Le follie non si rimpiangono mai

Ramon Jacques

Il soprano Carolina Lippo è una giovane interprete che sta iniziando a farsi un nome nel panorama operistico europeo e italiano, che ha fatto parte dell'ensemble del prestigioso Theater an der Wien di Vienna, e che si è distinta su palcoscenici importanti in Italia, soprattutto in un repertorio poco frequentato che va da Spontini (La metamorfosi di Pasquale), Nicola De Giosa (Don Checco) e Giovanni Paisiello (La Semiramide in villa) a Leonardo Leo (L'ambizione delusa), Nicola Porpora (Arianna in Nasso) e Gaetano Donizetti (Il giovedì grasso) oltre alle recenti interpretazioni di Romilda nel Xerse di Cavalli, al Festival di Marina Franca, e di Ernestina nella Scuola de' gelosi di Salieri al Teatro Regio di Torino. Ha anche affrontato, inoltre, partiture di Mozart (Le nozze di Figaro, La finta giardinera, Così fan tutte), Purcell, Donizetti, Rossini, Wolf-Ferrari, Lehàr, Menotti e Casella (La donna serpente). Carolina ha gentilmente accettato di rilasciare questa intervista per raccontarci un po' della sua carriera, del suo repertorio e del suo modo di vivere la vita come cantante lirica.

Raccontaci in breve la storia della tua carriera professionale. Perché hai scelto di diventare una cantante lirica?

Tutto è iniziato quando avevo otto anni. Papà è sempre stato appassionato di musica e mi regalò un pianoforte elettrico. Non prendevo lezioni, riproducevo a orecchio le melodie che ascoltavo in tv, per radio o quelle che canticchiava mia nonna, finché una vicina di casa suggerì ai miei di farmi prendere lezioni. A dodici anni entrai in Conservatorio (prima non si poteva); dopo qualche anno, complici alcuni amici cantanti, mi iscrissi anche al corso di canto. Capii subito che il teatro d’opera era la mia forma d’arte ideale perché “totale”: potevo esprimermi sia con la musica sia con la recitazione, altra passione che mi ha sedotta dacché ero parecchio piccina. Mi trasferii a Bologna e completai la mia formazione al Conservatorio G. B. Martini, dove cominciai anche a cantare davanti a un pubblico delle opere intere. Poi frequentai l’Accademia del Belcanto di Martina Franca dove studiai con Lella Cuberli, Vittorio Terranova, Fabio Luisi, Stefania Bonfadelli e tanti altri maestri bravissimi. Il debutto operistico professionale è avvenuto che avevo quasi ventisei anni e fu al Teatro della Fortuna di Fano con la Zerlina del Don Giovanni. Cantavo principalmente in Italia, poi fui selezionata per entrare nell’ensemble del Theater an der Wien e da quel momento iniziò il mio percorso internazionale.

Come descriveresti la tua voce e che cosa faresti ascoltare a chi non la conosce ancora?

La mia è una corda molto comune, ovvero quella del soprano lirico leggero. In realtà credo sia anche una vocalità abbastanza versatile: fin dalle prime esperienze, ho potuto (e fortemente voluto) muovermi tra opere del ‘700, dell’800 e anche del ‘900. Se dovessi consigliare degli ascolti su YouTube che mi riguardano però suggerirei un Donizetti, un Mozart e Paisiello.

Quali ritieni che oggi siano le sfide più difficili nella professione di una cantante d'opera? In italia riesci ancora a cantare?

Il cantante d’opera oggi deve avere tante frecce al proprio arco, la voce da sola non basta; dobbiamo essere, giustamente, musicisti, dobbiamo avere il fisico adatto al ruolo, preparazione e duttilità musicale, velocità nell’assecondare i desideri e le esigenze di direttore e regista, dobbiamo cercare di mantenerci in salute e riuscire a lasciare in camerino i problemi della vita “normale”. La serenità della mente è indispensabile per affrontare il palcoscenico ma purtroppo è una condizione non sempre raggiungibile e bisogna riuscire a fare bene comunque. Ritagliarsi i momenti di riposo è un pòo'difficile ultimamente: durante una produzione, spesso antepiano, assiemi e prova generale aperta al pubblico (equivalente a una recita) sono uno di seguito all’altro e talvolta nello stesso giorno. Di recente mi è capitato anche di cantare antepiano, assiemi, generale e première nel giro di quattro giorni senza un giorno di riposo intermedio. Dopo due anni di totale assenza dai cartelloni italiani, piano piano sto tornando con più frequenza a cantare in Italia; il 2022 infatti è stato tutto “italiano”.

Cosa ha significato per la tua carriera aver lavorato nell'ensemble del Theater an der Wien di Vienna?

