Raccontare in musica

 di Rossella Rossi

Quella di Dario Marianelli non è la consueta storia di un cervello in fuga dall’Italia. Vincitore nel 2008 del Premio Oscar per la colonna sonora di Espiazione, pellicola del regista Joe Wright, e forte di altre due nomination per Orgoglio e Pregiudizio e Anna Karenina (sempre di Wright), a cinquantatre anni dichiara candidamente che quando decise di trasferirsi a Londra lo fece probabilmente perché non aveva ancora ben chiaro “che cosa volesse fare da grande”. Talento però ne aveva da vendere se oggi il suo catalogo può vantare – oltre a musica sinfonica e concertistica – più di cinquanta titoli tra musica per il teatro e colonne sonore composte per le più importanti major mondiali. I legami con Pisa, sua città natale, sono però rimasti inalterati, e così il Conservatorio di Musica Cherubini ha potuto avere il privilegio di ospitarlo a Firenze per un incontro – lo scorso lunedì 24 ottobre – organizzato da Giovanni Del Vecchio, anche lui pisano e titolare della cattedra di lettura della partitura all’istituto fiorentino. L’incontro tra il maestro Marianelli e gli studenti del Conservatorio Cherubini è iniziato alle 10 con una conversazione introdotta da Michele Ignelzi, nella quale il compositore ha raccontato gli anni della sua formazione tra Pisa e Firenze e la sua successiva scelta di iscriversi ai corsi dell'inglese National Film and Television School, raccontando poi dei primi incarichi per il teatro e il suo successivo approdo nel mondo del cinema. La mattinata si è conclusa con l’ascolto della Suite per violoncello e pianoforte tratta dalle musiche per Espiazione eseguita da Fernando Scarselli e Giovanni Del Vecchio. Nel pomeriggio invece il Maestro ha esaminato i lavori assegnati agli studenti cui mesi fa aveva inviato un lungo spezzone di The Boxtrolls – film di animazione da lui musicato nel 2014 – prescrivendo di elaborare le musiche per alcune scene e di sincronizzarle con i dialoghi, privati della sua musica, che ha anche invitato a non ascoltare preventivamente per non esserne influenzati. 

Abbiamo rivolto qualche domanda a Dario Marianelli, che ringraziamo per la disponibilità:

Gentile Maestro, quali variazioni ha subìto il suo stile nel corso della sua attività? In quale direzione?

Qualcosa è sicuramente cambiato nel mio modo di lavorare, in questi miei venticinque anni di colonne sonore. Parlare di stile è difficile: vuol dire cose diverse per persone diverse. Quando ascolto la musica che scrivevo molti anni fa, comunque, riconosco delle costanti che sono ancora presenti in quello che faccio ora: una preoccupazione per la polifonia, per il movimento orizzontale delle parti, per esempio. Credo che soprattutto sia cambiato il mio rapporto con la forma, con la struttura a lungo respiro di una storia da raccontare in musica. Mi interessa di più, ora, costruire una colonna sonora da pochi elementi collegati fra di loro, piuttosto che usare più idee musicali di quelle strettamente necessarie. Mi sono spostato verso un uso più economico del materiale, e mi diverto di più a trovare variazioni e sviluppi per espandere le idee di base della una colonna sonora.

Ho letto che lei considera la colonna sonora di un film come una sorta di narratore, di personaggio che espone un suo punto di vista, quasi autonomo, rispetto alla pellicola. I suoi commenti musicali hanno, come in Wagner, una personalità che a volte si discosta  dalla situazione narrata?

Wagner è uno dei modelli principali per la musica da film, e l’uso del leitmotiv è una caratteristica prominente di molte colonne sonore, spesso anche per la mie. Il discorso sulla “situazione narrata” è complicato: qual è la situazione narrata? Quella che si vede, sullo schermo? Mettiamo, per fare un esempio qualsiasi, un viaggio da un posto a un altro. Ci sarà sempre la scelta fra musica “da viaggio”, o di movimento, musica invece “geografica” che amplifica il paesaggio all’interno del quale il viaggio avviene; oppure musica che dà corpo a quello che passa per la testa dei personaggi che stanno viaggiando (quindi musica per qualcosa che non si vede); o invece, la situazione è quello che sappiamo potrà succedere a causa di quel viaggio, quindi musica di presagio, per un'aspettativa che potrà o meno rivelarsi corretta, etc. Insomma, in parole povere, la musica non può commentare la "situazione narrata". Nel momento in cui mettiamo musica su una scena, è la musica che decide, imponendo o suggerendo (a volte sviando, anche), cos’è che la situazione sta in effetti narrando.

Ci sono autori classici o contemporanei che rappresentano per lei dei punti di riferimento?

Veramente troppi per farne una lista. Da Leonino e Perotino in poi, quasi tutti.

Ha una forma preferita che applica alla sua musica, quando compone?

Accennavo prima a come queste preferenze sono cambiate con gli anni. Ogni progetto trova la sua forma individuale, comunque; non esiste nella musica da film la possibilità di usare forme pre-definite. Ogni storia ha i suoi tempi, la sua struttura, e anche se la musica può essere fino a un certo punto libera dalle costrizioni del dettaglio della narrativa, non può mai esserlo completamente, se vuole abbracciare la storia abbastanza strettamente.

Ha dei consigli per coloro che volessero diventare compositori per film?

Per me ha funzionato meglio non il “voler diventare”, ma il “vedere dove porta questa esperienza”. Se proprio uno “vuole”, il mio solito consiglio è quello di essere molto fortunati. Forse si può provare ad aiutare la fortuna, dicendo di sì più o meno a tutto quello che viene offerto: pagato, non pagato, bello o brutto, almeno per parecchio tempo.

Che impressioni le ha lasciato la giornata fiorentina e quali prospettive pensa ci siano oggi per i ragazzi che studiano composizione?

Impressione: buonissima — vedo che ci sono ragazzi che non hanno paura di buttarsi e provare a fare. Il lavoro di compositore, per me, è prima di tutto un lavoro pratico, dove bisogna costruire, fare. Studiare, sì anche quello, ma studiare non basta, bisogna andarsi a cercare situazione dove la parte pratica viene esercitata. Mi è dispiaciuto non vedere più ragazze, al seminario: speravo che questo lato pratico del fare musica attirasse anche loro. In Inghilterra, dove vivo ormai da quasi trent'anni, ci sono parecchie donne che compongono, e alcune sono molto brave.