Cimentando i venti e l'onde

di Roberta Pedrotti

La tournée del Rossini Opera Festival in Oman è un'occasione per conoscere una realtà lontana con cui entrare in rapporto e in costruttivo dialogo attraverso l'arte e a cultura, per un arricchimento che ci sollecita anche a metterci in discussione con pensiero critico.

Mascate (Oman), La cambiale di matrimonio, 24-26/11/2022

Mascate (Oman), Homage to the Swan of Pesaro, 25/11/2022

MASCATE (OMAN) 22-26 novembre 2022 - L'opera è sempre stata viaggiatrice, innamorata fin dai primi anni di soggetti fantastici ed esotici, da subito in movimento sulle vie delle corti e dei mercati. Oggi le cose non sono cambiate, anzi. Come già nel Seicento la diffusione del teatro musicale tutto cantato all'italiana si muove sulle vie commerciali e della diplomazia; si fa opera per i mercanti, i missionari, i dignitari di passaggio, arriva in grandi città tedesche, per esempio, ma anche nell'Oriente estremo o nell'America latina. Così nel XXI secolo si fa opera a Mascate, la capitale dell'Oman. Ancora una volta, per una volontà di corte, ancora una volta in un punto di passaggio internazionale, centro economico e scalo in tratte intercontinentali. La storia si ripete e ci racconta come la natura dell'opera non sia solo di viaggio, ma anche di dialogo e di contatto, di incontro reciproco. Non stiamo “esportando” la nostra cultura, bensì ci stiamo mettendo in gioco incontrandone, per suo tramite, un'altra.

L'Oman è un paese giovane, in questi giorni tutto addobbato di bianco, rosso e verde (le nostre bandiere hanno gli stessi colori) per la festa nazionale che ne celebra i cinquantadue anni. La storia, in realtà, è molto più antica perché questo porto era noto anche nella Grecia antica per il commercio di spezie, essenze, incensi, tuttavia è al 1970 che si fa risalire la fondazione dell'Oman moderno con l'ascesa al potere del sultano Qābūs bin Saʿīd Āl Saʿīd (1940-2020), considerato un vero e proprio padre della patria. Non a torto, perché la sua figura ci ricorda esattamente quell'assolutismo illuminato vagheggiato nel Settecento, con una politica lungimirante che ha fatto dell'Oman uno dei paesi più aperti e dinamici del mondo arabo, sia in ambito sanitario, sia religioso (qui prevale l'islam ibadita, un'antica “terza via” rispetto a sunniti e sciiti, ma Qābūs ha favorito la libertà di culto donando terreni anche a parrocchie cattoliche), sia soprattutto culturale. Il sultano era un grandissimo appassionato di musica occidentale e la vedeva come un veicolo di crescita e relazioni; non solo ha promosso e curato nei dettagli la costruzione della Royal Opera House, ma ha anche istituito un'orchestra locale che da subito ha accolto elementi femminili nelle sue file. Per far sì che il teatro non rimanesse, poi, una cattedrale nel deserto (che sta in effetti a pochi chilometri) non ha solo finanziato un'attività ricca e variegata fra diversi generi orientali e occidentali, ma si è anche impegnato sul fronte della formazione, con progetti ad hoc e una struttura connessa al teatro che, oltre al centro commerciale, comprende una splendida biblioteca con postazioni audio video e un museo all'avanguardia per la quantità e qualità di proposte interattive paragonabili a quelle della Haus der Musik di Vienna, ma in un certo senso ancor più impressionanti perché rivolte a un pubblico lontano dalle nostre tradizioni e quindi portate a un cosmopolitismo accentuato e stimolante.

Certo, il covid anche qui ha sferrato un brutto colpo a consuetudini ancor giovani e in via di consolidamento; certo, quella con cui ci relazioniamo è comunque un'élite culturalmente ed economicamente privilegiata all'interno della società omanita, dove non possiamo immaginare ora di veder l'opera assurgere a fenomeno di massa, ma proprio per questo colpisce la portata che ha la Royal Opera House come centro di passaggio internazionale, con il suo pubblico variegato di occidentali, locali, viaggiatori da paesi vicini e lontani. Per rendersene conto basta notare il vestiario e riconoscere non solo fogge europee e locali, ma anche saudite e indiane.