È stata una delle esperienze professionali più gratificanti e più dure del mio percorso artistico fino ad ora. Si cantava tanto, quasi tutte le sere, e opere molto diverse tra loro: a Purcell a Gottfried von Einem passando per Don Pasquale o il Saul di Händel, ma questa varietà, come dicevo prima, mi ha sempre molto stimolata ed affascinata. Quella dell’ensemble è un’esperienza che consiglio vivamente a tutti i giovani cantanti per misurarsi continuamente con sé stessi, capire i propri limiti, i propri punti di forza e anche cosa piace al pubblico di te. Inoltre si sviluppano dei rapporti professionali (ed anche umani) più duraturi: quando c’è intesa con uno o più colleghi, è confortante ritrovarli nelle produzioni successive. Pensiamo alle compagnie di attori di prosa; mi è sempre mancata un po' questa bella abitudinarietà nel lavoro da freelance.

Parlaci dei ruoli che hai in repertorio e di quelli che hai in programma di affrontare nel futuro? dove pensi di dover dirigere la tua carriera dal punto di vista della vocalità?

I ruoli che ho in repertorio sono quelli delle opere serie e buffe di ‘700 e ‘800 affidati al soprano lirico leggero, che tacitamente contemplano anche una determinata fisicità. Penso e spero di restare in questo ambito ancora a lungo ma arricchendo di nuovi titoli il repertorio: sto studiando La fille du régiment, la Poppea dell’Agrippina di Händel, mi piacerebbe debuttare in un titolo monteverdiano e, avendo già cantato la Romilda del Xerse di Cavalli, canterei volentieri anche la Romilda del Serse händeliano. Non so come sarà la mia voce fra dieci anni e non mi importa saperlo. La asseconderò cercando di evitare scelte rischiose per la sua longevità.

Qual è il personaggio o l'opera che ti ha colpito di più? Per essere più affine al tuo temperamento e al tuo modo di essere, alla tua sensibilità di artista? C’è un compositore che ti sta particolarmente a cuore?

Il compositore che amo di più è Mozart e le sue donne operistiche sono molto affini al mio temperamento, Susanna su tutte. Due sono le creazioni mozartiane che più amo cantare: Le nozze di Figaro, perché mi permette di portare in scena una donna autentica, senza fronzoli, intelligente, sensuale, istintiva e scaltra, e la Grande Messa in Do minore, che mi costa sempre tanta fatica emotiva e che non è facile eseguire rimanendo completamente controllati: quando il coro dietro attacca il Kyrie, ho la sensazione di essere dentro un avvolgente miracolo sonoro.

Hai partecipato alla prima e alla registrazione di opere italiane poco conosciute o di compositori dimenticati. Sulla base della tua esperienza, pensi che si dovrebbe fare di più per salvare questo patrimonio musicale perduto? C'è qualcuna di queste opere che ritieni abbia un valore sufficiente per essere eseguita al di fuori dell'ambito di festival specializzati come Festival della Valle d'Itria a Martina Franca, per esempio?

Si deve fare di più per riscoprire un patrimonio artistico-musicale che è anche l’espressione di un determinato periodo storico dell’Italia pre-unitaria. L’Italia fino al 1861 non esisteva e tutti i piccoli Stati e Granducati che componevano la penisola avevano una loro precisa cifra stilistica musicale dettata soprattutto dai gusti del pubblico. Non c’è altra nazione europea che abbia queste caratteristiche. Riscoprire e studiare un’opera data a Napoli e una data a Modena nello stesso anno del XVIII secolo significa confrontare due microcosmi diversissimi. Immaginiamo quindi quanta varietà artistica è ancora nascosta nelle nostre biblioteche storiche. Non sono d’accordo con chi sostiene che certi titoli siano finiti nel dimenticatoio perché noiosi o musicalmente non interessanti. Una delle ultime opere rare che ho inciso è stata il Don Checco di Nicola de Giosa, una commedia degli equivoci nonché l’opera comica preferita di Ferdinando II di Borbone: non ha nulla da invidiare ad altre opere dell’800 di autori come Donizetti o Verdi; bisogna anche dire che talvolta le vicende storiche dei compositori influivano sul successo o l’insuccesso della loro produzione musicale, ecco perché sostengo che tante opere siano valide e di piacevole ascolto anche se uscite di repertorio da secoli. Un altro autore interessantissimo, che sfortunatamente non ho mai cantato, è Saverio Mercadante, che considero una sintesi perfetta tra Rossini e Verdi.

Hai esperienza nella musica barocca e nel belcanto. Cosa ti attrae della musica barocca? E quali diresti che sono le somiglianze e le differenze tra questi due stili di canto?

