Vienna, cuore della musica, perla di cultura

 di  Andrea R. G. Pedrotti

Dopo aver suonato nell'Orchestra Rai e con l'Accademia di Santa Cecilia, il giovane Enzo Turriziani è ora primo trombone dell'orchestra della Wiener Staatsoper. Ci racconta il suo percorso di musicista e la sua esperienza, compreso il Concerto di Capodanno, che lo vedrà ancora sul palco nel 2020 dopo il debutto nel 2018.

Partiamo dall'inizio, tu hai cominciato molto giovane.

Ho studiato all'istituto Briccialdi di Terni. Nel corso delle prime esperienze in orchestra ero affiancato dal mio insegnante. A Terni c'è un anfiteatro romano molto bello, dove si svolgeva una piccola stagione con alcune opere come La traviata o Rigoletto e del sinfonico.

Il primo lavoro vero e proprio fu con l'orchestra sinfonica di Roma, che suonava all'Auditorium di Via della Conciliazione. Purtroppo devo usare l'imperfetto perché l'orchestra è stata chiusa alcuni anni fa. L'Auditorium di via della Conciliazione è un posto molto bello che serberò sempre nel cuore: solo uscire dal concerto e trovarsi fra castel Sant'Angelo e piazza San Pietro è qualcosa di incredibile.

Prima ho vinto un'audizione per il contratto di un anno, poi ci fu il concorso ed ebbi il contratto a tempo indeterminato come primo trombone. Ho ancora delle registrazioni di alcuni brani di Respighi fatte per la Naxos e devo dire che era veramente una bella orchestra. Avevo diciotto anni, durate questa esperienza, e quell'età non hai paura di niente: c'è un entusiasmo incredibile. Suoneresti tutto il giorno senza pause: non c'è nulla che ti possa stancare.

Poi sei entrato nell'orchestra della Rai di Torino.

Sì, a ventuno anni ho vinto il concorso con l'orchestra Sinfonica della Rai, dopo quattro anni passati a Roma. Con la Rai ho suonato per tre anni: è un'orchestra molto buona, dove ho ancora tanti amici, che mi ha dato l'opportunità di lavorare con grandi direttori e suonare grande musica.

Quindi il ritorno a Roma.

Esatto, dopo tre anni a Torino ho vinto un altro concorso, questa volta per Santa Cecilia. Il nuovo Auditorium è una struttura incredibile, molto confortevole per gli artisti: tutte le prime parti hanno un camerino personale che è quasi un piccolo appartamento. Le condizioni, per funzionalità, erano veramente ottimali. La sala è molto grande e dal palcoscenico si ha la particolare sensazione che il suono non arrivi mai a destinazione, ma ascoltandola da fuori ci si accorge che il suono arriva bene a destinazione. Personalmente, quando suono, prediligo sempre sale un po' più piccole, perché mi danno l'idea di poter interagire con l'attenzione del pubblico e la grande distanza mi destabilizza un po'. Nella sala di Roma c'è la necessità di suonare in maniera molto tecnica e precisa, ma scordandosi di questa sensazione.

In Italia abbiamo molti teatri d'opera, ma poche sale da concerto. Tu hai suonato nelle principali: oltre al Parco della musica, come ti sei trovato nelle altre.

Iniziamo da Torino: negli ultimi anni ha avuto molti cambiamenti, proprio perché non c'è mai stata grande soddisfazione. Qualche anno prima che arrivassi io si suonava ancora al Lingotto.

Per esempio, nella sala della Rai a Torino c'era un organo molto bello, ma è stato smontato e portato in un magazzino: le canne sono rimaste per ragioni estetiche.

Anche quando ero io in orchestra sono stati fatti dei lavori con l'installazione di alcune pedane e, conseguentemente, l'orchestra si è venuta a trovare in una posizione molto alta. Fiati, ottoni e percussioni sono molto più diretti verso il pubblico, se, invece, sono in una posizione più bassa si amalgamano meglio con l'organico complessivo. Sinceramente nessuno mi ha mai chiesto un parere prima, ma per me andava bene, perché avevo un'ottima posizione, anche per la visuale: ci si sente un po' il re dell'orchestra.

Quella di via della Conciliazione, invece, a mio parere, è la migliore sala che abbiamo in Italia, anche per la posizione in città, che sa darti una carica in più. È scomoda per il parcheggio, ma resta bellissima e ricca di storia. Oltretutto non è piccola, perché ha pur sempre duemila posti. Ogni volta che passo lì davanti provo sempre un'emozione e tanti bei ricordi. Mi piacerebbe molto suonarci ancora, ma purtroppo ora a Roma è raro ascoltare orchestre ospiti.

Hai mai suonato in teatro, prima dell'esperienza viennese?

Ho suonato a Milano sia con la Filarmonica della Scala, sia con Santa Cecilia. Con la Filarmonica della Scala ho fatto solo alcuni contratti nel periodo in cui ero in prova a Torino. Il posto di primo trombone era libero anche a Milano, ma il concorso era esattamente il giorno dopo la finale del concorso a Torino. Avevo appena vinto in Rai e ho pensato di non tentare anche alla Scala.

