Tornare a tre dimensioni

di Roberta Pedrotti

Un anno fa, quando scattò il primo lockdown, Luciano Ganci aveva appena cantato in Attila con Ildar Abdrazakov per il festival che il grande basso organizza nella sua città, Ufa. Ora sta per andare in onda una versione realizzata per la tv di Adriana Lecouvreur dal Teatro Comunale di Bologna ed è l'occasione per incontrarsi (virtualmente) e ragionare un po' su questi ultimi dodici mesi che sembrano essere durati un'eternità. Ancora costretti al filtro delle telecamere e ai capricci di qualche interferenza, si parla dell'importanza del fattore umano, del contatto, della presenza del pubblico, anche dopo esperimenti ed esperienze che possono essere stati anche divertenti, creativi, d'alta qualità, ma in definitiva palliativi che non possono sostituire la natura dell'opera come spettacolo dal vivo. 

La conversazione si sviluppa a ruota libera ben oltre i confini ufficiali dell'intervista, fra serietà e leggerezza, battute e riflessioni sul ruolo dell'interprete, sulla passione e le motivazioni, su rapporto con il pubblico, la critica, i colleghi, le generazioni passate e future, la tecnologia. Si parla anche di attualità, di differenza fra fatti e opinioni, delle prospettive per la ripresa. Sempre con un sorriso sulle labbra che sottolinia l'amore incondizionato per quello che si fa, ma anche la consapevolezza e il rispetto. E un punto fermo da cui ripartire: l'onestà intellettuale.

A dispetto di ogni stereotipo, i tenori possono avere cervello e non essere primedonne.