Ribelle al destino

 di Roberta Pedrotti

Ha fatto discutere la nuova produzione di Carmen al teatro del Maggio Musicale Fiorentino con la regia di Leo Muscato, che si conclude con un colpo di pistola esploso dalla protagonista all'indirizzo di Don José. Abbiamo chiesto alle due interpreti che si alternano nei panni dell'affascinante gitana, Veronica Simeoni e Marina Comparato, di raccontarci il loro punto di vista.

Leggi anche la recensione dello spettacolo del 13/01/2018

Non è la prima volta che canti Carmen. Qual è il tuo rapporto con questo personaggio? In cosa lo senti più vicino e cosa, viceversa, ti è più estraneo nella sigaraia sivigliana?

Veronica Simeoni

Marina Comparato

No, non è la prima volta che canto Carmen: ho fatto già otto o nove produzioni e il mio rapporto con questo personaggio è sempre nuovo, di ricerca continua, di approfondimento. Questo è un personaggio difficile, complesso, e mostruoso. 

Lo sento vicino a me come forza, come carattere: io sono difficile da piegare. Distante da me come tradizioni, come usi... essendo una zingara crede nelle carte e nel destino ineluttabile. Io sono contro qualsiasi tipo di superstizione e scaramanzia, e penso che il destino ce lo creiamo noi giorno per giorno.

 

Mi sono avvicinata al personaggio di Carmen solo molto recentemente, l'ho infatti debuttato ad aprile 2017 alla Fenice. Per me è stata una grossa sfida poiché provenivo da un repertorio totalmente diverso e l'ho affrontata dopo molti mesi di studio musicale e vocale e di lavoro sul testo francese. Il mio rapporto col personaggio è stato di totale apertura a ogni tipo di stimolo. Mi sono infatti avvicinata a Carmen come un quaderno bianco, su cui ho lasciato che parole, musica e voce scrivessero ciò che la mia sensibilità mi conduceva a scrivere.

Di lei sento molto vicino il senso di libertà e la sua imprevedibilità. Per me Carmen è un personaggio inafferrabile, e tale deve rimanere, anche da una produzione all'altra, da una recita all'altra. 

Il lato più estraneo è forse la sua premonizione di morte, il suo lato drammaticamente rassegnato al destino. Ho dovuto lavorare molto su me stessa per trovare in me le vere espressioni della drammaticità, parlo soprattutto della scena delle carte, ed ho scoperto un lato di Marina che non conoscevo.

Lavorando con diversi registi e direttori quali sono state finora le chiavi di lettura e le sfaccettature di quest'opera che hai esplorato e che più ti hanno colpita?

Veronica Simeoni

Marina Comparato

Sicuramente il lavoro fatto con un direttore come Chung è stato per me preziosissimo, mi ha aperto un mondo musicale su questo personaggio, ho scoperto soprattutto la fusione del suono vocale con quello strumentale, il passarsi sempre un testimone, senza mai far cadere la tensione.

Dal punto di vista registico sicuramente ogni produzione ha posto l’accento su aspetti diversi, e tutti più o meno plausibili; quella che ho trovato più interessante finora è sicuramente la produzione di Bieito. Una Carmen moderna, semplice e naturale.

 

La mia esperienza in Carmen, come dicevo, si limita a due produzioni: quella di Calixto Bieito e quest'ultima di Leo Muscato. Della chiave di lettura di Bieito mi ha colpito molto la rappresentazione quasi selvaggia dell'umanità che circonda Carmen, il togliere ogni aspetto folkloristico ed oleografico, pur mantenendo perfettamente la narrazione e lo spirito di ribellione, di indipendenza, l'animalità carnale di Carmen.

Ci racconti dal tuo punto di vista la Carmen “ribelle” in scena al Maggio? È molto diversa da quelle che hai conosciuto in precedenza sia come interprete sia come spettatrice/ascoltatrice?