Quindi in Italia non hai mai suonato in buca?

No, ho suonato opera all'anfiteatro di Terni e abbiamo fatto qualcosa a Santa Cecilia sempre in forma di concerto. Ricordo bene Aida con Pappano, di cui è stata fatta una registrazione, e Fidelio.

Per farti un esempio, la prima Tosca della mia vita l'ho suonata all'opera di Vienna. A Torino non ricordo di aver mai suonato opere intere.

Come si è sviluppata la tua intenzione di venire a Vienna?

Non avevo nei miei piani di lasciare Santa Cecilia, avevo da poco comprato una casa e una piccola macchina al mio paese in Lazio, ma, a ventisette anni, ho pensato che non potevo interrompere il mio ciclo di esperienze. Ero venuto a suonare a Vienna in tournée con Santa Cecilia e ho incontrato per caso un trombonista dell'Opera che mi ha detto che stavano cercando un primo trombone. Ci ho pensato e mi sono deciso a fare il concorso.

I concorsi per entrare in orchestra funzionano come in Italia o ci sono delle differenze?

Alcune cose sono un po' diverse: in Italia in commissione ci sono meno di dieci persone, mentre a Vienna è presente una commissione fissa con tutte le prime parti, più quelli che da noi sarebbero i sindacalisti. Si arriva a circa trenta persone.

La commissione cambia ogni tre anni e a settembre ne farò parte anch'io. I primi tromboni sono solo due, mentre gli altri sono in tre per ogni strumento.

Dove si svolgono le audizioni per i concorsi?

Vienna è la città delle tradizioni e, secondo tradizione, i concorsi si svolgono alla Gustav Mahler- Saal, qui all'Opera. Agli spettacoli, nella stessa sala, è posizionato il bar per i palchi e il concorso si fa proprio accanto al bancone, dove, magari, fino alla sera prima stavano esposte delle torte Sacher.

Mettono dei pannelli neri molto grandi, perché le prime due prove devono essere in anonimato, dalla terza non è più obbligatorio. Io ho fatto tutte e tre le prove in anonimato prima della finale.

Quindi sei entrato per la prima volta nell'organico di un teatro d'opera. Quale è stato il tuo titolo d'esordio?

La prima opera è stata il Il trovatore con Anna Netrebko nel settembre 2017.

Com'è distribuito il lavoro per gestire l'imponente mole d'impegni dell'orchestra?

L'organizzazione è completamente diversa rispetto all'Italia, dove in un teatro si eseguono dieci o quindici produzioni., si fanno una decina di recite, prove, messa in scena e si va a casa. Qui, invece, si fanno una decina di titoli in un mese, con un massimo di cinque recite per opera. Il mio problema era stata l'inesperienza con il repertorio operistico e io mi sono dovuto scontrare con il fatto che hanno un repertorio gigantesco che, per mole, va in scena senza prove. Ho passato tante nottate a studiare, e mi sono dovuto abituare ai continui cambi di direttore e colleghi. Ora mi trovo molto bene e mi piace lavorare così, perché c'è grande freschezza e si fa sempre qualcosa di nuovo.

Oltretutto c'è della musica bellissima anche nell'opera, non solo nel sinfonico, ed è bello suonare, anche se l'orchestra, ovviamente, non è protagonista come in una sinfonia.

Come ti trovi in un teatro senza un direttore musicale stabile?

Non lo vedo come un problema, né per me, né per i miei colleghi da tanti anni in orchestra. Quando si suona Der Rosenkavalier, per esempio, nell'aria aleggia ancora quello che ha lasciato Carlos Kleiber. Devo impegnarmi molto di più a seguire la tradizione dell'orchestra. Il direttore è importante, ma questa orchestra che riesce a reggersi anche da sola, anche come filarmonica.

Vi ascoltate molto fra di voi.

Certo: dovrebbe essere la regola numero uno della musica d'insieme. È molto difficile che quest'orchestra possa andare fuori tempo, ma anche riguardo questo aspetto si entra nell'ambito della tradizione. C'è un fagottista anziano, prossimo alla pensione, che mentre suonavamo una sinfonia di Mahler mi disse: “fa' attenzione, qui non suoniamo tutto quello che è scritto sulla parte”. Bisognava fare un rallentando, quasi un rubato, ma io ero andato dritto in prova, leggendo solo la musica: qui si va oltre. Bisogna entrare nello spirito e imparare a parlare il loro dialetto musicale, come lo chiamano qui a Vienna. È un'orchestra con una personalità molto forte.

Ovviamente ogni direttore ha il suo suono nelle mani, ma lo stile dei Wiener Philharmoniker resta sempre.

Altre orchestre hanno perso la loro personalità storica, averlo mantenuto per Vienna è un vantaggio?

