Dopo l'acclamata produzione di Norma nei teatri lombardi e a Pisa, il tenore Antonio Corianò si trova a Barcellona, Cavaradossi in Tosca al Liceu per la recita del 5 gennaio riservata agli under35 e quindi, nel cartellone standard, per altre quattro repliche l'8, il 12, il 18 e il 21 gennaio. Gli abbiamo chiesto, per prima cosa, di raccontarci un po' questo spettacolo che già prima del debutto ha fatto tanto parlare di sé.
Questa produzione di Tosca nasce con un piccolo “scandalo” alle spalle: la rinuncia di Roberto Alagna a cantare alcune recite in polemica con il progetto registico. Senza chiederti di esprimerti nel merito delle scelte altrui, puoi raccontarci un po' di questo spettacolo e del “tuo” Cavaradossi
Non ti nascondo che mi sono avvicinato a questa produzione con un certo senso critico, i rumors generati dalle dichiarazioni che abbiamo letto non mi avevano certo lasciato indifferente.
Infatti durante i primissimi giorni di prove mi sentivo più un osservatore che non parte attiva poi, lentamente, lavorando ogni giorno, ho sentito questo Cavaradossi prendere forma e diventare quel personaggio che il maestro Rafael R. Villalobos mi stava portando a scoprire: ne sono rimasto affascinato. Il regista, mettendone in risalto il lato umano con le proprie contraddizioni, dà vita a un personaggio ricco di sfumature. Nella sua visione Cavaradossi è sì un artista, un pittore, ma soprattutto un intellettuale, un poeta che vive attivamente la politica, è un uomo onesto, coraggioso che non è disposto a scendere a patti con la propria coscienza e che ha il coraggio della denuncia, che difende i suoi ideali, che crede nei sentimenti, ma che è anche cosciente delle proprie debolezze che non ostacola, anzi accoglie.
Se nel libretto di Tosca, come tutti lo conosciamo, l’azione si svolge nel 1800 e si impernia sull’amore passionale che lega Tosca e Cavaradossi, dove il Cavaliere è un liberale, sostenitore della rivoluzione francese e di Napoleone mentre il barone Scarpia è il capo della polizia al servizio del regime dello Stato della Chiesa, trasferito al presente e più precisamente nel 1975, anno della morte di Pier Paolo Pasolini, Cavaradossi diventa un difensore dell’emancipazione individuale e dei diritti umani mentre Scarpia è la manifestazione dell’intolleranza del potere assoluto. Potere che si sente minacciato dall’Arte, perché quando l’Artista si esprime lo fa per denunciare. Tale minaccia la si intende chiaramente in palcoscenico, è quasi incombente, rappresentata dal simbolismo dei personaggi, dalle opere d’arte e dalle situazioni drammatiche. Questa realizzazione di Tosca è pervasa dal pensiero e dalla poetica di Pasolini e si esprime essenzialmente per allegorie, ecco che allora nel secondo atto vedremo chiari riferimenti al film Salò o le 120 giornate di Sodoma, che rappresenta l’apoteosi dell’intreccio indissolubile fra potere, perversione sessuale e uomo ridotto ad oggetto. Ci sono scene di nudo e richiami espliciti al sesso sado-maso, ma nulla è gratuito, tutto è funzionale al dramma ed alla sua comprensione. Io penso che alcune scene potranno urtare la sensibilità di talune persone, lo spettacolo potrà piacere oppure non piacere, ma è indubbio che non scivolerà nell’indifferenza e ci farà pensare. Personalmente ne sono affascinato e molto coinvolto e sono entusiasta di aver avuto la possibilità di poter dare il mio contributo alla sua realizzazione.
In generale, dalla preparazione personale, dall'idea che ti puoi fare del personaggio alla sua realizzazione con direttore, regista, colleghi etc. quanto può cambiare? Quando ti affezioni a un'idea e la difendi e quando invece puoi vederla cambiare completamente?
È indubbio che durante lo sviluppo della fase preparatoria di un personaggio esso vada prendendo una forma che si definisce via via fino a diventare, come anche tu la definisci, l’idea del personaggio stesso, senza però idealizzarlo.
