Riscoprire la vita

di Michele Olivieri

Francesco Piccinin inizia a studiare danza all’età di dieci anni e successivamente viene ammesso alla Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala di Milano, studiando con il maestro Leonid Nikonov. Dopo due anni viene ammesso all’Accademia di Balletto dell’Opera Nazionale di Vienna, diretta da Simona Noja e Manuel Legris. Si diploma sotto la guida della maestra Bella Ratchinskaja ottenendo il massimo dei voti in tutte le discipline. Viene subito ammesso nella giovane Compagnia di Balletto dell’Opera di Vienna per la quale ha ballato in Boléro, Carmina Burana, Hannah e Strauss Gala. Nel 2015 viene ingaggiato dalla Compagnia di Balletto dell’Opera Nazionale Finlandese, sotto la guida del Maestro Kenneth Greve (oggi diretta da Madeleine Onne). Dal 2017 fa parte della Compagnia di Balletto dell’Opera Nazionale Estone diretta da Linnar Looris, danzando nella Bayadere, Il lago dei cigni, La bella addormentata, Lo Schiaccianoci, Giselle, Romeo e Giulietta.

Carissimo Francesco, cosa state preparando all’Opera Nazionale Estone con il direttore Looris?

Caro Michele, in questo momento stiamo lavorando sulla nuova produzione de Il corsaro coreografata da José Martinez aiutato da Agnès Letestu, e mi sto preparando per ballare il “waltz boy” in Serenade di George Balanchine il 29 ottobre.


Ultimamente hai avuto un problema di salute per fortuna risolto al meglio, ce ne vuoi parlare?

Ne sarei molto felice: sì purtroppo ho avuto un problema di salute abbastanza importante il quale ha un nome e si chiama linfoma (in parole semplici un tumore delle cellule del sangue), ci sono una miriade di tipi e sottotipi di tumore, nello specifico il mio era un linfoma non Hodgkin del mediastino primitivo a grandi cellule B, il quale era localizzato sul petto. Sì, lo so: una specie di scioglilingua! La prima volta che me lo dissero, un po’ per lo shock e un po’ per le parole sconosciute, non ci capii nulla. È stato come un fulmine a ciel sereno, letteralmente, scoperto per caso perché avevo una protuberanza sospetta sul petto, poi rivelatasi un linfonodo ingrossato. Non è stato semplice e tuttora non lo è, mentirei se dicessi che ora è tutto rose e fiori. Ti cambia... Non tanto la malattia e le terapie, ma è vedere il tuo corpo subire tutti gli effetti della chemio: questo mi ha cambiato, non solo esteticamente, ma interiormente. Ti rende fragile ma anche forte, se lo affronti con la mentalità giusta. Non mi sono mai fermato, neanche quando facevo le terapie, anche se la presenza del covid non ha facilitato la situazione. Sono stato molto resiliente e forte di carattere; credo che l’essere un ballerino mi abbia aiutato a reagire così. Ringrazio la mia maestra di danza Bella Ratchinskaia perché mi ha insegnato a reagire, sempre, ad affrontare la vita di petto; certo, poi, anche io di natura sono un po’ così. La fortuna più grande è stata la mia famiglia che si è presa cura di me, da mia sorella che mi ha portato a tutti gli appuntamenti e con la quale potevo piangere e sfogarmi (così la mamma non mi vedeva), a mio papà che, essendo dottore, si prendeva cura di tutti gli aspetti medici e mi stava accanto, a mia mamma che cercava di aiutarmi il più possibile nei momenti bui e ad affrontare gli effetti fastidiosi causati dalla chemio. Non potevo chiedere un team migliore! A volte mi dimentico quanto sia stato difficile per loro vedermi così. L’importante è non farsi trascinare nei tunnel che la mente crea... vincere giorno per giorno e una cosa alla volta, imparare ad avere pazienza, cosa che prima non avevo ed ora ho imparato a fare mia in molte situazioni. La vita è bella, non bisogna fermarsi sulle esperienze negative, almeno non più del necessario, bisogna reagire e focalizzarsi sulle cose belle, fare progetti, andare AVANTI. Insegnare: sì, questa è la parola che più descrive ciò che mi ha dato questa malattia. Mi ha insegnato a vedere chi sono le persone veramente importanti nella mia vita, chi veramente c’è stato in un modo o nell’altro ed è curioso vedere certe persone che reputavi essere tue amiche non comportarsi come tali. Mi ha insegnato ad amare la vita giorno per giorno. Mi ha insegnato a reagire e a combattere.


