L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Gianluca Falaschi foto Franca Centari

Al lavoro con la famiglia del teatro

di Roberta Pedrotti

È appena andato in scena, trasmesso da Rai Cultura, l'Otello al Maggio Musicale Fiorentino e fervono i preparativi per A riveder le stelle, l'atipico Sant'Ambrogio 2020 al Teatro alla Scala. Fra una prova e l'altra, intercettiamo al telefono l'indaffaratissimo (e disponibilissimo) Gianluca Falaschi che ci racconta il suo punto di vista su questi momenti convulsi.

Convulsi anche nelle discussioni che dai foyer inevitabilmente si sono ormai trasferite, e sempre più aspre, sui social. In teatro, intanto, si lavora fra mille nuove difficoltà, con tenacia.

Per quanto riguarda i dibattiti social, forse mi aspetterei in questo momento, un po' di solidarietà da parte di tutti : da parte di chi lavora verso chi non sta lavorando e viceversa; perché comunque ci troviamo nella stessa ruota. Dobbiamo tutti muoverci per farla camminare, e dobbiamo mandarla avanti assieme - uniti. Solo il lavoro genera lavoro, dobbiamo continuare nonostante le avversità per consentire - bene o male - inclusione e continuità .

, sicuramente questo dovrebbe essere il momento della solidarietà, non delle guerre fra poveri. E un momento di riflessione sul nostro modo di fruire della musica e del teatro, di rapportarci all'arte, soprattutto considerando le difficoltà nel provare, recitare, cantare e suonare mantenendo i distanziamenti. Difficoltà tecniche, ma anche nuove necessità poetiche ed espressive che penso vadano comprese, non fatte oggetto di polemica.

Visto dall'interno, per esempio, com'è stato il lavoro su Otello al Maggio musicale?

Rispetto a uno spettacolo normale, a quello che avrebbe dovuto essere questo Otello programmato per maggio, slittato in novembre e poi riservato alla sola trasmissione televisiva, è stata una fatica diversa e per certi versi maggiore . Dal mio punto di vista, vorrei non tanto soffermarmi su quello che siamo o non siamo riusciti a trasmettere, ma sulla straordinaria esperienza artistica che è stata. Un lavoro in piena sicurezza, non semplice, ma animato da un grandissimo entusiasmo, da un senso di collaborazione e di appartenenza. Encomiabile che il sovrintendente Pereira fosse sempre vicino,accanto a tutti noi , come tutta la dirigenza, gli uffici, ed ovviamente i tecnici e le masse artistiche. Ciascuno con un sorriso, un incoraggiamento. Pereira è un uomo innamorato del teatro e di tutte le persone che ne fanno parte, anche quelle che non si vedono sul palco, ma sono indispensabili. Devo ringraziare lui, e il Maestro Mehta, per come hanno difeso fino all'ultimo il nostro lavoro e dimostrato che è possibile svolgerlo nelle maniere adeguate.

Mehta, appunto. Abbiamo avuto l'immensa fortuna di avere con noi il maestro, un artista di altissima caratura che ha dato tanto a ciascuno di noi, anche a noi, non musicisti. Ci ha regalato uno sguardo saggio, profondo, nuovo, una lettura retrospettiva su Otello di Verdi. È qualcosa che ho amato particolarmente, così come ho amato lavorare con Valerio Binasco, che ha lavorato moltissimo sulle intenzioni, le relazioni, verso un'idea di dramma anchecivile che vede Otello già sconfitto, afflitto da una vitalità a cui non riesce a porre rimedio.

Non sono io a dover giudicare il risultato e come è passato in televisione, non sono io a dover dire se poteva venir meglio, ma posso dire di aver amato molto la lezione di dignità di tutti i lavoratori e di Pereira, tutti insieme (distanziati, ovviamente) impegnati sul palco, che mi sembra una cosa meravigliosa. Ho amato lavorarecon lo sguardo attento e sempre intelligente da regista di prosa di Valerio Binasco,con la capacità di Mehta di spiegare la musica anche a noi non musicisti,con la passione e la determinazione di Pereira per valorizzare il lavoro in quanto tale, non come intrattenimento, e di mostrarlo nei modi ora possibili. Peter Brook mi pare dicesse che il vero lavoro teatrale è quello della preparazione, delle prove. Poi nello spettacolo non si fa che mostrarne un momento di quel lavorare. Secondo me è il segreto con cui si può affrontare questo periodo: continuare a fare, imparare, preparare e prepararci per quanto possibile, come possibile. Il nostro è lavoro e ha bisogno di allenamento.”

Già, bisognerebbe cercare di reagire, studiare, migliorarci, riflettere invece che lasciarsi andare o inacidirsi nella rabbia. Anche se lo sconforto capisco che sia in agguato per tutti in questi mesi.