Innumerevoli volte ho fatto questo percorso e ad alcuni personaggi ho già dato vita, altri invece li ho preparati e messi nel cassetto in attesa dell’occasione favorevole. Sono personaggi che vivono della vita che io gli ho dato, ma che non difendo a spada tratta; ogniqualvolta entro in una produzione nuova divento malleabile, mi faccio duttile nelle mani del direttore d’orchestra e del regista. Sono infatti più propenso a pensare che l’arte del cantante lirico, oggi molto più di ieri, stia più nel rappresentare che non nell’interpretare, e più precisamente che l’Autore crei, il direttore d’orchestra ed il regista interpretino e che il cantante rappresenti. È sottinteso però che il cantante debba avere la convinzione di ciò che rappresenta, per non essere un mero esecutore, perché infine è il cantante che dà l’anima al personaggio.
Sono convinto che solo ciò che parta dal cuore dell’artista possa arrivare al cuore del pubblico e senza cuore non ci sono emozioni. Quindi la parola chiave è sinergia cioè l’unione delle competenze che operano in sintonia per raggiungere l’obiettivo e questa azione è tanto più efficace quanto più ha la capacità di integrarsi. La mia idea è che il lavoro vincente sia quello di squadra.
Prima di questa Tosca hai cantato Norma nella bella produzione di OperaLombardia. Fra Bellini e Puccini c'è Verdi, che è un po' il tuo autore di riferimento. Credi nella definizione di “voce verdiana”? Come credi che debba essere intesa (o come viene fraintesa, se pensi che lo sia)?
Sulla definizione di “voce verdiana” si è tanto dibattuto e tanto si dibatte ancora, personalmente amo condividere il pensiero della signora Scotto la quale afferma in un’intervista che non esista la voce verdiana bensì il cantante che possa cantare Verdi. L’Autore infatti richiede una grande forma espressiva che deve però essere bilanciata dalla sostanza del canto e per sostanza intendo quella saldezza dello strumento vocale che consenta solidità e proiezione del suono, accento infuocato, ma al contempo capacità di esprimere emozioni attraverso un canto nobile e legato. Scevro da falsa modestia ti posso dire che il canto verdiano sia un balsamo per le mie corde, mi ci sento comodo e la mia voce trova in esso la sua naturale espansione.
A Pollione, come tanti tuoi colleghi del passato, sei arrivato venendo dal repertorio successivo. Qual è il tuo approccio con il Belcanto e con una vocalità particolare come quella di Domenico Donzelli?
L’unica mia esperienza belcantistica riguarda appunto Pollione ed il mio primo approccio allo studio del ruolo risale ad alcuni anni fa. L’occasione nacque da un incontro con il maestro Campanella, infatti fu lui, sentendomi cantare, a suggerirmi di studiare il ruolo. Io fino a quel momento lo avevo considerato un’icona del repertorio tenorile anche perché prerogativa dei grandi e grandissimi interpreti del passato. Fu durante la fase di studio con il maestro che cominciai a capire che con la mia voce avrei potuto affrontare la parte senza il rischio di soccombere sotto il suo peso. Nella tua domanda citi Donzelli, il primo interprete di Pollione, di lui sappiamo che esordì come tenorino di opera comica, poi ci fu la fase rossiniana e infine, quando debuttò in Norma era già considerato un baritenore, un tenore cioè con voce scura, bronzea, più a proprio agio nella zona centrale che non nella parte alta della tessitura. Io ritengo che la grande difficoltà nel ruolo, che a parer mio è davvero ingrato per chi lo sostiene, stia proprio nella sua scrittura che è prevalentemente centrale ma che richiede nella sortita un recitativo con accento drammatico, un cantabile più lirico con puntatura al Do ed una cabaletta dall'agilità di forza.
Dopo il mio debutto nel ruolo e dopo le varie recite nel Circuito Lombardo in me si è però rafforzato il pensiero – sottolineo che lo faccio senza assumere ruoli che non mi competono, ma esprimendo soltanto il mio umile parere di cantante - che Pollione si possa incarnare più in un tenore drammatico di agilità che non in un baritenore e penso anche che, continuando ad approfondirne lo studio e praticandolo ancora in palcoscenico, potrei in un futuro avvicinarmi a quella che per me è l’ideale rappresentazione di questo ruolo.
