Il viaggio a Pesaro
di Roberta Pedrotti
Per la prima volta un presidente della repubblica in carica partecipa al Rossini Opera Festival. Sergio Mattarella assiste al galà conclusivo dell'edizione 2021, con la direzione di Michele Spotti, l'Orchestra Rai, il coro del Teatro Ventidio Basso e le voci di Juan Diego Flórez, Marina Monzò, Marta Pluda, Giorgio Caoduro, Pietro Spagnoli, Sergey Romanovsky, Jack Swanson, Manuel Amati, Matteo Roma, Nicolò Donini.
PESARO 22 agosto 2021 - Rossini si addice al Quirinale: Carlo Azeglio Ciampi chiedeva spesso di inserirlo nei programmi dei concerti organizzati dalla Presidenza della Repubblica, Giorgio Napolitano prima di essere eletto al Colle era stato più volte nel pubblico del Rof, quando vediamo Sergio Mattarella all'opera o a un concerto il suo sguardo è sempre appassionato e concentrato. Mai prima d'ora, però, un Presidente della Repubblica si era visto al Festival di Pesaro durante il settennato. È successo, ora, il 22 agosto 2021, per la chiusura della quarantaduesima edizione, quella che, dopo le caparbie e felici reinvenzioni del 2020, riapre la porta al ritorno alla normalità. Vaccino, certificazioni, spazi dilatati, mascherine e musica, finalmente. Finalmente applausi, conversazioni, condivisione, convivialità cauta e rispettosa, sì, ma non per questo meno sentita, anzi.
Pesaro viene travolta dai protocolli ufficiali, forze dell'ordine, misure di sicurezza, controlli, strade chiuse o deviate. Ma anche questa è la vita che ricomincia, l'istituzione – e quindi tutta la collettività – che rende omaggio all'arte e muove la sua macchina intorno al palcoscenico; non è più il tempo delle vie spettrali, delle chiusure, delle ambulanze. Ripartiamo da qui, nel senso di comunità e bene comune, di rispetto per il prossimo, per le competenze, la scienza, le arti, perché quel tempo non torni più (uscirne migliori è un'utopia, ma di certo ne usciremo con gli occhi ben aperti).
Ripartiamo da qui, ma da più lontano, ché l'arrivo del Presidente sembra uno straniante déjà vu, proprio a Pesaro. In Piazza del Popolo due schermi accanto al palco ci mostrano le fasi dell'arrivo di Mattarella, il suo percorso istituzionale fino al luogo del concerto. E il ricordo corre subito al Viaggio a Reims, alla geniale trovata di Luca Ronconi nel 1984, alle proiezioni del corteo di Carlo X che attraversa la città per raggiungere poi il teatro. L'opera e la realtà si rispecchiano, giocano d'anticipo, si citano a vicenda? Anche per questo non possiamo farne a meno, mentre sorridiamo immersi in questo piccolo corto circuito rossiniano.
In perfetto orario sulla tabella di marcia, il Presidente fa il suo ingresso con le autorità e la Senatrice Segre (oltre che pesarese d'adozione, grande appassionata e assidua frequentatrice del Rof). Michele Spotti è già sul podio e dà l'attacco per gli inni d'Italia e d'Europa (anche qui, è protocollo ufficiale, ma anche pieno Viaggio a Reims). Tutti in piedi, commossi.
Comincia il concerto vero e proprio, programmato un anno fa nella prospettiva dell'inaugurazione del PalaScavolini finalmente restaurato. Niente da fare per ora, dopo anni di rallentamenti burocratici la pandemia ha innescato ulteriori rallentamenti. Si passa in piazza, sale alla ribalta una dedica al venticinquesimo dal debutto pesarese di Juan Diego Flórez. Dedica un po' bizzarra, a dire il vero, ché, senza nulla togliere al valore del tenore peruviano e al suo rapporto con il Festival, qui di grandi, grandissimi artisti ne sono nati o son passati tanti altri e sempre solo nel nome di Rossini. L'idea che si celebri un divo (addirittura concedendogli un'uscita singola finale negata ai colleghi) nel festival consacrato al compositore è come una nota non perfettamente intonata.
Intonatissima è, inutile dirlo, l'Orchestra Rai, una delle più felici acquisizioni del Festival nelle ultime edizioni e una collaborazione che speriamo si rinnovi ancora per molti anni a venire. La si affida giustamente a Michele Spotti, a conferma che quest'anno sono senz'ombra di dubbio i direttori under 30 a far le migliori fortune del Festival, bell'auspicio per il futuro. Sebbene l'acustica e l'amplificazione non esaltino tutta la gamma dinamica, le sinfonie della Cenerentola, di Semiramide e dell'Italiana in Algeri ci fanno godere della perfetta risposta dell'orchestra in tempi agili e scattanti, del crescendo dosato e mosso a dovere, dell'equilibrio trasparente fra le sezioni e dell'intelligibilità della scrittura con suono sempre ben a fuoco. Nondimeno, se l'accompagnamento al canto segue le ragioni delle voci, è facile soffermarsi su tanti dettagli che dalla buca emergono non come semplice maniera meccanica – rischio di ogni esecuzione di routine già additato da Stendhal qui prontamente evitato.