Per preparare questo Otello avete usato accorgimenti particolare in relazione alla destinazione televisiva?

Alcuni accorgimenti ci sono sempre quando c’è la televisione . Ma è teatro. E abbiamo lavorato, per quanto possibile, normalmente, seguendo lo stesso progetto che avrebbe dovuto nascere in primavera. Fin dove si poteva. Questo Otello è uno spettacolo teatrale e, spero, resterà nel repertorio del Maggio per essere finalmente ripreso davanti a un pubblico.”

Ci si continua a preparare, come si può, per il ritorno alla normalità, insomma.

Certo, ci sono i laboratori dei teatri che devono continuare a produrre per preparare io futuro - usare questo tempo per stare vicini, per mostrare solidarietà, per prepararci, per studiare. Per onorare il nostro lavoro. Forse, andare avanti: questo anno è stato drammatico per tutti, ma se si lavora si lavorerà ancora. Esistono delle formule, adesso, per reagire.

Poi certo il teatro non è tale senza pubblico, il pubblico è fondamentale e deve tornare, gradualmente, quando la curva del contagio lo permetterà. L'esperienza di resistenza, il tentativo condiviso da tutti, dai sarti ai macchinisti, dalla direzione degli allestimenti scenici alla regia alla scenografia tanto a Firenze come qui ora in Scala ha evidenziato in tutti una grande dignità, mantenendo le tutele a norme di legge e contemporaneamente lavorando. È una resistenza attiva.

, al di là di quel che ciascuno può sempre pensare del risultato del singolo spettacolo, la cosa piùimportante è che il teatro abbia mostrato la sua vitalità, non si sia arreso, abbia escogitato una serie di soluzioni alternative per non fermarsi e creare anche qualcosa di nuovo e interessante, come è stato anche con la Zaide coprodotta fra Roma e OperaLombardia.

E ora aspettiamo A riveder le stelle alla Scala, in cui sarai fra i collaboratori alla drammaturgia e curatore dei costumi. Cosa dobbiamo aspettarci?

È un racconto immaginifico, onirico: un raccontare che mescola la visionaria e profonda lettura spettacolare di Davide Livermore con la musica, con la scrittura, con la poesia è con la prosa; pensato espressamente come una produzione televisiva in cui sarà quasi come se il teatro alla Scala si animasse di tutta la sua lunghissima storia. La Scala è un po' la casa della musica per tutto il mondo e rivive la sua grandezza grazie alla collaborazione di diversi linguaggi e arti, ma anche del meglio della Milano produttiva, la moda .

Infatti volevo chiederti in cosa consistesse il tuo coinvolgimento come costumista in uno spettacolo che prevede anche la presenza di importanti case di moda.

Ho coordinato l'aspetto del costume teatrale nelle intrusioni” di spettacolo e ho cercato di inserire queste meravigliose creazioni che parte degli stilisti italiani hanno offerto, all'interno della meravigliosa cornice scaligera .

Qual è la differenza fra un costume teatrale e un abito da sfilata?

Sono contesti, media diversi, ma c'è sempre una narrazione alla base. C'è un racconto, un significato: la moda riguarda qualcosa del se è del transeunte; il teatro riguarda un altro da noi.

Ho una grande ammirazione per la moda e chi la fa: non è qualcosa di effimero, ma un pensiero articolato sull’oggi , un concetto quasi filosofico che racconta il divenire del tempo, ed il contemporaneo in maniera così specifica. che me ne sono innamorato fin da bambino... Devo fare in modo che le ragioni di ciascuno di questi marchi vengano più che mediate esaltate dei vari percorsi narrativi, senza che l'abito d'alta moda diventi costume, ma facendo sì che sia incluso nello spettacolo come una gemma. Deve risaltare la grandissima ricerca, la bellezza che questi capi hanno dietro: in Dolce e Gabbana la storia di una femminilità ribelle quasi alla Carmen, in Armani la sua eleganza che ti racconta come la forma può destare il contenuto, Valentino e la sua idea di allure che ci suggerisce una donna anche sa anche combattere le proprie battaglie senza per questo scomporsi: una Medea. Ecco questo è quello che si fa. Si dà alla moda la sua grandezza, si fa un omaggio alla moda e al teatro, per versi diversi due modi fisici di raccontare che nascono dalla notte dei tempi. È un omaggio al racconto. E al coraggio.

Racconto e coraggio da diversi punti di vista, dato che nel team creativo ci sono diversi retroterra e diverse professionalità, Livermore già cantante, attore, poi regista e drammaturgo, Antoniozzi, cantante e regista, tu, Chiara Osella, giovane cantante impegnata anche con Assolirica...