Dopo Rodolfo e Pinkerton, viceversa, Cavaradossi segna una svolta verso ruoli più spinti?
Non direi che si tratti di una vera e propria svolta, seguendo il naturale sviluppo della mia voce e continuando ad affinare la tecnica cerco di dedicarmi a ruoli che mi stiano vocalmente comodi. La natura ha dotato la mia voce di una zona centrale ampia e sonora e di una zona bassa che mi consente di arrivare fino al Do sotto il rigo senza doverla scurire artificialmente. Nel tempo e continuando nello studio della tecnica di emissione ho acquisito sempre più facilità anche nella zona acuta che era un po’ il mio limite agli inizi della carriera, ma lo studio della tecnica a questo serve, a farti conquistare ciò di cui la natura non ti ha dotato: per questo è necessario uno studio serrato e continuo. Vero è che non canterò mai Nemorino in un teatro, ma lo canto spesso per studio perché mi aiuta a stare leggero nella zona centrale ed a svettare negli acuti. Mi soffermo sovente a riflettere su un consiglio che mi diede un grande baritono della vecchia scuola, un amico, che ora purtroppo non c’è più e che mi disse “cerca sempre di cantare con gli interessi e mai con il capitale”, che detto in altri termini significa cantare sempre sorretto dalla tecnica senza mai forzare la voce naturale. Tornando quindi alla tua domanda iniziale, tutti quei ruoli che mi consentiranno di cantare senza forzare la voce saranno i miei ruoli del futuro prossimo.
Fra quelli cantati finora, qual è il personaggio che ti sta più a cuore? E quale, quello che vedi come il tuo obbiettivo (non necessariamente immediato)?
Mi sorprendo spesso anch’io a pormi la stessa domanda e la risposta è sempre la stessa: l’ultimo personaggio interpretato. È sempre quello che mi sta più a cuore, al quale mi sento più legato e questo vale fino a che non entro nella produzione successiva, ma non è un passaggio immediato, mi richiede un certo periodo di tempo, il tempo necessario alla musica e all’azione di coinvolgermi e di farmi uscire da una pelle per entrare in un'altra. Vorrei poter riuscire a fare come alcuni miei colleghi che passano con facilità da una produzione all’altra e da un personaggio all’altro; io per ora non ci riesco, forse con l’esperienza...
Per il futuro invece continuerò nella preparazione dei grandi ruoli del Verdi maturo, vorrei che fosse questa l’evoluzione della mia carriera.
Quali sono stati, finora gli incontri artistici e le esperienze più significative per te?
La domanda mi porta a ripercorrere a ritroso quello che è stato fino ad oggi il mio percorso artistico e gli incontri e le esperienze significative non sono state poche, ma ti parlerò essenzialmente di due di essi, il più lontano ed il più vicino a me temporalmente.
Il primo in assoluto è stato quello con la signora Muti che, scegliendomi per debuttare il ruolo di Manrico nel Trovatore per il Ravenna Festival, diede di fatto l’avvio alla mia carriera. Io non ho vinto nessun concorso importante né ho avuto un inizio di carriera sfolgorante. Il mio debutto mise sì in luce la bellezza naturale del timbro vocale, ma al contempo anche i miei limiti tecnici. Seguii il saggio consiglio della signora Muti cioè di dare priorità assoluta allo studio della tecnica, nel contempo avrei potuto cantare ruoli vocalmente poco esposti, ma che mi consentissero di mantenermi. La dedizione allo studio, con disciplina e rigore hanno messo in moto un meccanismo di crescita, lento ma costante, che mi ha portato nell’arco di dieci anni a debuttare un ruolo topico nella carriera di un tenore in un teatro così importante come il Liceu di Barcellona. Il secondo fu con Sondra Radvanovski, la grande artista che tutti conosciamo e che, con grande generosità, mi offrì l’occasione di poter studiare con lei. Ricordo ancora le sue parole quando, dopo una prova di Tosca al teatro Real di Madrid dove io ero soltanto un cover, mi disse: “Antonio, tu hai una bellissima voce ed è grande, anch’io ho una voce grande e posso capire le tue difficoltà nel gestirla: forse ti posso aiutare.” Quell’incontro ha rappresentato una svolta nel mio percorso evolutivo e mi ha dato ancor più consapevolezza dei miei mezzi vocali e soprattutto mi ha indicato come saperli gestire. Oggi penso che con il lavoro che ho sostenuto fin qui io sia riuscito a costruire una solida base che mi potrà consentire di continuare a sviluppare le mie conoscenze ed a migliorare le mie prestazioni artistiche. Tutta la vita artistica di un cantante è un cammino di crescita che io sto continuando a percorrere sostenuto in quest’ultima fase dai preziosi consigli di Paolo Barbacini e con gli eccellenti insegnamenti di Jessica Pratt.
