Adrenalina senza confini

di Ramon Jacques

Già con una notevole carriera artistica, il soprano Damiana Mizzi si è esibito su importanti palcoscenici italiani: il Teatro alla Scala di Milano, il Teatro dell'Opera di Roma, il Teatro Regio di Parma e il Teatro Regio di Torino, il Rossini Opera Festival, Maggio Musicale Fiorentino, Teatro San Carlo di Napoli, Teatro Petruzzelli di Bari, oltre ad altri paesi d'Europa, in Cina e in Russia, dove è stato diretto da Riccardo Muti, Kent Nagano, Donato Renzetti, Bruno Campanella, Christophe Rousset, Fabio Biondi o Riccardo Frizza tra gli altri, con un vasto repertorio che spazia dalla musica barocca, passando per Mozart, Verdi, Puccini alla musica contemporanea. Recentemente Damiana ha lasciato una piacevole sensazione con la sua interpretazione  di Oscar in Un ballo in maschera con la Chicago Symphony Orchestra. Dopo queste presentazioni, l'artista ha accettato di fare questa intervista in cui, con simpatia e spontaneità, ci ha parlato del suo interesse per il canto e l'opera, del suo futuro e delle sue esperienze lavorative.

Damiana, come ti sei avvicinata al canto e perché hai scelto di diventare una cantante lirica?

Ho cominciato a studiare musica a otto anni, suonando il pianoforte. In realtà però ho sempre cantato fin da quando avevo circa due anni. Durante l’adolescenza ho sentito il bisogno sempre più forte di esprimermi attraverso la voce e ho cominciato a cantare prima pop e poi ho deciso un po’ per caso di provare a studiare lirica. Ho scoperto un mondo tutto nuovo che mi ha conquistata prima di tutto grazie all’opera e al teatro. È stato questo aspetto che mi ha fatto poi scegliere di diventare una cantante lirica professionista.

Come descriveresti la tua voce e che cosa faresti ascoltare a chi non la conosce ancora?

Se vogliamo usare le canoniche classificazioni, la mia voce rientrerebbe nella dicitura “soprano lirico leggero”, ed effettivamente riconosco di avere un timbro chiaro ma una sonorità complessivamente “rotonda” . A chi non conosce ancora la mia voce farei ascoltare sia il repertorio mozartiano sia le arie belcantistiche di Bellini, Donizetti o Rossini, in cui alle parti da cantare con maggior legato si alternano dei momenti pieni di agilità.

Parlaci dei ruoli che hai in repertorio e di quelli che hai in programma di affrontare nel futuro? Dove pensi di dover dirigere la tua carriera?

Attualmente ho in repertorio molti ruoli diversi tra loro, davvero di ogni repertorio, dal 600 alla contemporanea. Questo mi ha permesso di essere sempre duttile e di continuare a studiare, modellando la voce sulla base di ciò che canto. Come prossimo debutto ho in cantiere il tanto atteso personaggio di Norina del Don Pasquale di Donizetti. Una parte che ho sempre amato e di cui ho eseguito l’aria in ogni audizione o concorso; immaginate quanto possa gioire ora che sto per portarla finalmente sul palcoscenico, e non uno qualunque, ma il Teatro Petruzzelli di Bari, cioè il più importante teatro della mia terra natia, la Puglia! Per il resto, mi piacerebbe avere più occasioni per cantare ruoli mozartiani, ma anche debuttare nel repertorio francese. Per quanto riguarda la mia vocalità, è giunto il momento di affrontare nuovi ruoli belcantistici che non ho ancora avuto occasione di studiare in modo approfondito.

Tra i personaggi che hai interpretato quale ti ha suscitato più emozioni e che hai sentito più vicino al tuo cuore e quale ti ha creato più difficoltà?

Tra i personaggi che ho interpretato la Volpe Astuta di Janáček è uno di quelli che mi è rimasto profondamente nel cuore, in quanto ho dovuto trasformarmi in un animale e muovermi e pensare proprio come fossi una volpe. È stato un lavoro corporeo difficile ma bellissimo ed emozionante e da quel momento la volpe è diventata uno dei miei animali preferiti. Nondimeno la Nannetta del Falstaff di Verdi per essere una inguaribile sognatrice (proprio come me) e per la sua visione romantica dell’amore, a dispetto di tutto ciò che le accade intorno; e anche la Giulietta dei Capuleti e i Montecchi di Bellini, per il sacrificio e per l’idea che l’amore supera anche la morte. Un personaggio invece che mi ha creato difficoltà è stato Lena nella Stanza di Lena, un’opera contemporanea di Daniele Carnini che ho eseguito in prima assoluta anni fa e che parla di Natascha Kampusch, una donna austriaca che fu rapita da bambina e segregata per anni. L’opera racconta gli ultimi giorni della sua prigionia e la sua fuga per cui, oltre alla difficoltà tecnica di una scrittura complessa, ho dovuto immedesimarmi in una situazione realmente accaduta nonché tragica. Psicologicamente lavorare su un personaggio del genere è stato faticoso ma il risultato finale è stato intenso e molto apprezzato.

Ami l’opera in ambientazione tradizionale o moderna?

Amo le ambientazioni e le regie che hanno una logica e che non trasformano completamente il senso originario che compositore e librettista hanno dato all’opera, tradizionali o moderne che siano.

Interpreti musica contemporanea, cosa ti attrae verso questo tipo di musica e repertorio?