Secondo me, sì. L'orchestra di Vienna ha mantenuto tutte le sue tradizioni, ma – ascolta- da ragazzino vivevo in un paese piccolissimo, dove le alternative erano giocare a pallone, ma ero negato, oppure andare a scuola di musica. Mio padre suonava nella banda e mio nonno ne era stato il maestro. La tradizione della musica qui non è così diversa: la cultura è un'altra, ma la sostanza è la medesima: qui molti ragazzini suonano nelle bande sparse per i monti della Nazione.

Ci sono delle scelte molto coraggiose, come l'utilizzo dei corni viennesi, uno strumento difficilissimo da suonare, parimenti all'oboe o ai timpani in pelle di capra. Oltretutto qui i timpanisti non hanno il pedale per aggiustare l'intonazione, ma si usano ancora le manovelle e capita che debbano avere un assistente per poterla aggiustare, perché da soli non farebbero in tempo.

Trombe e corni assomigliano molto più agli strumenti naturali e i timpani a quelli barocchi.

Le trombe possono essere tranquillamente essere definite trombe tedesche, ma non è tanto una questione degli strumenti, quanto del carattere dell'orchestra.

I viennesi hanno avuto un gran coraggio a mantenere una tradizione antica, con strumenti vecchi. Il rullante che viene utilizzato a capodanno è sempre lo stesso, ma riescono a stare perfettamente al passo con i tempi.

C'è un dialogo fra innovazione e tradizione.

Certo, Vienna non solo è al passo con i tempi, ma è capace di dettarli. Vienna non è tornata a essere il centro culturale, lo è ininterrottamente da oltre cento anni. Ha avuto alti e bassi, non ci sono più Mahler e Klimt, ma lo spirito non è cambiato: è un'autentica perla. È embletmtico vedere i ragazzi che non si divertono con la musica spazzatura, ma con i gruppi di musica popolare la sera nei locali. C'è molta attenzione alla tradizione.

La musica sinfonica e operistica è più di dominio pubblico rispetto all'Italia.

Qui viene anche fatto un notevole lavoro nelle scuole. Nell'arco della stagione ci sono molti spazi per giovani e studenti; per esempio in occasione di Die Zauberflöte, rappresentato ogni anno dopo l'Opernball, il teatro si riempie di ragazzi e ragazzini provenienti da tutta l'Austria: si fanno due spettacoli e il teatro sempre colmo, così come alle generali aperte al Musikverein, con la sala sempre piena di giovani.

Basta vedere la lunga coda per i posti in piedi all'Opera per rendersene conto. Da settembre, inoltre, partirà anche l'Accademia dei Wiener Philharmoniker con un insegnante per ogni strumento e io sarò fra i docenti.

È la prima volta che insegni.

Ho insegnato un po' a Roma: insegnare ai ragazzi è un lavoro un po' artigianale, si parla di suonare, di fare musica: il contesto è molto bello. Il bello di Vienna è che qui non c'è bisogno di muoversi per fare qualcosa di nuovo, perché tutto viene messo a disposizione. Sarebbe abbastanza poter suonare opere e concerti a questo livello, ma qui c'è anche di più: festival, cameristica, repertorio solistico. Respiro musica a pieni polmoni dalla mattina alla sera.

Com'è stata l'esperienza col concerto di capodanno.

È stato nel 2018 con Riccardo Muti. Un'esperienza bella e particolare, non è un concerto sinfonico come gli altri. Non bisogna pensare a quanta gente ti sta guardando, anche se ho già una certa abitudine alle telecamere avendo lavorato in Rai. Un po' di tensione c'era, ma nella normalità. L'atmosfera è molto particolare anche per noi; ero molto preparato e ho pensato solo a divertirmi dall'inizio alla fine. In tutto proviamo due giorni e mezzo, mentre il 5 aprile scorso abbiamo fatto la prima registrazione per il balletto che andrà in onda il primo gennaio 2020. L'intero programma, invece, non viene comunicato nemmeno a noi con grande anticipo.

Che progetti hai per il futuro?

Adesso ho molto da fare, da studiare il repertorio e specialmente l'opera, che va conosciuta a memoria. Qui si suona tutto spesso senza prove; mi è accaduto anche con il Ring di Wagner ed era la prima volta in assoluto che mi trovavo a suonarlo. In un anno credo sia accaduta la stessa cosa per circa sessanta titoli diversi. Sicuramente, a livello personale, mi piacerebbe fare un disco come solista.

Tutto da realizzare qui a Vienna?

Sono molto soddisfatto qui: ho tutto e ai massimi livelli, prima cambiavo orchestra ogni tre anni, adesso penso di non cambiare più.

È incredibile il rispetto per i musicisti, che in Austria vengono trattati come i calciatori in Italia: sei stimato, amato, considerato. Un musicista, senza un pubblico, non avrebbe ragione d'esistere. Capita anche di essere rimproverati come se ci si trovasse di fronte a dei tifosi, quando non si sentono soddisfatti, ma è bello anche questo.

Grazie a Enzo Turriziani, primo trombone della Wiener Staatsoper.