DVD da Attila a sir John
di Roberta Pedrotti
G. Verdi
Attila, Luisa Miller, Il trovatore, La traviata, Simon Boccanegra, Falstaff
O. Anastassov, V. Anastassov, Nikolaeva, Takova, Sabbatini, Salerno, Vinogradov, Armiliato, Dessì, Meoni, McMahon Quintero, Forte, Pirgu, Frontali, Nizza, F. Furlanetto, Fraccaro, Myshketa, Raimondi, Salsi, Tola, Puértolas, De Mola, simu, Bonfatti
direttori Sangiorgi, Benini, Arrivabeni, Auguin registi Kartaloff, Bernard, Vizioli, Mazzonis di Pralafera, Gallione, Poda
Opera di Sofia, Teatro la Fenice di Venezia, Opèra Royal de Wallonie de Liège, Teatro Massimo di Palermo
6 DVD Dynamic, 37660, 2013
A quattro anni dal primo volume, in concomitanza con lo scadere del bicentenario e le festività natalizie, la Dynamic propone una nuova raccolta di sei DVD dedicati a Giuseppe Verdi, sempre in un bel cofanetto ben ottimizzato negli spazi, dalla pratica e simpatica struttura a libro, questa volta in toni freddi fra il grigio e il turchese. La selezione attraversa ancora il catalogo verdiano da un capolavoro giovanile come Attila alla svolta di Luisa Miller verso un dramma privato, d'affetti familiari e tensioni sociali; dall'affermazione del Trovatore e della Traviata agli ultimi anni, con Simon Boccanegra e Falstaff. Non ci fermiamo, però, questa volta ai teatri italiani, perché la raccolta comprende anche allestimenti provenienti da Sofia e da Liège in un arco temporale che va dal 2006 al 2011. Sicuramente molte e diverse osservazioni si possono muovere alle singole edizioni proposte, ma si tratta indubitabilmente di un'interessante proposta editoriale per chi voglia avvicinarsi al teatro verdiano con una scelta complessiva di dodici dvd – undici opere e un concerto – a dieci euro e pochi centesimi l'una in due cofanetti dal design elegante e pratico.
La prima pagina del nostro volumetto offre dunque Attila, nell'appassionata versione ambientata nella fortezza di Tsaverets, in Bulgaria, nel 2011. Ritroviamo nei panni del protagonista il divo locale Orlin Anastassov, che purtroppo non convince per le troppe mende tecniche e musicali, così come il fratello Ventceslav, baritono che in Verdi non si può proprio dire si trovi a suo agio, mentre il tenore Daniel Damyanov si prodiga come può nell'emulare Bergonzi, perfino negli errori di pronuncia e nei difetti di dizione. Su tutti s'impone con facilità l'Odabella di Radostina Nikolaeva, tipica opulenta voce dell'Est cui mancherebbe solo di sciacquar i panni, e lo stile, in Arno. Problema che, invece, non si pone per l'altra primadonna bulgara che incontriamo in questa raccolta, Darina Takova, protagonista di Luisa Miller, nel complesso la migliore edizione proposta. È un piacere vederla e ascoltarla sciogliere il rebus di un ruolo che richiede personalità, fascino e candore, forza, spessore vocale perfin drammatico e agilità leggiadra con vocalità facile e maliosa e viva partecipazione d'interprete. Al suo fianco un musicista magnetico come Giuseppe Sabbatini disegna un Rodolfo raffinato e tormentato. Con loro una compagnia assai ben assortita, con Damiano Salerno (Miller), Alexander Vinogradov (Walter), Arutjun Kotchinian (Wurm) e Ursula Ferri (Federica) diretti con perizia, senso drammatico e belcantista da Maurizio Benini, inseriti in una delle messe in scena più riuscite della raccolta. Non hanno certo bisogno di sciacquare i panni in Arno nemmeno Daniela Dessì e Cinzia Forte, primedonne dei due titoli della trilogia popolare registrati a Liège. La prima nel Trovatore è colta al crepuscolo della carriera e ai bagliori ancora suggestivi di un'artista di classe si uniscono qualche segno di stanchezza e qualche asprezza. Anche Fabio Armiliato, Manrico, non è più nel pieno dei suoi mezzi e denuncia uno sforzo eccessivo in un canto meno raffinato; Giovanni Meoni si è un buon Conte di Luna, Ann MacMahon Quintero una giovane Azucena, talora acerba talora più efficace, e Luciano Montanaro un Ferrando con più d'un problema d'intonazione. Ancora Meoni affianca con eleganza quale Germont la Violetta della Forte, sicura sia nel primo atto, in virtù dell’ascendenza belcantistica, sia nei due seguenti, per l’intelligente musicalità e l’acquisita maggiore rotondità del timbro. Un po’ meno a fuoco Saimir Pirgu, che deve crescere nel peso vocale come nella fantasia d’interprete e per ora si avvantaggia, nel ruolo di Alfredo, della freschezza della figura e del canto.