So che desideri inviare un messaggio ad altri danzatori che in qualche modo hanno vissuto o vivono uno stop simile al tuo?

Più che a quelle persone che lo hanno già vissuto, vorrei rivolgermi a quelle persone che andranno incontro ad una cosa come la mia o simile. Lo voglio fare perché so quanto possa essere difficile ed estenuante fisicamente ma soprattutto mentalmente! Non arrendetevi mai, tenetevi attivi il più possibile, circondatevi di persone che vi vogliano bene e che siano lì per voi quando avrete dei momenti no!


Quali sono state le maggiori paure durante il periodo di fermo forzato?

Tante sono state le paure. La più grande è stata quella di non riuscire a superare il tutto e, fa un certo senso dirlo, di morire. Sono pensieri che erano spesso nella mia testa e tuttora a volte si presentano. C’è un lato positivo, però, in tutto questo: la malattia ti fa vedere la vita in maniera diversa, te la fa apprezzare in tutte le sue sfaccettature. Il difficile sta nel trovare la forza di vedere il positivo, comunque, e concentrarsi su quello!! C’è una frase che ho in mente e dice così: “La vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia”. E io l’ho fatto, ho ballato, ho ballato e affrontato la danza più difficile che la vita mi potesse riservare. Ora che la tempesta si è dileguata, sono una persona diversa con un bagaglio più ricco rispetto a prima, e posso ballare al sole perché si sa, Michele, c’è sempre il sole dopo una tempesta!


Mentre come è stato rientrare in sala danza?

È stata un’emozione strana, Michele... o meglio dire un insieme di emozioni: paura, tanta felicità, resilienza, eccitazione, queste sono quelle che forse descrivono al meglio quello che ho provato.


Come ha reagito il tuo fisico per quanto riguarda il mancato allenamento quotidiano alla sbarra?

Appena ho letto la domanda mi è uscito un “uff”. Non posso dire sia stato facile, non tanto per il mancato allenamento quotidiano, ma per via della chemio, la quale da una parte ti guarisce ma dall’altra comunque va a produrre degli effetti collaterali sui muscoli, tendini e altro. Ci è voluta PAZIENZA, tanto lavoro e una mente forte, il supporto tecnico di fisioterapisti e preparatori atletici (vorrei ringraziare il Kinè fisioterapia e analisi del movimento di Conegliano, e in particolar modo il mio fisioterapista Luigi Zanon detto Gigi che mi ha fatto recuperare in parte le funzionalità ed è stato un buon supporto da amico). Devo dire che la mia testardaggine questa volta mi ha aiutato molto perché di mio quando mi metto in testa una cosa la devo fare a qualunque costo, e io volevo in tutti i modi ritornare a essere quello di una volta. Ora posso dire che ho ripreso completamente le funzionalità che avevo prima della malattia.


Proiettato nel futuro quali sono i ruoli in cui ti piacerebbe misurarti? Sia del grande repertorio classico sia di quello contemporaneo?

Mi piacerebbe molto ballare Romeo in Romeo e Giulietta di Sir Kenneth McMillan, Theme and variation, Jewels e Symphony in C di George Balanchine, Boléro di Maurice Béjart, Chroma di Wayne McGregor, Mi piacerebbe cimentarmi nel repertorio Forsythe, Proust Morel et St Loup ou le combat des anges del grande Roland Petit.


Lo sperimentare i limiti del corpo e spingerli oltre per migliorare quanti sacrifici costa ad un danzatore?

Credo sia molto soggettiva come cosa, ognuno è diverso. Per quanto mi riguarda, posso dire che non lo vivo come un sacrificio ma più come un bisogno per migliorare, anche se può essere frustrante, e avere costanza non è sempre facile.


La compagnia estone in cosa ti ha fatto crescere artisticamente ed umanamente?

Mi ha fatto acquisire spessore artistico facendomi affrontare ruoli principali e non del repertorio del balletto classico e contemporaneo. Vivere quotidianamente la vita del teatro mi ha consentito di arricchire il mio bagaglio di esperienze fatto di incontri e sfide: questo ha contribuito a delineare la persona che sono oggi.


