Far teatro sul serio

 di Giovanni Chiodi

Per la 51^ edizione del Macerata Opera Festival è tempo di bilanci, al termine di una stagione ricca di proposte. All’ultima serie di recite si percepiva ancora il clima delle grandi occasioni e si toccava con mano l’entusiasmo per tutto il lavoro creativo svolto. Nella cornice peculiare dello Sferisterio anche quest’anno si sono alternati giovani talenti del canto, direttori emergenti, e soprattutto si è fatto teatro sul serio, sfatando l’erroneo pregiudizio che le dimensioni e le particolarità degli spazi all'aperto siano impedimenti. Siamo dunque alla chiusura del festival, ma la voglia di dare il massimo è ancora palpabile, sull’onda dell’impegno e della competenza spesi in prima persona dal direttore artistico Francesco Micheli, forza propulsiva e trainante della macchina dello Sferisterio, in grado ogni anno di trasformare in evento speciale ogni rappresentazione.

Il cartellone del 2015 è formato da due nuove produzioni e da una ripresa.

La bohème (leggi la recensione) - Cavalleria e Pagliacci (leggi la recensione) -  Rigoletto (leggi la recensione)


Il ritorno del maggio parigino 

MACERATA, 7 agosto 2015 - Incomincio da quest’ultima: la Bohème di Puccini nella versione di Leo Muscato, che tanto colpì per la sua fresca irruenza nel 2012. Rivista a distanza di anni, non ha perso un grammo del suo fascino originario e si conferma forse la migliore regia d'opera del regista pugliese. Una produzione frizzante, moderna e poetica, ma anche lucidamente cruda, lontana da falsi sentimentalismi, alla quale giova essere ambientata in un mitico Sessantotto, emblema fantastico di un mondo di speranze, di illusioni, di briglia sciolta al divertimento, di ritmi sfrenati o anticonformisti di vita, ma anche di ribellioni, contestazioni, tensioni. E’ un mondo in cui la penna di Rodolfo è sostituita da una meccanica (oggi antidiluviana) macchina da scrivere, la porta di casa è una botola, i quadri di Marcello sono manifesti, il café Momus è un caos di personaggi bizzarri, una masnada di boys fa da corona a Musetta, fasciata in un conturbante lamé d’argento, la barriera d’Enfer è una fabbrica occupata, davanti alla quale Musetta arringa la folla, la polizia fa la ronda e vi sosta pure un camioncino, nel quale Marcello e Musetta si chiuderanno per fare all’amore. Emerge su tutti il meraviglioso e commovente quarto atto, che si apre con i suoi occupanti intenti a fare gli scatoloni, perché nel frattempo sono stati effettivamente sfrattati per morosità, e si chiude con lo spettacolare e durissimo colpo di scena di Mimì, che muore in un letto d’ospedale, come in Murger. In Bohème bisogna sapere fare squadra, stare insieme e non solo brillare da soli. Qui tutti ci riescono alla perfezione. Cast rinnovato, rispetto a tre anni fa, con alcune preziose conferme, e per alcuni elementi anche superiore. E’ senz’altro il caso della Mimì di Carmela Remigio, interprete consapevole, moderna e acuta, di Puccini e non dello pseudo-Puccini lacrimoso e finto che spesso viene contrabbandato per quello vero. Musicista straordinaria e vocalista provetta, sicura su tutta la gamma al punto da non rinunciare ad eseguire meticolosamente tutti i segni d’ espressione e a variare l’accento, in corrispondenza all’evoluzione del personaggio. Non c’è nota o parola che non sia sorretta da una vigile intelligenza. E’ veramente un accento diverso, sostenuto però dallo stesso corpo di voce pieno e omogeneo, quello con cui questa Mimì illumina ogni frase del primo atto, per poi culminare nello straziante addio del quarto atto, eseguito come è scritto, allucinato, pur senza alcuna enfasi, in virtù della nuda, pura e dolce semplicità di chi è già in un’altra dimensione. Prestazione ammirevole anche quella del tenore Arturo Chacón-Cruz, in virtù di una correttezza di canto (e di intonazione) che gli consente involi senza problemi nel settore acuto, una solida tenuta al centro e un bel gioco di sfumature, che si uniscono a una disposizione naturale in scena. Ma anche gli altri non sono da meno. Larissa Alice Wissel è una Musetta ottima, spigliata e non spiritata. Damiano Salerno (Marcello) e Andrea Porta (Schaunard) sono efficacissimi e Andrea Concetti è un Colline strepitoso, che ha cantato una Vecchia zimarra di fronte alla quale ha trattenuto il respiro tutto lo Sferisterio: tutta in piano e di una malinconia lancinante. Direttore notevole David Crescenzi. Successo pieno e meritato.