Anche per una lieve indisposizione che ha colto il soprano Eleonora Buratto privandoci della sua presenza, il programma ha subito lievi modifiche, ma è stato comunque succulento. Flórez ha sciorinato sicuro cavalli di battaglia di lunga data, come l'aria “La speranza più soave” da Semiramide, il conte Ory (il duetto “Ah! quel respect, madame” con Marina Monzò), Corradino in Matilde di Shabran (la seconda parte del quintetto centrale del primo atto, “Signor, men vado o resto?”), nonché Libenskof nella stretta del sestetto del Viaggio a Reims (“Zitti. Non canta più”) e Arnold nel finale del Guillaume Tell (“Tout change et grandit en ces lieux”). C'è stato, però, anche spazio per un'altra grande scena tenorile, l'aria di Pirro da Ermione “Balena in man del figlio”, pagina di diabolica difficoltà e complessità in cui, purtroppo, Sergey Romanovsky ha arrancato parecchio. Negli ultimi anni si è molto puntato sul tenore russo per i grandi ruoli di baritenore rossiniano, ma i dubbi più che diradarsi con il tempo si infittiscono: forse altre tessiture e altri repertori gli si addicono di più. Di altissimo livello, per contro, le arie affidate ai due baritoni già ammirati nel Signor Bruschino. Giorgio Caoduro mette un'ulteriore ipoteca sul suo futuro di nome irrinunciabile per il Rof con una turbinosa “Quando la fama altera” dalla Gazzetta in cui la girandola di note non è mitragliata in faccia al pubblico, ma anima di un'idea musicale e teatrale, accentata a evidenziare la parola e il senso comico del brano. Pietro Spagnoli canta le “Medaglie incomparabili” dal Viaggio a Reims con la classe dei grandi, passando in rassegna ogni ritrattino con caratterizzazione sottile e arguta che non imita nessuno – e sappiamo come in quest'aria certi modelli siano ingombranti. Ecco l'arte della parola cantata, del dire in musica.
Non sono impegnati in arie solistiche, ma offrono un validissimo contributo gli altri solisti. Già citata per la sua Adèle, Marina Monzò si trova a passare poi a Ermione, Matilde di Shabran, Madama Cortese, Mathilde e Jemmy. Ovvio che non tutte, fra parti così diverse, siano l'ideale per lei, soprano lirico leggero, ma ogni intervento la vede puntuale e a fuoco. Marta Pluda ribadisce come Andromaca, la Contessa d'Arco, Melibea ed Edwige l'interessante evoluzione della sua vocalità sempre più rotonda e brunita. Jack Swanson accenta assai bene l'intervento di Oreste nella scena di Pirro e lascia immaginare, se la tecnica continuerà ad affinarsi e sostenerlo, rosee future prospettive. Manuel Amati e Matteo Roma in Ermione si fanno carico delle parti di Pilade e Attalo, poco per aggiungere commenti all'efficacia già riconosciuta in altre occasioni, così come per Nicolò Donini, cui sono affidati Fenicio, Trombonok e Walther. Un'ulteriore menzione va, poi, a Spagnoli e Caoduro. Il primo torna dopo venticinque anni a Ginardo in Matilde di Shabran, quando aveva affiancato proprio il debuttante Flórez nel fondamentale recupero dell'opera; poi è ancora Don Profondo nel quintetto del Viaggio a Reims. Caoduro è Aliprando, Don Alvaro ma, soprattutto Guillaume Tell e chissà che questo finale non sia un auspicio per una futura produzione completa. Né si può dimenticare il coro del Ventidio Basso preparato da Giovanni Farina.
Al termine, mentre esplodono gli applausi, esplode anche il contrasto di opposti: un grande galà rossiniano, pot pourri e grandi interpreti, la solennità della visita presidenziale, le ulteriori norme sanitarie, il graduale ritorno alla normalità, i permessi già concessi ai due bar della piazza per accogliere parte del pubblico ai tavolini con consumazioni (e quel briciolo di caos vacanziero). Lo ricompone l'applauso del Presidente, il suo rivolgersi al maestro Spotti con un fare che si intende anche solo dalle immagini proiettate non è solo di dovere formale ma di reale comprensione e ammirazione, tant'è che non solo s'intrattiene un istante con il concertatore, ma si sporge spontaneamente anche a salutare la spalla dell'Orchestra Rai Alessandro Milani per un riconoscimento meritato e sincero. Si può ripartire da qui.