A Katerina Izmajlova, grazie di tutto

 di Roberta Pedrotti

Anche la compagnia alternativa della Lady Macbeth del distretto di Mzensk al Comunale di Bologna merita elogi, per una produzione particolarmente riuscita e affascinante di uno dei maggiori capolavori del XX secolo, specchio perturbante e grottesco di un'umanità alla deriva.

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BOLOGNA, 10 dicembre 2014 - Valeva la pena di tornare, mentre chi si è perso questa Lady Macbeth del distretto di Mzensk ha mancato una splendida occasione di musica e teatro, uno dei migliori spettacoli visti a Bologna negli ultimi tempi e certamente uno dei vertici di una stagione di cui ricorderemo soprattutto, con questo Šostakovič, la regia di Parsifal, la concertazione di Tosca e tutto il complesso di Guillaume Tell.
La festa finale, l'entusiasmo di un pubblico non numeroso, ahinoi, ma estremamente soddisfatto, il coinvolgimento delle maestranze del Comunale che ha concluso la serata ritmando sentiti “Spassiba” rivolti agli ospiti russi basterebbe a indicare la temperatura emotiva di quest'ultima recita.
Valeva la pena di tornare. Anche perché soprattutto con queste compagnie l'alternanza degli interpreti non comporta sensibili variazioni qualitative: la macchina è perfettamente oliata e fa piacere osservare lo spettacolo anche attraverso diverse personalità d'interpreti.
La Katerina di Svetlana Sozdateleva, per esempio, non avrà brillato per un'emissione tornita e disciplinata di tutti gli acuti, ma si fa valere come artista avvincente e attrice versatile, molto ben affiatata anche nelle scene più scabrose con il Sergey di Ilija Houzic (sempre che la divergenza fra la locandina sul sito del teatro e il programma di sala non ci abbia tratti in inganno sull'alternanza tenorile). Questi, se non ha la bellezza dell'irresistibile sciupafemmine, supplisce con la statura, la baldanza strafottente, l'energia scenica e soprattutto una vocalità più vigorosa rispetto al collega della prima.
Dmitrij Skorikov è un Boris più istrionico del signorile Aleksej Tichomirov, meno interessante nel canto, ma apprezzabile per un dinamismo che non si trasforma mai in caricatura. Bene pure la Sonetka Ksenia Vjaznikova, così come tutti gli altri membri del cast, rimasti invece invariati rispetto alla prima. Tutti ottimi attori, le cui prove si apprezzano sempre più (il formidabile Aleksandr Miminosvili, poliziotto e sergente, ha la teatralità del giovane Paolo Rossi al massimo della forma), come del resto lo spettacolo curato registicamente da Dmitrij Bertman, uno di quegli allestimenti intelligenti, basati sulla recitazione e su una lettura approfondita del testo, in cui ogni elemento risulta perfettamente coerente e i registri espressivi dosati in maniera impeccabile. L'analisi psicologica acuta, spietata, chirurgica si traduce in visioni oniriche, astrazioni e deliri che si gustano in ogni dettaglio fino all'akmé allucinata e allucinante dell'ultimo atto, in cui il viaggio verso la Siberia e l'annegamento non sono che un viaggio e un'immersione nella mente e nei suoi spettri, un eterno ritorno e un'ultima resa dei conti fra il singolo e la società, le illusioni, le maschere.
Nondimeno merita nuovi elogi la concertazione di Vlarimir Ponkin, preciso, arguto, sempre ben misurato, incisivo nel cogliere ogni sfumatura della partitura con unità teatrale, nello scandagliare i dettagli senza disperdere l'energia di una lettura in cui sa coinvolgere splendidamente anche le maestranze italiane, orchestra e coro, già apprezzabili alla prima e ancor più efficaci e partecipi a quest'ultima recita.
Ultima, peccato. E peccato per chi non c'era: gli assenti, in questo caso, hanno veramente avuto torto.

foto Rocco Casaluci