L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Saggio sulla Cecità

di Roberta Pedrotti

Programmato come galà inaugurale, Belisario è stato presentato come secondo appuntamento on line sulla webtv del Festival Donizetti Opera. La recita registrata in anteprima senza pubblico è emotivamente straziante e illuminante, d'alto livello artistico grazie alla direzione di Riccardo Frizza e alle prove di Roberto Frontali, Carmela Remigio, Celso Albelo, Annalisa Stroppa e Simon Lim nelle parti principali.

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Cecità. Il momento in cui Belisario perde la vista è il momento in cui inizia a vedere, in cui il generale tutto votato al dovere riconosce la voce della figlia e intreccia con lei in tenero duetto, in cui l'uomo che aveva deliberato la morte del figlio neonato a causa di un sogno premonitore ora lo riconosce nel giovane che pure già aveva avuto accanto. Il generale Belisario, vittima delle calunnie dei suoi nemici, viene accecato (che non mi veda più aveva ordinato l'imperatore nel condannarlo al bando, ma il bieco Eusebio decide di eseguire con eccesso di zelo) e, attraverso la differenza, diventa un uomo, guarda oltre come mitici poeti e profeti. D'altra parte, la vicenda storica di Belisario, così come la raccontano Cammarano e Donizetti, è un concentrato di mito classico. Entra trionfante in città come eroe salvatore, al pari di Edipo, e come Edipo è abbattuto dalla scoperta di un delitto contro la natura, il suo stesso sangue. Come gli occhi di Edipo, gli occhi di Belisario non potranno più vedere la luce, ma lo soccorrerà una figlia, Antigone o Irene, accompagnandolo quale guida nell'esilio. Ma Belisario è anche come Antigone diviso fra dovere verso le leggi dello stato e della natura. Ma Belisario è anche come Agamennone, che sacrifica la prole per in oracolo e per la sua responsabilità politica, ma viene colpito dalla vendetta di una moglie e madre. Belisario è uno straordinario protagonista, benché nel suo essere diviso, generale e uomo, eroe e mendicante cieco, non abbia mai uno spazio veramente autonomo, non una sola aria solistica, a differenza degli altri personaggi principali, confrontandosi con i quali afferma di volta in volta il suo sostanziale ruolo cardine.

Cecità. Quello che doveva essere il galà inaugurale del Festival Donizetti Opera 2020 è negato alla vista e ai sensi. A porte chiuse, un ristrettissimo gruppo di tecnici e giornalisti assiste alla recita in forma di concerto, ma bisogna fare come se non esistessimo. Tutto è per le telecamere e per il pubblico a cui il covid ha impedito di assistere normalmente allo spettacolo. E nella testa si finge che sia un'anteprima, ma sappiamo che una prima vera e propria per una platea affollata non ci sarà. E nella testa si finge di essere presenti a una normalissima sessione discografia, ma sappiamo che le ragioni sono ben altre, che siamo a Bergamo dove il teatro continua a tenere accesa la sua luce dopo i mesi in cui la morte sfilava in processione. Tuttavia, ci deve sostenere l'idea che, magari, a chi sta cantando, suonando, dirigendo sia di qualche conforto la presenza fisica di qualcuno all'ascolto in sala, anche se nell'eccezionalità della situazione, in rispetto al pubblico che non c'è, l'applauso è interdetto. Ci deve sostenere la responsabilità di rappresentare quel pubblico, di ascoltare e vedere anche per chi è lontano. Il vuoto è immenso ma permette di guardare oltre, oltre il personalismo, verso il profondo senso etico dell'arte e dell'esercizio critico. Per chi è in grado di vederlo, ovviamente, senza fermarsi all'immagine esteriore: anche Belisario duetta con il giovane Alamiro incrociando lo sguardo fisico, ma solo quando perderà l'uso degli occhi capirà la verità, che Alamiro è suo figlio Alessi.