Della musica contemporanea mi attrae la possibilità di eseguirla potendo però confrontarmi col compositore e trovare le soluzioni migliori per la voce, nonché il linguaggio musicale diverso e più flessibile. Inoltre si possono creare progetti ad hoc per la mia voce come quelli che porto avanti con Hemisphaeria Trio, il trio da camera di cui faccio parte e che ho creato insieme ai miei colleghi Roberto Mansueto al violoncello e Marcos Madrigal al pianoforte. Oltre all’opera ho sempre cantato musica da camera nella mia carriera, in varie formazioni strumentali. Ritengo sia importantissima per la formazione di un musicista e consiglio sempre ai giovani cantanti lirici di non disdegnarla o tralasciarla. La contemporanea, in particolare, mi ha dato la possibilità di approfondirla ancora di più.

A chi diresti grazie per quel che professionalmente sei oggi?

Devo tanto a moltissime persone che ho incontrato sulla mia strada artistica, innanzitutto per avermi dato fiducia, a partire dal mio attuale agente. E a tutti gli insegnanti che mi hanno formato, sia prima di entrare al Conservatorio Nino Rota di Monopoli (Ba), sia durante gli studi fatti in quel conservatorio, che nel mio perfezionamento post diploma fino ad oggi, tra lezioni private e accademie di canto. Ognuno di loro sa chi è, e se leggerà questa intervista spero possa arrivargli il mio immenso grazie per quello che sono oggi professionalmente. Una volta iniziata la carriera però, sicuramente ho avuto modo di interfacciarmi con personalità importanti che hanno continuato a insegnarmi moltissimo.

Fra queste, quali sono state le più significative nella tua vita artistica?

Tra i direttori d’orchestra una delle più significative è il maestro Riccardo Muti, con il quale lavorare è sempre un’esperienza piena di stimol , di cose nuove da imparare e di approfondimenti intensi sullo spartito su cui si sta lavorando. Racconto sempre ai miei amici che da quando ho lavorato la prima volta con lui ho capito che c’è un “prima” e un “dopo Muti”: dopo aver lavorato anche solo una volta col maestro non sei più lo stesso e il modo di studiare e approcciarti a uno spartito cambia per sempre in modo significativo e positivo. Ma non dimentico anche il Maestro Alberto Zedda, per come mi ha insegnato ad approcciarmi a Rossini.

Ti sei esibita in tanti teatri importanti Italiani, che sono tra i teatri più prestigiosi del circuito teatrale internazionale. Ritieni che per un artista italiano come te sia possibile fare carriera solo in Italia o è necessario andare all'estero per riuscire nella carriera?

Che domanda difficile! La carriera non la facciamo solo noi artisti, ma dipende dal momento storico, da cosa richiedono i teatri, dalle agenzie che ci seguono, da tantissime variabili. Quello che posso dire è che sicuramente le carriere “nazionali” sono possibili, ma forse hanno un limite, quello di non permettere all’artista di aprire la mente e confrontarsi con altri popoli, culture, modi di lavorare, repertori e stili differenti. Io ho lavorato inizialmente tanto in Italia, ma quando ho cominciato a spostarmi all’estero sono sicuramente cresciuta come artista e soprattutto come persona.

Di recente hai avuto un grande successo nei panni di Oscar in Un ballo in maschera per il tuo debutto americano con la Chicago Symphony Orchestra. Cosa puoi dirci di questa esperienza? 

Questo debutto americano è andato benissimo e sicuramente rimarrà nei miei più cari ricordi. L’accoglienza della Chicago Symphony Orchestra, cantare Oscar con il Maestro Muti, essere accompagnata dalla mia famiglia, il supporto del pubblico e le meravigliose critiche…è stato tutto perfetto! Lavorare con il Maestro Muti, come ho detto prima, è molto stimolante, lui pretende moltissimo da ogni cantante, e fa bene! L’attenzione è sempre puntata, oltre che sulla musica, sul significato del testo, per renderci consapevoli al massimo di quello che stiamo cantando.

A proposito, qual è Il teatro che più ti ha emozionata, uno che ti ha regalato maggiori emozioni?

Il Teatro la Fenice di Venezia in Italia mi ha regalato fortissime emozioni al mio debutto come Adina nell’Elisir d’amore. All’estero invece ricordo con tanta gioia l’esperienza al Teatro Bolshoi di Mosca, vedere quell’enorme sala piena di gente che applaudiva senza sosta a fine spettacolo è stato toccante.

In scena come nella vita cosa non deve mai mancare?

L’adrenalina, che è ormai la mia miglior compagna soprattutto in teatro, e la determinazione, che ti fa andare avanti anche con freddezza nei momenti difficili.

Un aneddoto curioso da raccontare? un episodio particolare o delle cose simpatiche che ti sono capitate in teatro.

Una volta in un teatro italiano molto importante l’interfono che permette di far ascoltare agli artisti le comunicazioni del direttore di palcoscenico (e quindi di sapere i proprio ingressi) ha smesso di funzionare proprio quando è cominciata l’opera… nessuno se n’è reso conto all’inizio e dopo alcuni minuti non sentendo più nulla mi sono insospettita e sono uscita dal camerino per dirigermi nel corridoio che porta al palcoscenico. Dopo pochi secondi mi sono resa conto che l’opera era già iniziata e che il mio primo ingresso scenico era già passato…sono letteralmente volata giù per le scale e mi sono fiondata verso la prima quinta che ho visto davanti a me per entrare sul palco riuscendo anche a prendere al volo da un attrezzista l’oggetto di scena che dovevo portare con me. Sono riuscita a cantare la mia prima frase dell’opera senza danno ma col cuore che batteva all’impazzata per l’adrenalina e la paura di non farcela e non dimenticherò mai le facce sorprese del coro e del direttore d’orchestra che non capivano da dove fossi spuntata!

Dal tuo punto di vista di artista. Una riflessione sul mondo della lirica di oggi?

Rispondo con l’incipit di una famosa canzone di Tonino Carotone degli anni novanta, che diceva “È un mondo difficile e vita intensa, felicità a momenti e futuro incerto…”.