuto dimestichezza con la vocalità che questo autore propone. Sono nata a Lugo, come il padre di Rossini e forse anche l’essere nata nella stessa terra di questo compositore mi ha aiutato a capirne i tratti.. Amo la freschezza di questi personaggi (parliamo del Rossini buffo), il carattere giocoso e “leggero” di queste figure. Di Isabella ammiro e sento mia l’intraprendenza e il coraggio nel risolvere anche le situazioni più scomode, di Cenerentola adoro la dolcezza e la grandezza d’animo. Sostanzialmente Rosina è quella che sento meno mia caratterialmente, anche se mi diverte moltissimo come personaggio. Certo con il Rossini buffo non si può dar voce a emozioni profonde e a tormenti d’anima, ma credo che queste opere in fondo ci insegnino a prendere la vita con maggiore allegria e leggerezza, trasformando ogni situazione in un’occasione di divertimento.

Come stabilisci un rapporto col pubblico nel buio della sala? Cosa sente un cantante appena apre bocca?

Il rapporto col pubblico è sicuramente ciò che determina maggiormente l’andamento di una recita. Il pubblico non lo si vede: lo si sente. Già dal primo applauso si può capire l’umore del pubblico, l’età e il cuore. Si stabilisce fin da subito un collegamento tacito, il cantante da sempre tenta di far emozionare, divertire, è come se cercasse ad ogni nota di accaparrarsi il benevolo giudizio di chi ascolta. Personalmente cerco sempre di coinvolgere il pubblico nella comprensione, la mia meta più ambita è proprio quella di farmi tramite tra quello che succede sul palco e chi mi sta di fronte, nel pieno rispetto di entrambe le parti! Ovviamente non sempre ci si riesce ma costantemente ci provo!

Il canto italiano in Italia e all'estero. Ci sono sempre meno vincitori italiani di concorsi internazionali. Secondo te perché?

Purtroppo il Belcanto, patrimonio culturale italiano tanto esportato nel mondo, ha subito sicuramente una flessione negli ultimi tempi. Non sono certo nella posizione di commentare le statistiche, ma penso che purtroppo negli ultimi anni si sia perduta quella naturalezza di canto che caratterizzava le voci di 40 e più anni fa. Troppo spesso oggigiorno si canta cercando di applicare un metodo, costruendo architetture complicatissime attorno a una naturalità di cui il nostro corpo e la nostra lingua ci hanno fornito fin dalla nascita. Inoltre la velocità dei tempi moderni non ci permette più di soffermarci sulle emozioni, sul lavoro profondo di ricerca interiore che l’opera lirica richiede e che sembra così anacronistica nell’epoca dei tablet.

Raccontaci dei tuoi rapporti coi direttori d'orchestra e coi registi. Come si possono conciliare posizioni diverse rispetto al canto, la musica e il palcoscenico in tempi in cui non si fanno più tante prove come un tempo e si rischia spesso di andare in scena senza avere le idee chiare?

Certamente avere le idee chiare è sempre un buon punto di partenza! Quando si ha la fortuna di lavorare con direttori e registi che portano il loro punto di vista ben elaborato e maturato sulla base dello spartito si arriva sempre a fare un ottimo lavoro e le diversità di idee sono spesso il vero punto di forza. Con il confronto intelligente ho sempre visto ottimi risultati anche quando la realizzazione sembrava allontanarsi molto dall’epoca reale dell’opera. Certo non è scontato lavorare al meglio, ma personalmente non sono mai arrivata a malumori o scontri. Qualche volta, di fronte a qualche intoppo, è bastato cambiare il mio punto di vista, ricominciare dallo spartito e affidarsi alla parola e alla musica. La soluzione spesso è a portata di mano!

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