Il vostro programma prevalentemente è di matrice classica/neoclassica con un occhio al contemporaneo, giusto?

Esatto, la maggior parte del repertorio è classico/neoclassico con qualche produzione di contemporaneo anche se il nostro direttore sta cercando di portare qualcosina in più di contemporaneo per variare e ampliare il repertorio e dare la possibilità a noi ballerini di cimentarci in cose diverse.


A quando la gioia di esibirti nuovamente in palcoscenico?

Il mio primo spettacolo, ricoprendo nuovamente un ruolo da solista, è stato il 16 settembre scorso in cui ho ballato Filip, il fratello di Luis XIV, nella produzione Luis XIV the Sun King di Teet Kask che ha avuto il suo debutto la stagione scorsa. Ero un po’ nervoso anche perché era la prima volta che ritornavo a ballare da solo in scena da quando sono tornato dopo il fermo forzato, ma una parte di me non vedeva l’ora.


Lo specchio ti è sempre amico come mi avevi raccontato qualche anno fa?

Lo specchio... sì e no, quando facevo le terapie il mio aspetto era molto diverso da quello di una persona in salute per via della chemio logicamente. Lo specchio a volte mi ricorda tutto ciò e non è sempre piacevole, anche se ho imparato a vedere la cosa con ironia, rispetto per me stesso e resilienza. Una volta tornato in sala da danza ho capito una cosa: lo specchio è importante per farti capire dove sbagli o le linee che devi correggere e ti può aiutare a studiare i dettagli di un ruolo, ma ti toglie una cosa fondamentale, una cosa che è alla base del nostro mestiere: il sentimento da portare nel movimento, perché prima di essere atleti siamo artisti. Molte volte ci si concentra troppo nel controllare allo specchio quello che si sta facendo, ciò non permette (secondo me) di vivere nel modo più sincero e vero il ruolo che si sta interpretando.


Quanto sei critico nei confronti degli errori, che se corretti in maniera professionale diventano poi un potenziale elemento per migliorare?

Sono molto critico e non sempre per il meglio, credo che bisogna trovare il giusto equilibrio. Siamo abituati a dare più importanza al lato negativo di noi stessi invece che a quello positivo. Tuttavia penso che per migliorare bisogna prima prendere in considerazione quello che hai fatto bene e piace di te e poi guardare agli errori in modo aperto e costruttivo, e cercare quel qualcosa che per te funzioni e ti faccia migliorare. Spesso invece ci si butta giù (e questo non è per niente costruttivo): io in primis, anche se sto migliorando su questo aspetto grazie all’aiuto di una psicologa sportiva che il teatro ci ha introdotto.


Durante lo stop per la malattia a cosa ti sei dedicato per ingannare il tempo e sicuramente per fugare qualche momento di sconforto?

Viaggiare. Ho viaggiato (logicamente nei momenti in cui era possibile): solitamente avevo una settimana in cui stavo bene ed ero libero di muovermi prendendo tutte le precauzioni prima di iniziare il ciclo di chemio successivo. Questo mi ha aiutato a distrarmi per quanto possibile da quello che stavo affrontando.


So che ami la natura e gli animali, quanto ti hanno aiutato in quest’ultimo periodo?

Tantissimo, specialmente la mia cagnolina Lola che non mi lasciava un secondo, come se avvertisse che qualcosa non andava e fosse suo compito starmi vicino e prendersi cura di me. È stato davvero importante per me averla vicino, mi ha aiutato moltissimo.


Quale tipo di musica classica preferisci ascoltare?

Ci sono vari compositori la cui musica mi fa sognare ad occhi aperti: Šostakovič, Čajkovskij, Johann Strauss, Prokof'ev, Mozart. Ce ne sono altri ma credo che questi siano tra i miei favoriti.


Le emozioni fanno parte del vissuto di un artista, come vivi la tua sensibilità?

Sono un ragazzo veramente sensibile, anche troppo a volte! Questo è un bene, ma anche un male. Devo dire però che riuscire a portare le emozioni in scena utilizzando il proprio vissuto non è semplice: c’è chi lo ha di natura e chi no. Bisogna fare una ricerca molto profonda e riuscire a lasciarsi guidare, fidarsi delle proprie emozioni senza vergognarsi di come tu possa risultare agli occhi degli altri. Credo che questo faccia di un artista qualcosa di veramente speciale.


