Natale alla Staatsoper

di Roberta Pedrotti

Michele Spotti, classe 1993, è uno dei migliori giovani direttori italiani in circolazione. Forse noto soprattutto per le sue concertazioni di Rossini, Donizetti e Offenbach, ha già all'attivo una produzione di Don Carlo e un'attività sinfonica in continua crescita. Neodirettore musicale della Filarmonica di Benevento, applaudito in Italia a Bergamo, Pesaro, Martina Franca (dove quest'estate è tornato sostituendo con minimo preavviso Fabio Luisi in Beatrice di Tenda), ha già diretto a Basilea, Lione, Monaco di Baviera e a Marsiglia (Guillaume Tell), solo per fare alcuni esempi. Ora, proprio il 25 dicembre, farà il suo debutto alla Staatsoper di Vienna con La fille du régiment nell'ormai classico allestimento di Laurent Pelly. Ne abbiamo approfittato per aggiornare la chiacchierata fatta in video nell'estate 2020.

Guarda la videointervista realizzata nel 2020 a Michele Spotti

Pesaro, concerto Antoniozzi/ Bordogna/ Corbelli/ Spotti, 18/08/2020

Bergamo, La fille du régiment, 21/11/2021

Martina Franca, Beatrice di Tenda, 26/07/2022

Natale alla Staatsoper! Sarà banale, ma non si può non cominciare chiedendoti come vivi questo debutto e qual è l'impatto con l'ambiente e il metodo di lavoro nel teatro viennese.

Dirigere qui a Vienna sicuramente è sempre stato uno dei sogni della mia vita. L’ambiente è veramente meraviglioso, ricco di professionalità e di grande cordialità tra tutte le componenti. Ciò che mi ha veramente colpito è l’intensità con cui si lavora, grazie a una grande capacità di ottimizzare i tempi di prova. Vienna è una città con ritmi paradossalmente lenti, velocizzati perlopiù dalla miriade di turisti che corrono su e giù per la città. Il teatro è una macchina “infernale”, dove tutto però è eseguito con una grande naturalezza. Davvero stupefacente…

Tu hai diretto una bellissima edizione della ‭Fille du régiment ‬al Festival di Bergamo (tra l'altro legata alla nascita del tuo bambino), una nuova produzione che è nata con te sulla base dell'edizione critica. Cosa porti di tuo ora che invece ti inserisci in una produzione di repertorio. Quali sono le differenze? Immagino anche tanta adrenalina...

Diciamo che questa esperienza e quella di Bergamo sono profondamente differenti. In quella di Bergamo abbiamo avuto più di un mese per montare la produzione, che era nuova e accompagnata anche dalla riscoperta edizione critica. Il lavoro alla Staatsoper è estremamente differente, in quanto la produzione, uno dei capisaldi della regia mondiale, è davvero celebre ed è andata in scena nei più importanti teatri del mondo. Ho avuto a disposizione una decina di giorni per mettere insieme tutte le parti e cercare di dare l’unitarietà della mia visione, traendo il massimo dalle spiccate capacità delle compagini artistiche con le quali collaboro. L’adrenalina è sicuramente alta, ma, come capita spesso quando si riprende un titolo, si è sicuramente più sicuri e più consapevoli dei propri mezzi, sapendo quelli che possono essere anche i nodi su cui andare direttamente a lavorare. Questa produzione sarà un bellissimo regalo di Natale, il sogno di una vita che si corona, nella speranza che possa essere solamente l’inizio.

Un'orchestra come quella della Staatsoper, da cui vengono poi i Philharmoniker, ha una sua forte identità e senz'altro saprà suonare “con il pilota automatico”, ma proprio per questo il rapporto con il direttore può fare la differenza. Nello specifico, come ti sei trovato e come funziona l'intesa con un complesso di questo tipo? In generale, puoi dirci qualcosa in più, dal tuo punto di vista, sull'importanza del concertatore, sul valore aggiunto che può dare una bacchetta?

I Philharmoniker sono un’orchestra straordinaria, caratterizzata da una grande sensibilità e una capacità di aprire il suono davvero unica al mondo. Ho avuto il privilegio di ascoltarli anche nel celeberrimo Rosenkavalier il giorno prima della prima prova con loro e sono rimasto davvero estasiato. Sono amanti delle belle voci (nel mio caso, con Juan Diego Flórez e Pretty Yende, siamo davvero fortunati!), ed hanno un’esplosività e tempi di reazione da record. Il fatto del pilota automatico dipende molto dal direttore. Nei primi dieci minuti di prova certamente mi sono sentito osservato, ma col passare del tempo l’orchestra ha sempre di più creduto in me e dopo pochissimo li ho sentiti proprio trasferirmi la loro fiducia, diventando estremamente malleabili, mantenendo sempre una grande coesione. La prima prova con loro è stata un’emozione fortissima, per la gioia e il privilegio di poter dirigere una delle orchestre più importanti al mondo.