Cecità. È forse quella di un'opera solo cantata e suonata, priva di azione scenica: eppure, basta l'arte di entrate e uscite verso i leggii della platea vuota, una frase detta sul fondo invece che nella posizione prefissa, uno sguardo, l'incedere lento del condottiero ferito, quello fiero e nervoso della furente Antonina nell'ondeggiare di un peplo verde acqua, Irene che nel primo atto, ignara, veste color pesca e, nel procedere della tragedia, ricompare in nero. Basta poco per fare teatro. Basta la compostezza di Roberto Frontali, felice acquisto in corso d'opera del cartellone, con i suoi accenti nobili e teneri, la sua vocalità di autentico baritono lirico romantico cui il leggero velo del tempo si addice particolarmente in parti come quella di Belisario, in cui convivono la fierezza, l'onore del soldato e la sopita, riscoperta tenerezza del padre. Per contro, in Carmela Remigio emerge una sorta di candore liliale che contrasta con gli accenti pur furenti di Antonina e ci ricorda in quell'Erinni dallo sguardo fulminante una madre a cui è stato strappato il figlio in fasce, che scopre nel marito il mandante dell'infanticida, che infine ritrova vivo l'erede ma cerca invano perdono. Questo dolore immenso e irrisolto, la ferita profonda covata negli anni nel più puro dei sentimenti sono la chiave di un personaggio sviluppato da Remigio fino al vertice di "Da quel dì che l'innocente", che avrebbe meritato un lungo applauso a scena aperta. Se, poi, Antonina è formalmente primadonna, la sua parte si concentra intorno a due arie nel primo e nel terzo atto, mentre uno spazio decisamente maggiore è riservato alla figlia Irene, cui spettano, oltra alla cavatina nell'introduzione, il lungo duetto con Belisario accecato nel secondo atto e un terzetto con padre e fratello ritrovato che occupa buona parte del terzo. Molto più che seconda donna, Annalisa Stroppa ha dato il giusto valore al personaggio con la franchezza di una bella emissione lipida e belcantista ben fondata sulla parola. Alamiro/Alessi - parte creata dal franciacortino Ignazio Pasini - è affidato a Celso Albelo, che facilmente avrebbe infiammato un teatro affollato con lo smalto dei suoi acuti ben inseriti in una linea di canto debitamente nobile ed eroica, affinata nel legato come nel declamato. Simon Lim, per peculiarità timbrica e chiarezza di pronuncia, sottolinea l'autorità distaccata dell'impreatore Giustiniano, mentre Klodjan Kacani è un incisivo Eutropio, Anais Mejias Eudora (e Irene in Marino Faliero), Stefano Gentili Eusebio (e Beltrame nel Faliero), Matteo Castrignano Ottario, Piermarco Vinas Mazzoleni un centurione (e voce di dentro nel Faliero). Oltre alla buona prova in termini assoluti di coro e orchestra Donizetti Opera, bisogna lodare la scioltezza con cui passano da un titolo all'altro nel giro di ventiquattro ore o meno. Li guida qui come nel Faliero il direttore musicale del Festival, Riccardo Frizza, che individua l'esatta tinta dell'opera, il suo incedere scandito in numeri chiusi sempre più estesi e portati a inglobare quasi atti interi (secondo e terz'atto contano due numeri appena ciascuno), la baldanza della componente militare che non banalizza mai marce e fanfare, muovendosi sempre nel segno di un'eleganza sensata e significativa. D'altra parte, Belisario non è un'opera "col cimiero", ma un'opera sulla ricerca e l'ambiguità della verità, un'opera senza perdono, speranza né riscatto, che affonda in un silenzio ancor più agghiacciante, ma che pure afferma una volontà e una speranza: siamo qui, il teatro è qui, non si ferma, vi raggiunge, ora sta in silenzio a raccogliere l'eco lontana del pubblico assente. Poi, l'attimo si scioglie in un applauso liberatorio come le lacrime che lo accompagnano, come la bellezza di quel dramma in musica reso solitario, ma così eroicamente caparbio nello spandere i suoi doni.

Cecità. È il titolo italiano di uno dei più celebri romanzi di José Saramago: la storia di un contagio improvviso, incomprensibile, incontrollabile che scatena sopraffazione, irrazionalità, violenza, deliri, ma anche un raggio di solidarietà e ragione come un'ancora di salvezza al momento dell'improvviso dissolversi del male. Saramago, come Tucidide con la Peste di Atene e Manzoni con I promessi sposi, parla del 2020. Così, oggi, c'è chi non vuole vedere, chi vede solo se stesso, chi si artiglia feroce al proprio interesse, chi predica l'apocalisse per inventarsi salvatore, chi nega la ragione e la scienza, e c'è chi mantiene la volontà e la lucidità perché tutto non sia perduto dopo la tempesta, perché l'esperienza ci faccia trovare più forti e consapevoli, capaci di guardare oltre quel che vedono gli occhi.

foto Gianfranco Rota


 

 

 
 
 

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