L'italiano nella Loira

di Roberta Pedrotti

Alessandro Di Profio è il direttore artistico dei Concerts d'Automne, che a Tours, nella Loira, offre ogni anno due fine settimana di musica d'alta qualità. Gli abbiamo rivolto al une domande in occasione dell'apertura della settima edizione del festival.

Alessandro Di Profio, sei appena stato insignito del titolo di Officier de l'ordre des arts et des lettres dalla ministra francese della cultura Rima Abdul Barak. Cosa significa questo per te? Come è nato e si è sviluppato il tuo rapporto con la Francia dove ora vivi?

Nel 2007, mi venne conferito il titolo di “Chevalier” dell’Ordre des arts et des lettres. La settimana scorsa è arrivata la notizia di questa nuova medaglia. Allora come oggi, le emozioni sono forti e diverse: sorpresa, fierezza, riconoscenza. E con gli anni, ho imparato a capire che comunque il lavoro è sempre un frutto collettivo, di un gruppo: né la ricerca musicologica né l’organizzazione culturale si fanno da soli. Ovviamente da italiano, sento ancora una profonda gratitudine nei confronti di un paese che mi ha adottato. In Italia, è frequente tacciare i francesi di sciovinismo: non è per niente la mia esperienza.

Pro e contro di Francia e Italia, in cosa si dovrebbe prendere esempio l'una dall'altra, cosa non va, cosa è simile? Dove arriva un comune spirito europeo e dove prevalgono le differenze nazionali?

Domande che meriterebbero qualche migliaia di pagine di risposte… In sintesi, direi che l’identità europea è ovviamente forte ed è tanto più palpabile in coloro che si occupano di musica perché condividono valori comuni. Ma certo non mancano alcune differenze. Ne citerei una: noi italiani ci sentiamo spesso (sempre?) obbligati a piacere. Non sentirsi amati o anche semplicemente non accettati è un dramma. Mentre per un francese no. Anzi lo fa sentire oggetto di un’eccezione di cui va fiero. Ovviamente, sto grossolanamente generalizzando…

Les Concerts d'Autumne. Ci puoi raccontare un po' di questo festival, che ci ha colpito sia per l'entusiasmo di tutto lo staff sia per la raffinatezza della programmazione, che offre perle del Sei-Settecento ma non si limita solo a questo repertorio.

La Francia è una terra di festival. Ve ne sono ovunque, piccoli e grandi, e dedicati alle tematiche più impensabili. Qualcuno ha provato a fare un censimento, ma l’impresa è veramente immane. Stranamente, non c’era un grande festival a Tours, città che ha tutto per averne: siamo ad un’ora da Parigi con cui siamo collegati molto efficientemente da varie linee ferroviarie; in piena Vallata della Loira, dove si susseguono castelli di varie epoche, veri gioielli patrimoniali; ed infine, c’è una lunga tradizione musicale che ha formato un ricco pubblico, anche se ormai più del 20% dei nostri spettatori vengano da fuori. Dunque, con i Concerts d’automne abbiamo colmato un vuoto, difficilmente spiegabile. Ed infatti, l’evento ha subito attecchito. Dal 2016, abbiamo superato i 40.000 spettatori”.

Les Concerts d'Automne è anche una rassegna attenta all'inclusione e all'impegno: come mettete in relazione la musica con la realtà che ci circonda?

Credo – e oggi molto più di ieri – che un festival debba essere un pezzo della ‘polis’ con cui dialoga in permanenza. Purtroppo, anche in Francia, molti si auto-escludono, pensando che la musica detta “classica” non è per loro. Per questo tipo di pubblico recalcitrante, a volte indifferenze, o magari intimorito, abbiamo lanciato un vasto cantiere dal titolo emblematico: “Tutti”. Che ho lasciato volutamente in italiano perché allude alla pratica esecutiva barocca. I “Soli” non fanno un festival… Per questo andiamo a cercare “Tutti” ovunque: nelle scuole ovviamente, ma anche negli ospizi, nei quartieri periferici e perfino nei carceri. L’idea è sempre la stessa: vogliamo provare che quello che facciamo, cioè i concerti, sono veramente per tutti e non solo per una élite. Per esempio, lavoriamo molto valorizzando i mestieri che sono intorno ad un evento culturale. In questo modo, sveliamo una realtà concreta, spesso del tutto ignorata. Alcune scolaresche sono appena tornate dalla visita di una fabbrica di strumenti a percussione della zona (Bergerault): gli insegnanti hanno visto tanti occhi luccicare…!

Tours è una bella città universitaria che può offrire ai vostri spettacoli spazi come il Grand Théâtre e cattedrali gotiche: qual è il rapporto fra il festival e la città?

Siamo giunti alla settima edizione. Tutti i commentatori, dalle istituzioni ai giornalisti, insistono sul fatto che siamo un evento “radicato nel territorio”. Questo mi fa molto piacere perché è proprio quello che volevamo: non ci interessava creare una cattedrale nel deserto. Durante tutto l’anno, l’équipe del festival che è soprattutto composta da volontari lavora tessere una tela di relazioni. Il Grand Théâtre è una sorta di imitazione del Palais Garnier di Parigi: uno spazio veramente magico con un’ottima acustica e una prossimità unica tra pubblico e artisti. Poi certo ci sono le chiese e altri spazi che occupiamo di volta in volta secondo anche i programmi.

Per concludere, ci dici qualche parola in più sul programma di quest'anno?

Il festival è nel 2022 inserito di una stagione bi-nazionale costruita da due paesi, Francia e Portogallo. Per questo abbiamo voluto accordare al Portogallo un posto di riguardo. Verrà Divino Sospiro, l’ensemble diretto da Massimo Mazzeo e basato a Lisbona, per un programma intorno al Settecento portoghese con due solisti eccellenti: Ana Quintans e Bruno de Sà. Poi siamo veramente felici di accogliere Accademia Bizantina che viene per la prima volta a Tours per un Rinaldo di Händel, attesissimo. E ritorna Cappella Mediterranea per mettere in scena un pasticcio (Amore siciliano) che ha ideato il direttore Leonardo García Alarcón, mettendo insieme brani di musica colta e popolare tratti dal repertorio italiano sei-settecentesco. Un festival deve assicurare una certa varietà. Ed anche per questo abbiamo lasciato un certo spazio a riletture del repertorio rinascimentale o barocco in chiave jazz (penso ai concerti di Thomas Enhco, di Vassilena Serafina o ancora dell’Ensemble Jacques Moderne) o a concerti che fanno coabitare Monteverdi e Charpentier (Ensemble Consonance). Ma il programma non va raccontato, ma piuttosto vissuto: consiglio ai lettori dell’Ape musicale di saltare sul primo aereo e di venirci a trovare dal 7 al 16 ottobre.