Vienna si inserisce ora in un tuo percorso internazionale che ti ha visto stringere rapporti stretti con la Francia e debuttare già alla Bayerische Staatsoper, per esempio. Ci puoi parlare un po' delle diverse caratteristiche dei teatri con cui hai lavorato nel mondo? Cosa preferisci, cosa ti colpisce di più e cosa, potendo, cambieresti?

Le differenze tra i vari Paesi sono davvero abissali. In Francia e in Italia per la stragrande maggioranza dei casi le produzioni operistiche durano dalle tre alle sei settimane. Nei teatri cosiddetti di “tradizione” le produzioni durano molto meno, ma sono spesso interpretate da artisti che già conoscono il proprio ruolo, che quindi portano un bagaglio di esperienza davvero notevole per facilitare la realizzazione del risultato finale. È molto difficile dire cosa cambierei o cosa non cambierei… certamente nei teatri di “tradizione” il sogno è quello di avere magari qualche prova in più con l’orchestra, ma in realtà questo sistema permette di tenere sempre altissimo livello di attenzione e di avere molto spesso ottimi risultati in recita. Certamente in una nuova produzione, dove il percorso di crescita è nettamente più marcato, si ha la possibilità di esprimersi a fondo, dando spazio ulteriore alle proprie idee e alla propria creatività. Penso che l’ideale per un direttore sia un buon mix di nuove produzioni e riprese.

A proposito di orchestre grandi e grandissime. Tu sei fra quei direttori che stanno dimostrando il loro valore facendo la vera gavetta anche in complessi meno blasonati, ora hai assunto la direzione della Filarmonica di Benevento. Anche qui, vediamo tante belle realtà ma anche tanti problemi. Quanto è importante per un direttore lavorare, per esempio, con ICO, orchestre giovanili? Quali sono le esperienze più belle che hai vissuto in questo senso e gli aspetti che secondo te andrebbero sostenuti, valorizzati o corretti?

L’esperienza di Benevento è sicuramente molto importante per me, in quanto si tratta di una compagine giovane, ma estremamente talentuosa e con le idee chiare, libera da impedimenti burocratici. Uno dei momenti più emozionanti della mia vita è stato sicuramente il primo concerto da direttore musicale, insieme alla straordinaria pianista Beatrice Rana. Tutte le realtà dovrebbero essere molto più sostenute. Ci sono compagini di qualità che spesso annaspano tra precariato e disagi vari, che andrebbero chiaramente sostenute in quanto fonti di sostentamento uniche per il territorio. Dovrebbero essere dati spazi adeguati dove potersi esibire, dove poter provare, dando dignità a tutte le compagini artistiche. La differenza tra Paesi come Germania, Francia, Austria e Italia si nota soprattutto comparando le realtà “medio-piccole”.

La tua generazione sta esprimendo elementi grandissima qualità, talento e serietà. Secondo te quando arriva, se arriva, la vera maturità per un direttore? È possibile quantificare l'esperienza? 

Per quanto riguarda la totale maturità musicale, se dovesse arrivare, spero arrivi il più tardi possibile. Certamente, uno degli aspetti che mi ha fatto più maturare è stato l’incremento della direzione del repertorio sinfonico, soprattutto con organici molto grandi. Secondo me la completezza di un direttore è la base fondamentale per poter aspirare ad una maturità artistica totale. Dirigere Bellini, Verdi, Rossini, Donizetti è stimolante e meraviglioso. I recenti concerti a Marsiglia, con la Terza di Bruckner e a Parma con la Quinta di Tchaikovsky sono stati un balsamo per il mio braccio e il futuro si prospetta davvero interessante e ricchissimo di possibilità come queste.

Quanta incoscienza giovanile ci vuole e quanta solidità ed esperienza professionale ci possono volere per un'impresa come quella della ‭Beatrice di Tenda a Martina Franca? Lo rifaresti?‬

‭Si, per Bellini questo e altro! È stata davvero una “sana follia” , soprattutto per l’unicità del titolo. Capita spesso di dirigere in grandi teatri senza la possibilità di provare prima. Diciamo coi titoli non comuni, è un po’ da coronarie forti…‬

Michele Mariotti ha diretto per la prima volta Simon Boccanegra a ventisei anni, ma tu con Don Carlo non sei stato da meno: qual è stato il tuo approccio e come pensi che cambierà? Cosa pensi quando si dice che certe opere andrebbero affrontate più avanti nella carriera? C'è un “momento giusto”, come lo si riconosce?