Sempre da Liège viene anche un Falstaff in cui ricordiamo con piacere solo il Ford ben timbrato e comunicativo di Luca Salsi, con il Cajus incisivo di Gregory Bonfatti, mentre il resto, a partire dal protagonista musicalmente e testualmente anarchico di Ruggero Raimondi, lascia abbastanza a desiderare. Molto meglio il Simon Boccanegra compatto ed equilibrato dal teatro Massimo di Palermo, con un cast consolidato che nell'interpretazione guarda più alla drammaticità tardo e post romantica che non alle radici belcantiste: Roberto Frontali è ormai uno dei più esperti interpreti del Doge corsaro, Ferruccio Furlanetto ha l'autorità di una lunga, prestigiosa carriera e di uno strumento importante, anche se spiace la sua caratteristica linea scandita, più che legata, con una certa qual greve brutalità; Amarilli Nizza e Walter Fraccaro cantano con energia e trasporto vigoroso. Degno d'interesse e di nota è l'allora ventottenne Gezim Myshketa, promettentissimo Paolo Albiani. Lo spettacolo, ben reso dalle originali inquadrature dal basso e dall'alto nella regia video di Matteo Ricchetti, convince: Giorgio Gallione ricostruisce con efficace stilizzazione una Genova medievale essenziale e suggestiva, l'azione è condotta con criterio e chiarezza. Se all'occhio superficiale di chi confonde scenografia con regia e giudica a priori in base all'ambientazione scelta, potrà apparire spettacolo diametralmente opposto e come tale assolto o condannato a seconda dei pregiudizi, in realtà è da lodare per motivi simili la Luisa Miller messa in scena da Arnaud Bernard, cui già si accennava. L'ambientazione nei primi anni '40, con il popolo cinto di fazzoletti rossi, la nobiltà e gli sgherri del conte in orbace, non è un'attualizzazione di comodo e di moda, ma calza a meraviglia alle tensioni politiche, sociali e generazionali di quest'opera e sia la moralità rigorosa e progressista dell'ex soldato Miller, sia la torbida ascesa al potere del conte di Walter e del suo squadrista Wurm sono perfettamente contestualizzate. La recitazione è moderna e curatissima, la semplicità della scena è nobilitata da un ottimo gioco di luci, colori e volumi, con un finale di grande effetto. L'Attila è pensato da Plamen Kartaloff per un grande spazio aperto e la spettacolarità dei campi lunghi è controbilanciata per forza di cose da una recitazione che la telecamera svela più statica e convenzionale. A Stefano Vizioli si deve un Trovatore minimalista, debitamente cupo, lineare nella narrazione, mentre Stefano Mazzonis di Pralafera lancia a briglia sciolta la fantasia per una traviata coloratissima, fra bizzarri costumi griffati, mobili e giocattoli sovradimensionati, perdendo talvolta di vista il buon gusto. Del tutto fuori luogo, però, è solo il consueto esercizio autoreferenziale di Stefano Poda, che come d'abitudine firma per Falstaff una lunga istallazione di luci e materia senza alcun costrutto drammaturgico. Fra i direttori l'esperta bacchetta di Maurizio Benini per Luisa Miller (2006) è quella che, come si accennava, convince maggiormente; buona nel complesso anche la prova di Philippe Auguin nel Simon Boccanegra (2009); Paolo Arrivabeni piace più nel Trovatore (2011) e nella Traviata (2009) che non in Falstaff (2009); Alessandro Sangiorgi, infine, mostra il Attila (2011) buone intenzioni e una buona visione d'insieme in un contesto che non permette, per acustica e collocazione in primis, di valutarne appieno la realizzazione né di evitare qualche scollamento e imprecisione.
Alti e bassi, dunque, ma esemplari di un panorama assai variegato, fra l'intelligenza di autentici musicisti e nature opulente, talenti sfumati o messi a frutto, approcci belcantisti, drammatici, protoveristi, allestimenti monumentali o minimalisti, d'epoca o rivisitati, attenti al teatro o alla drammaturgia o solo all'ego del creatore. Un orizzonte che val la pena di conoscere e comprendere, senza volgersi solo al passato o a un presente d'alto bordo.
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