E Andrea Porcheddu, storico del teatro... Poi ricordiamoci che uno spettacolo non è una tesi scientifica, ma è un tentativo.Un poetico tentativo. Sostenuto anche qui da tutto il teatro. Il sovrintendente Meyer, il dottor Galoppìni e Andre Comploi, gli uffici, le maestranze , tutti gli artigiani. Ognuno a fianco dell’altro - in maniera unitaria. Riscopro ogni teatro come una grande famiglia che mi accoglie ogni volta - e ringrazio di avermi coinvolto in questo coraggioso esserci.

A proposito di prima e dopo, infatti questo 7 dicembre straordinario per te viene dopo diverse prime normali, a Sant'Ambrogio (Attila, Tosca) ma non solo...

Come ti dicevo la macchina del 7 dicembre è sempre mastodontica e straordinaria. Come tutto questo teatro . Si lavora tutti uno con l'altro e l'uno per l'altro. Mi ripeto, ma è una cosa che mi commuove sempre tanto, i laboratori, le sarte, i sarti gli artigiani: tutti hanno messo qualcosa, anche in questo gala. Con orgoglio del proprio lavoro .

Si resiste, si è presenti. Questa penso sia la cosa più bella, alla Scala e in tutti i teatri che in questo periodo hanno inventato qualcosa per non fermarsi. A proposito, ci sono progetti futuri di cui parlare?

Sì, sperando che si possa tornare presto a un'attività regolare ci sono molte cose in programma. Farò una sceneggiata riscritta in maniera contemporanea a Napoli - al teatro Stabile- con la regia di Pierpaolo Sepe che è il regista che mi ha fatto debuttare vent’anni fa - che stimo e che ringrazio sempre per ciò che mi ha dato, un inizio. Poi c'è in programma il mio debutto alla regia con Adriana Lecouvreur a Mainz, un teatro dove sono stato più volte come costumista per spettacoli di Lydia Steier - un'altra regista che mi ha insegnato tanto in coraggio e coerenza. Sarà una produzione improntata sulla malinconia del trascorrere del tempo. È stata una sorpresa quando il teatro di Mainz mi ha offerto questo spettacolo, un regalo inaspettato che ho accolto con entusiasmo. Sarà di certo un arricchimento nel mio cammino, di cui mi rendo conto che il centro è sempre il teatro. È un nuovo percorso ma sempre nella stessa direzione.

D'altra parte, lavorando con registi diversi in spettacoli diversissimi si vede sempre, al di là della qaulità sartoriale, nel tuo lavoro di costumista una forte componente narrativa in quello che realizzi.

Quando lavoro con un regista cerco sempre di entrare nella sua concezione, nella sua idea per darle forma. Ho lavorato in questi anni con tanti registi che mi hanno dato molto, oltre quelli che ti ho citato non posso non dirti quanto devo ad Arturo Cirillo nella prosa, o Livermore, che mi spiega sempre visioni altissime e vertiginose.

Proprio con lui hai realizzato costumi diversissimi, come quelli meravigliosi di Ciro in Babilonia al Rof!

In Ciro in Babilonia c'era uno studio sui costumi cinematografici e teatrali del primo Novecento e su Cabiria in particolare: è noto come kolossal, capostipite del peplum ma è un film straordinario, molto vicino anche al mondo dell'opera, molto musicale.

Poi c'è tutto il lavoro fatto con Antoniozzi per la Triologia Tudor con Mariella [Devia). Se mi volto vedo tutti questi spettacoli come le foto ricordo di una famiglia sparpagliata

Ecco, nel finale di Roberto Devereux il manto di Elisabetta era veramente un elemento drammaturgico potenti, un fulcro di tutto lo spettacolo.

Come dicevo, si deve dar forma agli stimoli che dà il regista, entrare nel suo mondo e nella loro metodologia. Non puoi trattare con tutti con la tua scrittura, non bisogna sovrascrivere, imporre uno stile, ma forse piegarlo a ciò che serve .

Anche a costo di fare un costume che agli occhi di molti può sembrare sbagliato: non esiste niente di sbagliato o di giusto in teatro. C'è il tentativo di dire, di dirsi quello che si sta raccontando. In vent’anni ho imparato questo: che non esiste mai il il bello di per sé, il bello è una conseguenza, è la sintesi del canto, dell'azione e del costume.

Come diceva Verdi parlando delle sue note che, belle o brutte che fossero, dovevano prima di tutto avere un senso... Ma la prova incombe, la macchina del 7 dicembre è implacabile anche quest'anno: ci dobbiamo salutare. Buon lavoro e in bocca al lupo!


 

 

 
 
 

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