La musica non discrimina

di Roberta Pedrotti

La conclusione del terzo concorso Città di Brescia – Giancarlo Facchinetti per direttori d'orchestra (vincitori ex aequo Orr Guy, Israele, e Raimonda Skabeikate, Lituania) è l'occasione per una conversazione con il maestro Vittorio Parisi, direttore d'orchestra a capo del dèdalo ensemble, presidente della giuria del concorso, docente al Conservatorio di Milano. Si parla di giovani musicisti, di tecnica e parità di genere, ma anche di etica e progetti.

Quest'anno si è tenuta la terza edizione del Concorso Città di Brescia - Facchinetti per direttori d'orchestra, la prima dopo lo scoppio della pandemia. Com'è andata?

Bene, direi, anche al di là delle nostre previsioni perché abbiamo avuto un numero di iscritti superiore a quello della seconda edizione (2019): abbiamo avuto 64 domande che per un concorso dedicato espressamente al repertorio del XX e XXI secolo è un numero particolarmente alto, anche se poi potevano essere ammessi solo 38 candidati e purtroppo i tre o quattro che non si sono presentati non si sono potuti sostituire in tempo dalla lista d'attesa. Ma è andato tutto bene, siamo stati tutti molto contenti e rispettando le norme sanitarie tutto è filato liscio, direi come fossimo in tempi normali. Un dato piuttosto significativo penso sia che che su dodici semifinalisti sei fossero donne provenienti da ogni parte del mondo (Corea del Sud, Lituania, Ucraina, Polonia e Mongolia). Poi solo una è arrivata in finale, ma è risultata vincitrice ex aequo insieme a un ragazzo israeliano. Per noi è stato un bel concorso e siamo assolutamente soddisfatti per la quantità e la qualità dei partecipanti.

Scommessa vinta, e in tempi difficili

Sì, sicuro, soprattutto fa piacere constatare che ci siano tanti direttori giovani che si interessino a questo repertorio. Il primo anno eravamo riusciti ad avere addirittura 110 iscritti, anche per l'effetto novità, ma quest'anno abbiamo superato le adesioni della seconda edizione (con un programma che comprendeva Donatoni) in un momento, per di più, in cui viaggiare è spesso un problema. Significa che c'è vera attenzione verso la musica dell'ultimo secolo, anche se purtroppo si registra anche una presenza numericamente molto bassa di italiani.

Purtroppo quello della diffusione della musica del XX e XXI secolo nel nostro Paese è sempre un nervo scoperto. Non mancano occasioni, ma spesso sono iniziative di nicchia, per chi è già interessato.

Esatto. Proprio per questo è bello constatare un interesse specifico da parte dei giovani, anche se per molti è molto difficile. Le persone della mia generazione hanno avuto la fortuna di poter conoscere Donatoni, Boulez, Berio... i più giovani non hanno avuto questa occasione e spesso non sanno bene come affrontarli.

Un problema che non si pone con altri repertori, dove il contatto con l'autore è ovviamente impossibile ma si può contare su decenni (quando non secoli) di prassi esecutive.

È vero e aver perso il contatto diretto per questi giovani cambia molto le cose. Molti grandi sono morti quando loro nascevano, o erano bambini addirittura: devo dire che l'età media si è molto abbassata e quest'anno era decisamente sotto i trent'anni.

Ho notato anch'io che, in generale, oggi non vedo la corsa ai “baby direttori” di qualche anno fa, ma molti veri grandi talenti si stanno mettendo in luce già poco più che ventenni.

Sì, c'è una nuova generazione veramente molto interessante e fra loro molte sono donne. Ormai è chiaro che nel panorama internazionale non viene percepita la differenza di genere e anche i numeri si stanno assestando verso una parità. Lo vedo anche in conservatorio.

Ecco, il concorso Facchinetti è relativamente giovane, essendo giunto alla terza edizione, ma tu insegni direzione d'orchestra al Conservatorio di Milano dal 1997. Qual è la tua esperienza per quel che riguarda genere e nazionalità dei direttori e dei ragazzi che studiano direzione.

Non ho mai riscontrato una differenza, né nella preparazione, né nell'atteggiamento loro, delle orchestre e dei colleghi. Forse sono stato fortunato io, ma al momento noto solo un lieve vantaggio numerico maschile, che però si va assottigliando. D'altra parte ci sono anche i casi inversi: strumenti come l'arpa tradizionalmente sono considerati “più femminili” ma ci sono sommi arpisti maschi e anche in conservatorio i ragazzi stanno aumentando. Le distinzioni di genere nella musica mi sembrano una cosa vecchia, superata. Ricordo, quando ero studente, un insegnante molto anziano che faceva battute sessiste che già allora raccoglievano la riprovazione unanime di tutti noi: i tempi sono cambiati da un pezzo nel nostro ambiente. Purtroppo altrove (per esempio in politica) non è così.

Nelle mie classi ho avuto molte ottime musiciste oggi in carriera. Per esempio Stephanie Praduroux, che è molto brava, di recente ha diretto anche a Trieste ed è stata fra le prime diplomate se non la prima in assoluto del biennio di direzione d'orchestra al Conservatorio di Milano. Poi c'è un'ottima direttrice che lavora molto anche come compositrice, Sara Caneva.