Che il teatro sia un punto d'incontro ce lo dice anche la sua architettura, voluta fin nel dettaglio dal sultano e che a noi italiani al primo impatto sembra un omogeneo esempio di palazzo da Mille e una notte in cui si modella una sala d'impianto occidentale e invece, ci spiega la guida, è tutto un intreccio di stili diversi, da Marocco al Myanmar. Viaggiando, è vero, abbiamo molto da imparare mettendo in gioco i nostri punti di vista e l'opera, la musica, la cultura in questo sono il veicolo migliore, se non ci si arrocca nelle nostre posizioni e ci si pone in dialogo e in ascolto. Anche senza farsi abbagliare dall'accoglienza squisita, dalla cortesia del personale che non è solo formalità, da quell'atteggiamento quasi commovente di rispetto e gratitudine che gli omaniti riservano ai nostri artisti – ma la guida ringrazia di cuore anche noi giornalisti come rappresentanti della cultura italiana! – e da cui anche le nostre istituzioni avrebbero molto da imparare. Il viaggio non è solo occasione per ammirare: ci si interroga, si osserva, si ricorda che per quanto fosse illuminata la politica di Qābūs, si tratta di una monarchia assoluta, una cosa ormai totalmente aliena dai nostri orizzonti quotidiani in cui anche la monarchia parlamentare è spesso considerata qualcosa di anacronistico. E, parimenti, vediamo militari dappertutto, i controlli sono capillari: questo è uno dei paesi arabi più aperti secondo i nostri standard, eppure molti aspetti della società e della legislatura ci possono lasciare attoniti. E, tuttavia, possiamo noi porci a giudicare dall'alto? O, semmai, non è meglio cogliere l'occasione per riflettere sulla nostra storia recente e tuttora travagliata di diritti civili non sempre e non ancora scontati? E possiamo non notare, oltre alla già citata presenza femminile nell'orchestra, la quantità di donne nell'esercito? O in teatro, anche in posizioni di rilievo? E la percentuale altissima, direi di parità se non maggioranza, di studentesse universitarie che partecipano agli incontri di preparazione all'opera ponendo domande ponderate e intelligenti anche sulla società di cui sono espressione? Ragazze, peraltro, che vestono in prevalenza abiti tradizionali e hijab (il velo che copre solo il capo, ma non necessariamente nasconde tutti i capelli), ma possono anche mostrare chiome libere e sfoggiare accessori occidentali elegantissimi. Ecco allora che in tutti questi spunti reciproci gli workshop tenuti da Daniele Carnini della Fondazione Rossini con cantanti dell'Accademia rossiniana e Gioele Muglialdo e Giorgio D'Alonzo al piano assumono non solo il valore di una lezione frontale, ma di un vero dialogo in cui l'opera è fulcro di un progetto culturale a più ampio raggio, come del resto spiega anche il direttore generale Umberto Fanni raccontando i principi che muovono l'attività della Royal Opera House. Principi che, è bene ricordarlo, fanno parte del suo DNA da sempre, se si pensa che Alessandro Bonato – oggi sul podio per La cambiale di matrimonio – proprio a Mascate nel 2016 aveva fatto il suo debutto professionale con una produzione AsLiCo del Flauto magico per i bambini omaniti e con l'orchestra locale. D'altra parte, la formazione non è solo rivolta al pubblico, ma anche se non soprattutto alla professionalizzazione delle maestranze locali: il personale del teatro è ora in gran parte omanita e, per esempio, negli scorsi anni alcuni tecnici si sono recati a Pesaro per degli stage nei laboratori del Rossini Opera Festival. D'altro canto, se le produzioni operistiche sono quasi completamente “d'importazione” si sta cercando sempre più di coprodurre, né si è fermata l'attività dell'orchestra fondata dal sultano Qābūs: mentre si svolge la tournée del Rof abbiamo incontrato anche il direttore italiano Alessandro Cadario intento a provare Beethoven e Rachmaninov con la compagine locale.

L'opera nasce viaggiatrice, nasce dal dialogo di tradizioni e persone, ma una tournée non è solo l'incontro con “l'altro” lontano. È pure l'incontro della piccola comunità nomade degli artisti e di coloro che intorno a loro gravitano: solisti, direttore, regista, orchestra, truccatori, tecnici, scenografi, costumisti, attori, ufficio stampa e staff di comunicazione, medico, dirigenza, giornalisti, con tutte le dinamiche umane che ne possono conseguire. Dinamiche interne ed esterne, come la scoperta di tante esperienze quotidiane, dalla contrattazione commerciale alla guida sportiva o all'abitudine locale di mantenere l'aria condizionata negli spazi chiusi a temperature per noi polari, con escursioni termiche anche di quindici gradi varcando una porta (cosa che soprattutto ai cantanti piace poco). Aspetti apparentemente collaterali, aneddoti turistici, ma che pure danno la dimensione del confronto con altre abitudini quotidiane e ci aiutano a vivere più di pensiero critico che di certezze, più nella consapevolezza di diverse prospettive che nella sicurezza del proprio nido.

Da fuori può sembrare solo una tournée di un festival collaudatissimo che esporta uno spettacolo ben confezionato, ma in realtà è molto di più: è il motivo stesso per cui si fa opera da oltre quattro secoli, incontrarsi, conoscere l'altro, esplorare le distanze, arricchirci e riconoscerci simili nella nostra umanità.