Al di là della drammaticità della situazione sotto tanti punti di vista, ho notato molte voci “importanti” esprimere un'evoluzione dopo il periodo di riposo forzato e studio del lockdown. È successo anche a te? Come hai vissuto e cosa ti lasciano gli ultimi due anni? Soprattutto dopo tanta distanza quanto è importante il contatto, la collaborazione all'interno della produzione fra l'artista e il pubblico?
Che tragedia! Ho un bruciante ricordo di quella mattina, era il 9 marzo del 2020, le valige pronte, sarei dovuto partire per Oviedo quel giorno stesso quando si diffuse la notizia della chiusura frontiere.
E adesso cosa faccio? Una domanda che mi accompagnò per tanto tempo, ma non avevo una risposta. Non era facile neppure mettersi al pianoforte e aprire lo spartito, improvvisamente mi ritrovavo senza un obiettivo e a dovermi reinventare la vita di tutti i giorni, ma questo credo che lo abbiamo vissuto tutti. Fortunatamente avevo contratti all’estero e la mia fase di fermo è durata soltanto un anno, infatti già nel marzo del 2021 ero a Montecarlo per la produzione dei Lombardi alla prima crociata e poi a Madrid come cover di Kaufmann in Tosca e poi il debutto di Aroldo a Rimini in estate, non ho avuto tutti quei disagi che invece hanno vissuto molti dei miei colleghi. Tornando alla tua domanda iniziale io ti risponderei senz’altro di sì. Dopo i primi giorni di smarrimento mi sono imposto un programma di studio, ben scandito da orari ed al quale mi sono imposto di rimaner fedele, non è stato facile, mi sono anche preso delle libertà però è stato senz’altro proficuo, d’altronde ogni difficoltà cela un’opportunità, sta a noi scoprirla.
L’emozione del rientro in teatro è stata forte; sarei retorico se ti rispondessi che è come quando stai lontano dall’amore e poi lo reincontri? Beh! Allora voglio essere retorico. Ritrovare il calore umano dei colleghi e la voglia di fare musica insieme e l’abbraccio del pubblico e la voglia di trasmettere quelle emozioni che ti vivono dentro e il capire che ci sei riuscito quando dalla sala si libera l’applauso che ti accoglie e ti abbraccia. Un insieme di stati d’animo che mi è difficile esprimere con le parole, ma che quando li vivi comprendi veramente cosa sia la magia del Teatro.
I prossimi appuntamenti?
Ti dirò del primo appuntamento che è già confermato mentre altri sono in via di definizione.
Avrò l’occasione di confrontarmi con una nuova produzione di Norma e sarò ancora Pollione, direi una magnifica occasione per mettere a frutto tutti gli insegnamenti che ho tratto dalla mia recente esperienza. Sarà al teatro Carlo Felice di Genova nella primavera prossima.
Grazie e in bocca al lupo!
Sono io che ringrazio te per l’opportunità di raccontarmi e di potermi esprimere non solo attraverso il canto. Vorrei rispondere al tuo augurio alla maniera classica, come si faceva un tempo e senza dover essere “politically correct” quindi: Crepi il lupo!
Concordo e sottolineo: nessun lupo verrà maltrattato! Si tratta solo di una formula simbolica per augurare forza in ogni situazione: siamo ancora capaci di decifrare un simbolo?