A proposito di composizione, anche qui la presenza femminile è significativa fra le nuove leve. Qualche anno fa seguii il corso di Azio Corghi e Mauro Bonifacio all'Accademia Filarmonica di Bologna e la metà degli iscritti erano donne. Insomma, da donna io non vedo differenze (e, come hai già accennato, semmai vedo discriminazioni in altri ambiti); tu da uomo e docente, oltre che da collega?

Ciascuno può avere la propria fisicità, ma la musica non è certo un fatto muscolare. A volte si sentono delle teorie assai fantasiose su direzione e anatomia maschile o femminile, ma se fosse un fatto puramente atletico allora saremmo come i calciatori: carriera finita, tranne rare eccezioni, a trentacinque anni...

Poi, anche per i calciatori, c'è quello più fisico, muscolare, ma anche quello più tecnico, quello massiccio e quello mingherlino...

Ci sono direttori che arrivano a novant'anni sul podio! Ovvio che la forma aiuta, ma non c'entra certo essere uomini o donne. Un direttore, poi, ha sì la tecnica, ma anche una sua qualità unica e personale che non si può insegnare. Bene o male, studiando, tutti possono far andare insieme un'orchestra, ma poi c'è quel qualcosa in più che si possiede o meno, allo stesso modo fra uomini e donne. Ricordo un'esercitazione d'orchestra con una mia allieva, Sara Caneva,alle prese con il quarto movimento della Prima sinfonia di Brahms. Era ancora all'inizio degli studi e aveva qualche difficoltà tecnica nel portare a compimento un pezzo così imponente: quello sarebbe poi stato compito mio insegnarglielo. Ciòche non avrei mai potuto insegnarle è il bellissimo colore, davvero uno dei più belli che abbia mai sentito, che seppe subito trarre dall'orchestra. Adesso lei lavora non solo, ma soprattutto all'estero e, voglio sottolinearlo, per sua scelta.

D'altra parte, è vero che forse ci sono ancora più direttrici all'estero, ma non si fa nemmeno più caso alla presenza, normale ovunque, di donne in cartellone. Nel 2011 Yi-Chen Lin fu la prima donna a dirigere al Rossini Opera Festival, ma non fece poi gran scalpore: era semplicemente una giovane musicista. D'altra parte, fino a qualche anno fa le donne erano mosche bianche nelle facoltà scientifiche e oggi abbiamo schiere di figure femminili di spicco nella medicina, nell'informatica, nell'ingegneria!

Io potrei citare l'esempio di mia sorella, laureata e poi professoressa al Politecnico di Milano, dove ora la percentuale femminile è in crescita e ha raggiunto sostanzialmente la parità nel settore edile. I problemi ci sono, c'è da lavorare, ma più nella politica, mi pare, ma penso che le discriminazioni e disparità siano destinate a finire. Come sono finite nella musica, anche se magari a volte fa comodo dire il contrario: lo vedo anche quando sono in commissione in concorsi in giro per il mondo, i numeri e la qualità sono sempre più paritari, le eccezioni sembrano dettate soprattutto dal caso. È la qualità che conta e ripaga, sempre. Anche in quella che ormai si definisce società dell'immagine, per la musica l'apparenza fisica non conta assolutamente nulla, né nel bene né nel male, né per le donne e né per gli uomini. Se si dovesse organizzare un congresso e ci fosse bisogno di hostess di terra, la bella presenza potrebbe essere un requisito, ma altrimenti nel nostro ambito sono questioni ampiamente superate. Si fa la carriera che si merita, qualcuno magari ottiene un po' di più o un po' di meno per altre ragioni (anche, banalmente, fortuna), ma quel che cerco sempre di insegnare e che mi rende più di tutto orgoglioso è l'onestà, il rispetto. Cerco di insegnare a vivere, di trasmettere quel che mi hanno trasmesso umanamente i miei insegnanti. C'è “chi non riesce a sopportare il peso della gratitudine”, come disse il mio grande amico e maestro Gianluigi Gelmetti, e io vorrei comunicare l'opposto: quel che mi rende più felice è che, al di là della carriera, i miei allievi siano riconosciuti come persone corrette. Nella musica, come in tutti gli aspetti della vita, è fondamentale.

Per concludere, dato che organizzate anche il Concorso di composizione dedicato a Camillo Togni, di cui nel 2022 ricorre il centenario della nascita. C'è qualche anticipazione?

Sicuramente stiamo lavorando per celebrare degnamente questo anniversario, anche con la programmazione del dèdalo ensemble che sarà concentrata sui contemporanei di Togni, e quindi sul Novecento ormai storico, più che sui compositori dei giorni nostri, che comunque non mancheranno.

E per il 2023, con Brescia capitale della Cultura con Bergamo?

Come tutti gli operatori culturali del territorio stiamo preparando e presentando le nostre proposte. Speriamo di fare qualcosa di interessante per le nostre città, anche con un occhio di riguardo per ecologia e sostenibilità. Ma è ancora presto per parlarne.

Bene, allora in bocca al lupo e a presto! Buon lavoro.