Veronica Simeoni

Marina Comparato

Un’operazione finalizzata a porre l’attenzione su una problematica che ormai ci riguarda sempre più da vicino: la violenza sulle donne. Carmen è stata sempre assunta a simbolo di femminicidio, infatti io stessa ho partecipato a tavole rotonde e conferenze anche a Venezia sull’argomento, cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica. 

Questa chiaramente è una provocazione per poter dire alle donne di difendersi, di reagire denunciando alle autorità competenti, di non accettare più un linguaggio di violenza sia fisica che psicologica. 

Un messaggio indirizzato anche agli uomini, che vengano sensibilizzati ad un nuovo linguaggio dell’amore.

Secondo me il teatro non è solo veicolo di divertimento e spensieratezza ma anche uno strumento per far riflettere ed educare.

Nella produzione che sto per affrontare a Firenze, ambientata in un campo rom, è protagonista soprattutto la violenza, sulle donne, sugli uomini e anche su Carmen.

In questo senso è molto diversa dalle “altre” Carmen, perché qui lei si trova frequentemente ad affrontare da sola il peso di tale violenza e il suo spirito di ribellione, di libertà, di seduzione è spesso un modo per sostenere, sfidare, sfuggire a questa violenza, sostanzialmente sempre maschile.

Pensi che questa sia una Carmen rivoluzionaria? In generale qual è il tuo rapporto con i registi? Ti piace metterti in gioco o ti sei mai trovata in difficoltà?

Veronica Simeoni

Marina Comparato

Questa Carmen del Maggio non ha nulla di rivoluzionario, è sempre Carmen. L’unico aspetto su cui ci si sofferma di più rispetto alle altre produzioni è quello della violenza, sia fisica sia psicologica. In questo caso io prendo botte da tutti, da Dancairo, da Zuniga, da Don José... in una scena esco con sangue dal naso ben visibile dopo un pestaggio.

Io credo di avere un ottimo rapporto con i registi, sono una che si mette sempre in gioco e rischia molto, caratteristiche che in genere vengono apprezzate. Non mi piacciono generalmente le regie statiche o tradizionali, quelle, insomma, dove il cantante è in proscenio con le braccia aperte e canta e basta, o dove nei duetti ci si sistema comodi comodi davanti al direttore, uno cantando verso destra e l’altro verso sinistra per poi finire in un abbraccio o in un finto bacio.

È rivoluzionaria nel senso che piuttosto che sottostare ancora alla violenza, si ribella e si difende e quindi di fronte alla morte sceglie di sfuggirle.

Il mio rapporto coi registi è in generale sempre ottimo e adoro mettermi in gioco, provare, farmi trasportare!

In questo caso, sinceramente, all'inizio sono rimasta sconcertata e devo dire che a lungo, durante le prove, non ho compreso il perché avrei dovuto cambiare il finale di un'opera, in cui la morte permea il personaggio di Carmen fin dall'ouverture. Poi mi sono detta: lasciati portare dal regista fino all'ultimo atto e vediamo come costruirà questo finale diverso. E devo dire che alla fine, avendo attraversato questo mondo di violenza e prevaricazione, il mio spirito di ribellione mi ha portata ad accettare anche l'atto finale di autodifesa di Carmen. 

D'altronde, spero che mi capiterà di cantare altre Carmen nella mia carriera, se per una volta uccido io Don José, non sarà mica la fine del mondo?!

 

Don José canterà comunque “C'est moi qui l'ai tué...”: insomma, la tua Carmen muore, si salva o rimaniamo nel dubbio?

Veronica Simeoni

Marina Comparato

Le parole e la musica in questa Carmen non sono state cambiate, tutto è come al solito, ma in un attimo la situazione viene capovolta. Dopo l’ennesimo tentativo di violenza fisica, quando ormai Carmen capisce che sarà uccisa dal suo ex amante, in un gesto velocissimo sfila la pistola a Don José e mentre avviene l’ultima carica per colpirla con un manganello, punta la pistola e spara. 

Be' per togliersi il dubbio bisogna venire a vedere lo spettacolo!

 

foto Pietro Paolini TerraProject/Contrasto