Sia della musica barocca sia del belcanto mi attrae il fatto di poter scrivere variazioni e cadenze di mio pugno e divertirmi anche a cambiarle recita dopo recita, se il ruolo è rodato. Le differenze sono nella condotta delle frasi, generalmente di più ampio respiro nel Belcanto, e nel fraseggio. L’emissione è la stessa, tranne che nelle messe di voce barocche, dove l’emissione principia con un suono non vibrato.

Tu hai collaborato con diverse personalità importanti, quali sono state le più significative nella tua vita artistica?

Con Pier Luigi Pizzi è stato amore a prima vista e ci piacerebbe moltissimo fare insieme un titolo che lui non ha mai fatto ma che adora: il Don Pasquale donizettiano… ecco, questo sarebbe proprio un bel desiderio da realizzare. Ho lavorato molto bene con Laurence Cummings, direttore inglese poco conosciuto in Italia, esperto di Händel. Lavoro sempre molto bene e con profitto con il maestro Giovanni di Stefano, con cui ho fatto Le convenienze ed inconvenienze teatrali a Novara ed a Savona questo novembre; il regista Leo Muscato mi ha insegnato come costruire un personaggio operistico anche dal punto di vista attoriale; Calixto Bieito mi ha insegnato a liberare sulla scena il mio lato più istintivo e animale senza timori e paure del giudizio altrui… sono stata fortunata: ho lavorato spesso con delle personalità artistiche enormi.

Chi è Carolina fuori dalle scene?? Il cantante segue uno stile di vita particolare?

Fuori dalle scene faccio una vita normalissima: mi divido tra compagno, amici e famiglia d’origine (quindi anche se non canto sono sempre in viaggio tra Vienna, un piccolo borgo della Romagna che si chiama San Leo e Taranto… purtroppo non riesco a vivere nello stesso posto per più di una settimana). Sono appassionata di cinema, di storia dei papi e delle case reali europee, di pittura del ‘600, di animali (ma non ne possiedo più perché perderli mi ha fatto troppo male in passato); faccio la cuoca per diletto e vado in palestra solo perché mi piace mangiare. Vado a teatro per la prosa e per ascoltare opere rare poco eseguite. Mi piace il mare e sono appassionata di immersioni e sub. Quando sono sotto produzione, continuo a coltivare tutti questi interessi; unica differenza: vado a letto presto.

Un aneddoto curioso da raccontare? Un episodio particolare o delle cose simpatiche che ti sono capitate in teatro. Il teatro che più ti ha emozionata?

Ho tantissimi bei ricordi ma quelli che ancora mi mettono di buon umore sono stati quelli legati alle recite riservate alle scuole. Il pubblico dei ragazzi è tanto espansivo, gioioso e soprattutto spontaneo. Ricordo che a Torino, dopo una recita dell'Elisir, incontrai una scolaresca e tornai a casa con un pacco di loro disegni dove era raffigurata Adina vista da loro. Insomma se Adina e Nemorino, anche solo per un giorno, prendono il posto di Elodie, Shakira e Damiano dei Maneskin per noi cantanti lirici è un bel traguardo! Poi ricordo alcuni jump-in a poche ore dalla recita: a Vienna il mio casting manager Jochen Breiholz mi telefonò e mi disse: “Ciao, dove sei? Senti, intanto siediti: fra mezz’ora devi fare una prova costume e poi cantare alle 19.00. Te la senti?” …le follie sono le uniche cose che non si rimpiangono mai. Fu una recita bellissima e il pubblico fu generosissimo. Piansi alla fine. Non c’è un teatro che mi ha emozionata più di un altro. Personalmente cantare, con tutto il rispetto, in un teatro piccolo piccolo del centro Italia o a Vienna, significa per me andare in scena con lo stesso impegno e voglia di raccontare una storia a un pubblico che si è mosso da casa per sentire cosa ho da dire. Può sembrare una frase scontata ma per me ogni performance è come fosse la prima della vita, ovunque avvenga.

In scena come nella vita cosa non deve mai mancare?

L’amore, la curiosità e il desiderio di rinnovarsi continuamente. L’essere umano, e il musicista ancor di più, è sottoposto alla legge inesorabile del cambiamento, del divenire perpetuo di tutte le cose. Io tento di assecondare i cambiamenti e spesso mi do l’opportunità di ricominciare daccapo. Faccio questo lavoro per passione ma anche le passioni più ardenti col tempo tendono a smorzarsi e finire per estinguersi. Credo che l’importante sia alimentarle sempre con nuova scintilla ponendosi frequentemente nuovi obiettivi e traguardi.

Una riflessione sul mondo della lirica e musica classica di oggi?

Spero che si liberi sempre più da certi stereotipi che la rendono “vecchia” e superata agli occhi di tanti giovani.

Per finire, qual è una cosa che come cantante non ti viene mai chiesta?

Il mio colore preferito: Royal Blue