La danza è in continuo cambiamento, cosa pensi ci sia ancora da scoprire e quale evoluzioni ti aspetti?

Verissimo! Credo che la cosa mi spaventi un po’, devo essere sincero. Tecnicamente le cose stanno cambiando di molto, ci si sta evolvendo da quel punto di vista: virtuosismi, numero di pirouette, il cercare sempre di più la perfezione nelle quinte e nei passaggi. Tutto questo lo trovo giusto, però ho paura che questo ostentare la tecnica tolga molto al lato artistico, all’interpretazione.


Il talento è una dote innata o con il tempo si può affinare e coltivare?

Sicuramente, con il talento ci nasci, però un talento senza una mente intelligente che riesca a lavorarlo, a portarlo al massimo delle capacità, è un talento perso, secondo me. Penso al talento come a un cavallo selvaggio che la mente deve essere in grado non di domare, ma per il quale deve trovare il giusto equilibrio nell'instaurare un legame di fiducia che non soffochi la parte istintiva.


Cosa è cambiato oggi nella tua visione della vita, della danza, dell’arte... tenendo conto anche dei due anni di isolamento parziale per l’emergenza sanitaria da Covid, della tua malattia e della guerra così vicina a noi?

Bisogna vivere il momento, bisogna concentrarsi in quello che si sta facendo e non pensare troppo al dopo mentre si vive il presente, perché non torna più indietro, spesso ci si dimentica di questo, come se avessimo tutto il tempo che vogliamo a disposizione, ma non è così. Arricchirsi dei piccoli momenti della vita e lavorare sodo su quello che si vuole ottenere perché, anche se non lo ottenessi, almeno ci hai messo tutto te stesso e puoi essere felice.


Sei giovanissimo, Francesco, ma immagino che in qualche modo questo incidente di percorso ti abbia anche donato una maggiore consapevolezza. A cosa dai più importanza oggi?

Alla vita. La vita in sé è qualcosa di magico e tante volte siamo troppo presi da quello che stiamo facendo o dal ritmo frenetico della società che ci dimentichiamo di quanto siamo fortunati a vivere questa esistenza.


Sovente un certo pubblico si reca a teatro solo per vedere una star senza sapere cosa sta interpretando. Come fare per donare all’arte della danza un interesse più profondo e culturalmente preparato?

Oggi giorno i social media e la televisione sono diventati trainanti, la loro forza comunicativa potrebbe essere utilizzata per educare il pubblico ad apprezzare il senso profondo del balletto e a viverlo pienamente. Presentare la bellezza, la magia del mondo del teatro cosicché sempre più persone siano invogliate a vedere dal vivo un balletto sapendo che la sua essenza è la vita, le sue vicende, che ci accomunano tutti. È importante che il pubblico conosca la parte mimata del balletto così da sapere quello che sta succedendo e riuscire a seguire la storia.


Con quale metodo classico accademico studiate a Tallin?

Prevalentemente quello russo, quindi Vaganova. Però devo dire che durante la lezione, specialmente al centro, stanno cercando di spingere verso lo stile americano: un po’ un mix tra le due cose, direi.


Raccontami dei vostri maître e del direttore, quali sono le loro priorità in sala danza nei confronti di voi danzatori?

Ogni maestro ha qualcosa di diverso da trasmettere, riconoscere questo è molto importante per crescere sotto diversi aspetti. Il direttore Linnar ha sempre una forte energia e si vede che gli piace quello che fa. Credo che la loro priorità sia quella di farci crescere artisticamente. Ci mettono costantemente alla prova, stimolano e testano la nostra resistenza a sopportare lo stress degli spettacoli dato il numero di essi che portiamo in scena settimanalmente.


La velocità degli americani, i port de bras e la tecnica dei russi, i piccoli salti dei danesi, l’eleganza dei francesi, la purezza delle linee degli italiani... A cosa ti ispiri per mantenere alto sia il livello tecnico sia quello estetico?

Difficile dirlo, credo che la parte russa prevalga molto nel modo in cui ballo, però sto cercando di variare e affrontare ogni ruolo che interpreto, imparando a muovermi diversamente e scoprire un po’ di più su quello che il mio corpo può fare. Mi autodefinisco più un ballerino elegante e meno virtuosistico, quindi una cosa su cui devo lavorare è proprio questo aspetto.