foto Tabocchini


Tutto per Nedda e Santuzza

Leggi anche la recensione della recita del 24/07/2015

MACERATA, 8 agosto 2015 - Cavalleria Rusticana e Pagliacci: in questo caso il giudizio si fa doppio, occorrendo scindere la resa musicale dalla regia. La direzione artistica ha colto nel segno nello scritturare la stessa protagonista femminile per Santuzza e Nedda, affidate entrambe ad Anna Pirozzi, con risultati eccellenti. Voce sana, robusta, tonda, che sale agli acuti con facilità e con la stessa lungimiranza sostiene i centri e non forza i gravi, con uno stile immacolato, impeccabile e alieno da ogni forzatura. La migliore in Cavalleria rusticana. Nei Pagliacci è di pari statura il Tonio di Marco Caria. Partiamo anche in questo caso da un materiale di qualità timbrica di prim’ordine e da una voce di ampiezza, risonanza e omogeneità fuori dall’ordinario, con acuti che sono vere e proprie saette. In un ruolo come questo stravince. Benissimo anche le altre parti minori, distribuite a regola d'arte: Alberto Gazale (Alfio), Elisabetta Martorana (Lola), Chiara Fracasso (Lucia) e specialmente Giorgio Caoduro, Silvio di prim'ordine, e il giovane Pietro Adaini squisito Arlecchino. Da ultimo il protagonista, Rafael Davila: materiale tanto e di ottima fibra, ma acuti da sistemare, con troppo vibrato, e accento no sempre appropriato. Direzione corretta di Christopher Franklin. Regia di Alessandro Talevi, un giovane sudafricano, che vedremo spesso prossimamente anche sulle scene italiane. La sua lettura, però, non è il vertice del festival. Le masse si possono muovere meglio e ci sono un paio di errori patenti che non gli si possono proprio perdonare: la comparsa della madonna nell'intermezzo di Cavalleria e il volo degli uccellini durante la romanza di Nedda nei Pagliacci. Si può fare di più; anzi molto di più.

foto Tabocchini


La rivincita di Rigoletto

MACERATA, 9 agosto 2015 - Eccezionale, viceversa, il Rigoletto, che ha aperto la stagione di quest'anno. Nel suo insieme, il miglior Rigoletto all'aperto degli ultimi anni e forse anche di certe stagioni di teatri al chiuso. Un'operazione riuscita e completa. In questo caso abbiamo avuto tutto: voci, direttore e regista. Le voci, molto bene assortite, tra giovani, giovanissimi e interpreti maturi con varie frecce ancora al loro arco. Vladimir Stoyanov, anzitutto, ha delineato un protagonista di accento sorprendente e di ancora buona tenuta vocale: canta correttamente, sa fraseggiare anche piano e così è in grado di esprimere molto più di quanto non si faccia nella norma in passaggi solitamente arroccati sul forte e qui invece aperti finalmente ad espressioni più dolci e affettuose. Celso Albelo è un Duca di Mantova portentoso, grazie a una tecnica che gli consente ascese facili e spavalde fino al settore sovracuto, nonché suoni perfettamente emessi ed omogenei in tutti i registri. A tanta perizia vocale si aggiunge analoga cura per colori e sfumature a sigla di una interpretazione eccelsa sotto ogni punto di vista. Egregia anche la prova di Gilda, impersonata da Jessica Nuccio, che è un talento in formazione alla quale si riconoscono volentieri doti cospicue: voce chiara e pura, tendente al lirico e con centri già abbastanza consistenti, buon dominio anche del settore acuto. E’ brava anche in scena e ha una grinta notevole. C’è poi, a chiudere il cerchio di una compagnia quasi ideale, uno Sparafucile di rilievo eccezionale, per voce e intenzioni espressive, che è Gianluca Buratto. In tono minore, invece, la Maddalena di Nino Surguladze (con brutti suoni aperti nei gravi). L'opera è stata diretta benissimo da Francesco Lanzillotta, che non solo ha assicurato coesione e unità in tutto l’arco dell’esecuzione, senza mai calare di tensione, ma ha anche sperimentato tempi e fraseggi interessanti, solitamente difficili da realizzare all’aperto e quindi ancor più meritevoli di nota. Sulla scena Federico Grazzini ha dimostrato le qualità che si richiedono a un vero regista. Il suo è un Rigoletto che spazza via la routine che spesso affossa capolavori arcinoti come questo e vince la sfida con le regie più innovative degli ultimi anni. Promette molto già l’ambientazione in un luna park dismesso, dove il duca è un boss malavitoso di oggi, circondato da una corte osannante di donne e di gregari pronti a servirlo, Gilda abita in una modesta roulotte fuori da questo spazio e Sparafucile gestisce un’attività di ristoro ambulante su un marciapiede che, nel terzo atto, vediamo percorso da prostitute (tra cui la sorella) in tenuta da lavoro. Fortunatamente il regista non si ferma a tutto questo, ma sa anche suggerire agli attori (e alle masse) le mosse opportune e una gestualità specifica, che va oltre le convenzioni, offrendoci una lettura lucida, cruda e non edulcorata di quello che nella realtà non è affatto una novella sentimentale, ma un vero e proprio psico-dramma.

E' l'apice di una edizione, la cinquantunesima, che ha registrato il tutto esaurito, il massimo gradimento del pubblico, e a cui aggiungo volentieri l'apprezzamento personale. E' difficile far rivivere in modo originale capolavori ormai entrati nell'orecchio e nell'occhio. A Macerata ci sono riusciti. Una chiosa finale: dopo quanto detto e attestato, sicuramente il festival meritava un contributo pubblico per il 2015 quanto meno pari a quello dell'anno scorso. I punteggi assegnati hanno condotto invece a un taglio di 95.000 euro, che desta non poca preoccupazione, visti i risultati artistici di alto livello raggiunti. Urge una riflessione seria, evidentemente, sul modo di valutare i teatri italiani, affinché l’efficienza vada a braccetto con l’alta qualità artistica e il buon senso, e perché realtà vive e produttive come quella di Macerata non debbano più trovarsi in cima alla classifica del gradimento del pubblico e della critica (in una realtà, oltre tutto, culturalmente così vivace come quella delle Marche), e in basso nelle tabelle ministeriali. Lo si deve a chi ha progettato e curato una rete di altissimo livello professionale, all'abnegazione e alla fantasia creativa che costituiscono un vanto unico di questo festival, che si appresta ora a costruire con qualche pena in più la sua prossima edizione, con immutata voglia di mantenere ai vertici il suo standard di qualità.

foto Tabocchini