Secondo me bisogna chiarire qual è la differenza fra la maturità musicale e quella anagrafica. Certamente dirigere alcuni titoli così importanti, in relativa tenera età, è una sfida per tutti. Però il background culturale aiuta… e non poco! Respirare Rossini, Verdi, sin dalla tenera età, dà certamente un vantaggio anagrafico anche per la direzione di alcuni capisaldi che andrebbero magari diretti con più maturità. La bellezza del nostro lavoro sta anche nel poter riaffrontare i titoli e, col passare del tempo, farli sempre più propri, ritrovando nuove idee musicali e riadattandole alle emozioni di quel momento. 

Quali sono i tuoi progetti per l'Orchestra Sinfonica di Benevento, di cui hai assunto la direzione musicale? E, in generale, i tuoi prossimi obiettivi professionali e di repertorio?

Con Benevento l’obiettivo primario è quello di creare un’unicità di suono nell’orchestra. Per questo motivo, la scelta dei programmi è assolutamente fondamentale, perché servirà a dare eterogeneità e soprattutto un imprinting molto variegato. Un altro punto fondamentale è la commistione fra orchestra sinfonica e opera. Riporteremo non a caso un titolo operistico durante la stagione sinfonica a Benevento, proprio a testimonianza che un’orchestra moderna deve essere plastica e deve saper adattarsi ad ogni tipo di situazione artistica che le si presenta davanti. Per quanto riguarda il mio repertorio sinfonico, spero di incrementarlo sempre di più, completando il ciclo Bruckner, autore che amo alla follia, incominciando anche cicli sinfonici famosi. Per quanto riguarda il repertorio operistico, i desideri sono davvero molti: dal Falstaff di Verdi a Wagner, al Rosenkavalier, a Offenbach. Spero che una vita basti a fare il più possibile.

Ti sei fatto conoscere soprattutto per il belcanto, in cui purtroppo spesso si sottovaluta il ruolo del direttore. Qual è, invece, lo spessore musicale della concertazione in Rossini, Bellini e Donizetti? 

Vengo da una recente nuova produzione all’Opera di Stoccarda dell’Elisir d’amore in versione integrale. È stata davvero una produzione emozionante, grazie alla qualità del lavoro in Staatsoper, ma uno degli elementi che più di tutti mi ha reso felice è stato il lavoro con la sola orchestra. I belcantisti sono compositori incredibili, che spesso vengono sottovalutati e suonati con un po’ di superficialità. Scavando nei meandri dell’orchestrazione, si scoprono peculiarità interessantissime, a volte del tutto inaspettate, che rendono ancora più speciale questo repertorio non solo per le parti vocali, ma anche per le parti strumentali. La stessa Fille du régiment presenta un’orchestrazione estremamente articolata, che rende ancora più frizzante il lavoro del direttore.

Oggi quali sono per te le caratteristiche più importanti nell'interpretazione di queste opere, da sempre un po' polarizzate fra varie mode, protagonismo vocale e rigori filologici (talvolta ma non sempre malintesi)?

Per quanto riguarda le interpretazioni delle opere belcantistiche, il rigore filologico spesso è una chiave determinante per comprendere ancora meglio la struttura architettonica che il compositore ha in testa. L’equilibrio formale è uno degli elementi imprescindibili, da cui poter creare un’esecuzione unitaria. La mia idea a riguardo non è assolutamente rigida. Uno degli elementi che non ci dobbiamo dimenticare è la ragione che ci spinge a fare musica, ovvero quella di creare piacere nell’ascoltatore. 

Non dimentichiamoci che spesso i compositori chiedevano consiglio ai vari direttori d’orchestra per completare o perfezionare i propri scritti. Da parte dell’interprete però ci deve essere sempre un’umiltà di base. Nel caso del Belcanto, i solisti vanno ascoltati, cercando di assecondarli, senza mai perdere la propria idea e la propria identità. Bisogna cercare di costruire un accompagnamento orchestrale su misura, come un abito che possa calzare a pennello. È un equilibrio difficile, che va imparato solamente col mestiere.

E sul piano sinfonico? Hai citato Bruckner; i tuoi orizzonti mi pare si stiano spingendo sempre più avanti...

Sì, soprattutto nel repertorio sinfonico sto cercando di ampliare e spaziare il più possibile. L’interessante lavoro di ricerca quando si studia una partitura sinfonica apre sicuramente dei nuovi cassetti nella testa e dà un’ulteriore completezza anche quando si torna a dirigere opera.

Tornando a questi giorni, come vivi Vienna sotto le feste?

Vienna è una città meravigliosa, durante il periodo di Natale forse una tra le più belle al mondo. Mantengo uno spirito un po’ naïf , tutte le volte che vado al lavoro, mi sento estremamente fortunato. È una città dove veramente vorrei vivere, perché nonostante la maestosità e in certi casi l’opulenza, rimane una città a misura d’uomo.

Grazie: buona permanenza, allora, sperando sia solo la prima di tante esperienze viennesi. In bocca al lupo!