La danza è anche fluidità, armonia del movimento, stabilità, flessibilità, energia, musicalità, coordinazione, doti fisiche, en dehors, temperamento, portamento... tutto ciò aiuta ad affrontare meglio il lavoro con i differenti coreografi e i virtuosismi richiesti. Tu hai avuto una grande maestra che è Bella Ratchinskaya, cosa hai imparato soprattutto da lei?

Per Bella nutro una grandissima ammirazione e la reputo come una mamma e un’artista con la A maiuscola, e lei lo sa! Da lei ho imparato a essere critico e a non accontentarmi mai per cercare sempre di migliorare, ho imparato ad essere forte nell’affrontare le sfide della vita, ho imparato come comportarmi in teatro e in sala danza, e a portare rispetto per questi luoghi che non è una cosa scontata. Bella è veramente unica e una persona sincera. Le voglio un mondo di bene.


Riguardando le immagini del passato, della gloriosa storia del balletto, ci si accorge che si cercava maggiormente l’elemento particolare, “la personalità”. Oggi i gusti sono cambiati, tutti si aspettano di ammirare ballerini che fanno otto giri e salti circensi e che siano belli come modelli. Non trovi che si sia persa un po’ di originalità in questo senso?

Sì, Michele, purtroppo sì è perso molto questo elemento che in passato era quello che si cercava di più in un ballerino. Da una parte è giusto migliorare i passi e la tecnica, ma allo stesso tempo bisognerebbe dare tale importanza anche al lato artistico, perché altrimenti si rischia di non trasmettere emozioni mentre si balla. Questa è una mia opinione, ma è molto soggettiva: so che c’è chi preferisce la tecnica all’espressività e lo trovo un po’ triste.

Spesso nei concorsi, saggi, esami o audizioni si vedono ragazzi e ragazze fisicamente meno dotati ma che quando ballano ti raccontano una storia, sono musicali e capiscono la naturalezza del palcoscenico. Però ciò non è sufficiente per raggiungere la perfezione della tecnica... cosa ne pensi Francesco?

Questo è un punto un po’ delicato. Credo ci voglia il giusto equilibrio per lavorare ad un certo livello. Ma penso anche che ci sia spazio per tutti in questo mondo, e specialmente nel mondo dell’arte, bisogna solamente scegliere la strada che si vuole percorrere.


L’importanza del trasmettere e dell’essere autentico sul palco! Più si è trasparenti e veri con sé stessi più si riesce a portare la verità nei ruoli interpretati?

Credo sia la cosa più importante, però penso che essere in grado di recitare sia ugualmente importante. Vedi, quando un artista si lascia trasportare completamente dalle emozioni in scena può essere stancante fisicamente ed emotivamente, ma non si può essere al 100% ogni giorno: diventerebbe insostenibile per il fisico e la mente, e qui l’essere in grado di recitare entra in gioco, non vuol dire che recitando non si provi niente mentre si balla. Significa vivere quello che si sta ballando con un’intensità diversa.


Tra tutti i grandi della danza del passato con chi ti sarebbe piaciuto danzare o essere diretto?

Credo George Balanchine per capire al meglio il suo modo di vedere la danza, la musica ed il movimento. Ma anche Nureyev: da un’intervista fatta a Sylvie Guillem so che non era una persona facile ma mi sarebbe piaciuto molto apprendere da lui.


Non solo è interessante danzare un ruolo ma è il cammino verso l’incognito e la trasformazione che lo rende unico?

Assolutamente sì, credo che il bello del danzare un ruolo sia proprio questo. Sentire piano piano il cambiamento man mano che si fanno le prove e ci si avvicina allo spettacolo e farlo tuo, rimanendo fedele al personaggio e alla storia ma mettendoci qualcosa di personale. È un processo continuo che ti fa crescere sia come artista che come individuo.


Qual è il tuo rapporto con gli altri componenti della compagnia e come sei stato accolto dopo la tua assenza?

