Butterfly, moderna e crudele

 di Roberta Pedrotti

 

Dopo un periodo in cui sembrava aprirsi, salvo rare eccezioni, un buco generazionale nell'avvicendarsi delle carriere sul podio, assistiamo in questi anni alla meritata ascesa di direttori fra i trenta e i quarant'anni, alcuni dei quali (come Daniel Harding) ex giovanissimi astri del podio, altri (come Bignamini) approdati alla direzione in tempi relativamente più recenti e comunque sempre dopo anni di gavetta musicale (sia che impugnassero subito la bacchetta, sia che suonassero uno strumento). Fra questi, uno dei nomi che si stanno sempre più prepotentemente imponendo all'attenzione generale è quello di Francesco Lanzillotta.

Convince nell'opera come in concerto, e parlandogli si capisce bene il perché. Nato come compositore, con alle spalle intense esperienze giovanili nei più diversi ambiti anche dell'improvvisazione, non lascia nulla al caso, sa gestire i margini di libertà concessi di volta in volta all'interprete, cura la lettura e l'analisi del testo con una sensibilità e una meticolosità illuminate dalla passione, per cui discorrere di musica (e non solo) anche a telecamere spente è un vero piacere, fatto di leggerezza e profondità. Ama molto, questo è certo, il repertorio del XX (e XXI) secolo, ma, pur esplorandolo in ogni piega meno conosciuta, non si richiude in esso come uno specialista compulsivo e diffidente; parla bensì del suo approccio al Settecento, dell'umiltà di studio con cui ne ha approfondito il linguaggio, e parla anche di teatro e di voci, senza che nemmeno ci si ponga il problema di pensare a una specificità del lavoro operistico o sinfonico, entrambi frequentati e alternati con naturalezza. Anzi, colpisce il suo amare sinceramente il canto, ma da musicista, non da melomane, appassionandosi alle possibilità teatrali e musicali della voce con una comprensione e un'attenzione felicemente libere da ogni concessione all'edonismo fine a se stesso, all'effetto senza causa. D'altra parte è naturale aspettarsi la cristallina consequenzialità d'ogni aspetto dell'intepretazione da un direttore che, nel dialogo, dimostra di avere veramente tanto da dire, profondo e acuto musicista, ma che dichiara di non voler mai trasformare le prove in lezioni e conferenze, puntando più sul lavoro pratico e la chiarezza della tecnica.

In occasione di Madama Butterfly al Regio di Parma (debutto operistico nella città dove ha sede l'Orchestra Filarmonica Arturo Toscanini, di cui da un anno è direttore principale), l'attesa di un Puccini rigoroso, puntualmente contestualizzato, liberato da ogni retorica dolciastra non va delusa in teatro. E, in camerino, così ce lo racconta.