Sono tutti molto carini e disponibili, essendo una compagnia particolarmente giovane (intendo l’età media dei ballerini) a volte si sente la tensione della competitività, ma è giusto che sia così finché sia sana competizione. Nessuno sapeva veramente perché non ero tornato all’inizio della stagione, a parte qualche amico più stretto della compagnia e lo staff (maître, direttore etc.) perché io avevo espresso la mia volontà di non divulgare la notizia. Certo, a volte, dai social qualcuno mi scriveva perché vedeva che c’era qualcosa che non andava e sicuramente si erano fatti un’idea, ma nessuno aveva la certezza a parte le persone a cui lo avevo detto. Sono stati tutti molto contenti di rivedermi e mi ricordo queste esatte parole da parte di una mia collega: “è bello riaverti con noi”. Un altro mio collega mentre facevamo la lezione di riscaldamento al mattino mi disse: “che bello vedere il tuo miglioramento giorno dopo giorno Francesco, credo tu sia una persona veramente forte”. Il Balletto Nazionale Estone è davvero una grande famiglia!


Non so se tu l’abbia visto, però qualche anno fa uscì il film A Time for Dancing che parlava di due ragazze e del loro sogno di diventare un giorno grandi ballerine mentre insieme si preparavano per l’esame di ammissione ad una prestigiosa accademia. Prima dell'esame una delle due scopre però di avere una grave malattia: questo tragico evento coinvolgerà anche l’amica. Quanto ti sono stati vicini i tuoi amici e chi vuoi ringraziare in particolare?

Purtroppo non ho visto questo film, ma adesso che me ne hai parlato mi hai reso curioso e lo guarderò. Lasciando casa quando avevo quattordici anni e, trasferendomi da solo a Milano per studiare in Accademia, non sono molti gli amici che ho dove sono cresciuto fino a quella età, i miei più grandi amici sono sparsi un po’ in giro per il mondo. Vorrei ringraziare tanto Sabrina (la mia prima insegnante di danza) che mi è stata accanto lungo tutto il percorso dalla scoperta alle cure fino alla guarigione; Alessandra che pure abitando lontano aveva sempre un pensiero di riguardo per me; Debora che mi ha regalato la sua energia positiva; Laura, Cristiano e Andrea che sono dei miei colleghi i quali erano gli unici a cui lo avevo detto del teatro in cui lavoro, loro mi sono stati molto vicino chiamandomi, raccontandomi cosa succedeva in teatro e facendomi ridere. Desidero ringraziare anche Alessandra, Simone e Elisabetta (la mamma di Alessandra) la quale in passato ha affrontato anche lei una situazione come la mia, parlandole mi sentivo capito, ottimista e mi ha fatto stare bene, mi scriveva spesso per sapere come stavo e se c’erano novità. Infine Irene che mi ha visto crescere insegnandomi nella scuola di Sabrina, dalla quale ho avuto un sostegno significativo e molto profondo, abbiamo avuto degli istanti di forti emozioni che porterò sempre con me e che mi hanno aiutato veramente tanto. Oltre a queste persone che fanno parte del mio mondo della danza voglio ricordare Lidiana e Bruno che con la loro presenza quotidiana hanno reso il percorso più emotivamente affrontabile. Tante altre persone invece che reputavo miei amici non sono stati presenti e questo mi ha ferito particolarmente all’inizio trovandoli un po’ egoisti, ma poi ho capito che il tempo è troppo prezioso per rimanerci male e che richiedeva smisurate energie farsi domande a riguardo, quindi ho “girato pagina” e mi sono concentrato sulle persone che c’erano veramente e che non smetterò mai di ringraziare.


Per concludere, caro Francesco, questo tuo ultimo percorso quanto ti ha permesso di conoscerti meglio e di capire l’importanza della danza nella tua vita?

Quando la vita è in gioco cresci anche se non vuoi. Credo che la malattia che ho avuto ha portato via in un certo senso il mio modo di pensare e di vivere da ragazzo “spensierato” e mi ha fatto crescere tutto ad un tratto, mi ha dato molto, mi ha insegnato a vivere la vita in maniera più intensa e a concentrarmi sulle cose positive. Credo anche che la danza sia davvero importante per me perché dopo quello che mi è successo forse sarebbe stato molto più semplice cambiare strada e concentrarmi su altro ma invece mi sono messo in gioco nuovamente, ho “puntato i piedi” in tutti i sensi, ho sudato, ho pianto, mi sono messo in discussione, ho spesso avuto i miei momenti no ma l’esigenza di ballare era veramente troppa e ora sono qui, sono ritornato a fare quello che ho sempre voluto: ballare! Se si sa leggere tra le righe questo dice molto di me. Grazie Michele!

Michele Olivieri